Sanità e salute: l'Italia non sfigura in Europa ma gli indicatori marcano diseguaglianze territoriali. Ogni Regione ha i suoi peculiari aspetti da migliorare
E’ stato pubblicato qualche mese fa l’undicesimo rapporto di ISTAT sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes), rapporto che attraverso l’analisi di 12 domini e 152 indicatori cerca di fornire una visione complessiva di come si vive in Italia documentandone alcune dinamiche nel tempo e nello spazio (le regioni), “per comprendere progressi, sviluppi e battute di arresto”, ma anche per mettere a disposizione dati e informazioni che possano “orientare le decisioni politiche e gli interventi”.
Il rapporto del 2023, rispetto ai precedenti, si caratterizza per la particolare attenzione dedicata al tema delle disuguaglianze sociali lette attraverso il livello di istruzione, perché sono una delle più importanti determinanti del benessere, ed in linea con gli altri rapporti presenta un capitolo dedicato alla salute ed un altro dedicato alla qualità dei servizi tra i quali quelli sanitari e socio-assistenziali: in questo contributo saranno presentati e commentati gli indicatori di maggiore rilevanza riferiti a sanità e salute.
CONFRONTO CON L’EUROPA
15 sono gli indicatori considerati nel paragrafo “salute” e 8 quelli del paragrafo “servizi” (si veda oltre), ma prima di entrare nel merito di ciascuno di loro il rapporto offre un paragone con gli analoghi dati europei per i 38 indicatori che risultano confrontabili. Per gli unici due che riguardano salute e sanità (mortalità evitabile e mortalità infantile) il dato italiano è migliore della media europea.
La tabella 1 presenta i valori dei 15 indicatori del dominio salute, ed il loro paragone con l’anno precedente e con il 2019: in rosso sono evidenziati i confronti segnati da un peggioramento dell’indicatore ed in verde i miglioramenti.
Tabella 1. Valore degli indicatori del dominio “Salute” e confronto con l’anno precedente e con il 2019: in verde i miglioramenti, in rosso i peggioramenti. Fonte: ISTAT, Rapporto Bes 2023.
Nota: la polarità indica la direzione del miglioramento
Per 7 indicatori il valore del 2023 è migliore dell’analogo dell’anno precedente (6 sono migliorati rispetto al 2019), per 3 il risultato è invariato (4 nel confronto con il 2019), e per 5 (sia rispetto all’anno precedente che al 2019) la situazione è peggiorata. Considerando che l’anno precedente talvolta ricade nel biennio pandemico 2020-2021 conviene prendere come riferimento ciò che è cambiato rispetto al 2019.
Sono così migliorati la speranza di vita in buona salute alla nascita (59,2 anni vs 58,6 anni nel 2019), la mortalità per tumore 20-64 anni (7,8 x 10.000 ab nel 2021), la mortalità per demenze e malattie del sistema nervoso negli ultra 65enni (33,3 x 10.000 ab nel 2021 rispetto a 33,9 nel 2019), la speranza di vita senza limitazioni nelle attività a 65 anni (10,6 anni nel 2023, 10 anni nel 2019), il consumo eccessivo di alcol (15,6 x 10.000 vs 15,8 nel 2019), e la sedentarietà (34,2% nel 2023 e 35,5% nel 2019).
Viceversa, sono peggiorate la speranza di vita alla nascita (83,1 anni rispetto ad 83,2 nel 2019), la mortalità evitabile (19,2 x 10.000), la mortalità infantile (2,6 x 1.000 nati vivi: era 2,5 nel 2019), la quota di soggetti fumatori (19,9% rispetto a 18,7% nel 2019), e gli stili alimentari più sani (16,5% rispetto a 20% nel 2018). Invariati sono l’indicatore di salute mentale, la mortalità per incidenti stradali tra i giovani (15-34 anni), la multicronicità oltre 75 anni e l’eccesso di peso.
Il fondo sanitario nazionale e il suo riparto tra le regioni
La tabella 2 sintetizza il valore più recente degli indicatori del dominio salute per regione e ripartizione geografica.
Tabella 2. Sintesi degli indicatori del dominio “Salute”, per regione e ripartizione geografica, secondo il valore più recente. Fonte: ISTAT, Rapporto Bes 2023
SPERANZA DI VITA ALLA NASCITA
Superate le turbolenze del Covid la speranza di vita alla nascita è quasi tornata ai valori del periodo pre-pandemico confermando da una parte le importanti differenze tra maschi (81,1 anni) e femmine (85,2), e dall’altra l’eterogeneità tra regioni che vede i valori più alti di vita media nella provincia di Trento (84,6 anni) e quelli più bassi in Campania (81,4 anni). L’eterogeneità territoriale si amplia se consideriamo la speranza di vita in buona salute alla nascita, che vede uno svantaggio di 4 anni del meridione (56,5 anni) rispetto al nord (60,6 anni). Se si considera la vita attesa in piena autonomia a 65 anni il divario territoriale segnala un valore di 11,5 anni al nord e di 9,4 anni nel mezzogiorno.
SALUTE MENTALE, PEGGIO LE DONNE
L’analisi dell’indice di salute mentale dice che il suo valore non è cambiato rispetto al 2019 ma evidenzia che le condizioni di benessere psicologico delle donne sono costantemente peggiori di quelle degli uomini, con un divario di 4,3 punti nel 2023 in aumento rispetto al 2019 dove era di 3,7 punti, divario che (con valori diversi) si presenta a tutte le età. Dal punto di vista territoriale si deve inoltre registrare che il sud, che di per sé manifesta già le peggiori condizioni di benessere psicologico, ha ulteriormente peggiorato il suo punteggio assumendo valori inferiori al 2019.
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MORTALITÀ EVITABILE
Interessanti sono i risultati del Bes per quanto riguarda la mortalità evitabile, cioè quei “decessi che potrebbero essere significativamente ridotti grazie alla diffusione di stili di vita più salutari e alla diminuzione di fattori di rischio ambientali e comportamentali nonché grazie a un’assistenza sanitaria adeguata e accessibile”. La mortalità evitabile è formata da due componenti: quella prevenibile (passata da 10,1 x 10.000 del 2019 a 12,8 del 2021), aumentata per via della presenza del covid tra le patologie che la compongono, e quella trattabile (costante a 6,4 x 10.000). La mortalità evitabile mostra differenze di genere molto marcate (uomini: 25,5 x 10.000; donne: 13,4), spiegate soprattutto dalla componente prevenibile (abitudini alimentari, attività fisica, abuso di alcol, propensione a fumare, …) che registra un valore di 18,6 x 10.000 nei maschi e di 7,3 x 10.000 nelle femmine. E’ anche da segnalare che nel contesto europeo l’Italia continua a mantenere una posizione vantaggiosa per mortalità evitabile, considerato che la media europea si colloca a 29,4 decessi ogni 10.000 residenti.
L’eterogeneità di valori tra le nazioni europee trova una conferma anche tra le regioni italiane. Le due componenti della mortalità evitabile mostrano la situazione più critica in Campania, seguita da Molise, Sicilia, Puglia e Lazio, mentre all’opposto si trovano Bolzano, Trento, Veneto e Lombardia.
Innovativa in questa edizione del rapporto Bes è la presentazione delle misure di mortalità in funzione del titolo di studio preso come descrittore delle disuguaglianze socio-economiche. In tabella 3 sono presentati, per l’anno 2020 (ultimo disponibile), i tassi standardizzati di mortalità evitabile 30-74 anni (trattabile, prevenibile), di mortalità per tumori (30-64 anni) e per demenze e malattie del sistema nervoso (>65 anni), suddivisi per genere e titolo di studio.
Tabella 3. Tassi standardizzati (x 10.000 residenti) di Mortalità: evitabile (trattabile, prevenibile) 30-74 anni, per tumori 30-64 anni, per demenze e malattie del sistema nervoso (>65 anni); per titolo di studio e genere. Anno 2020. Fonte: ISTAT, Rapporto Bes 2023.
La mortalità evitabile 30-74 anni (29,8 x 10.000), che vede nei maschi un tasso (40,4) che è il doppio di quello delle femmine (20,2), è molto variabile per titolo di studio: sia nella componente trattabile che in quella prevenibile (e quindi nel totale) registra nella popolazione con titolo di studio più basso (licenza elementare o meno) un tasso che è il doppio di quello rilevato nella popolazione con il titolo di studio più alto (laurea o titolo superiore), e l’eterogeneità è ancora più ampia per i soggetti di sesso maschile. Appena più basso è il divario nei tassi tra le classi estreme di scolarità quando si guarda alla mortalità per tumori (sempre con i maschi in maggiore evidenza), mentre per demenze e patologie del sistema nervoso la differenza scolastica porta ad uno svantaggio del 20% circa (poco differente tra maschi e femmine).
ABITUDINI DI VITA
Un altro capitolo del Bes che merita attenzione è dove si discute di abitudini di vita e di comportamenti a rischio per la salute (tabella 2). La quota di persone sedentarie, cioè che dichiarano di non svolgere né sport né attività fisica nel tempo libero, è pari al 34,2%, con le donne (37,1%) che sono più sedentarie degli uomini (31,2%) anche se il gap (5,9% nel 2023) si sta riducendo (era di 7,8% nel 2010), e con l’età che gioca un ruolo importante (2 su 10 tra i giovani, 7 su 10 oltre 75 anni). La buona notizia è che l’indicatore di sedentarietà è in diminuzione in entrambi i sessi ed in tutte le classi di età, ma il retro della medaglia dice che la sedentarietà è al 25,4% nelle regioni del nord ed al 48,5% in quelle del mezzogiorno.
Il 44,6% delle persone con più di 18 anni è in eccesso di peso: di più negli uomini (53,5%) che nelle donne (36,1%), nelle età superiori a 54 anni (50%), e nelle regioni del sud (49,9%). L’eccesso di peso risulta correlato alla sedentarietà. L’attenzione ai comportamenti più salutari è maggiore tra le persone con titolo di studio più elevato: eccesso di peso 34,3% vs 54,8%; sedentarietà 17,9% vs 50,6%; dove lo svantaggio è tutto a carico dei titoli di studio più bassi.
MENO FRUTTA E VERDURA
In diminuzione è il consumo giornaliero di frutta e verdura: dal 20% del periodo 2015-2018 si è scesi al 16,5% del 2023, con valori ancora più bassi (11,4%) nel mezzogiorno. Il 19,9% della popolazione di 14 anni e più dichiara di fumare (2023), con un marcato aumento sul 2019 (era 18,7%). L’abitudine al fumo è più diffusa tra gli uomini (23,6%), anche se il gap con le donne si sta riducendo; raggiunge il livello più elevato (26,9%) nella classe di età 25-34 anni (e si riduce di molto negli ultra 65enni); con differenze territoriali poco rilevanti.
ALCOLICI
Da ultimo merita un commento il consumo a rischio (cioè eccessivo) di bevande alcoliche, che nel 2023 ha riguardato il 15,6% della popolazione con più di 14 anni. In questo caso è il nord est del paese a guidare i consumi (19,4%) mentre è più virtuoso il mezzogiorno (12,2%); c’è un robusto gap tra maschi (21,8%) e femmine (9,8%) ma le donne si stanno avvicinando agli uomini; preoccupa la quota elevata di consumatori a rischio tra i ragazzi di 14-17 anni (24,5%) e gli anziani >65 anni (18,1%). L’abitudine al fumo e il consumo non moderato di alcol sono fattori di rischio spesso associati tra di loro.
QUALITÀ DEI SERVIZI
Otto, come si è detto, sono gli indicatori del dominio “Qualità dei servizi” (tabella 4).
Tabella 4. Valore degli indicatori del dominio “Qualità dei servizi” e confronto con l’anno precedente e con il 2019: in verde i miglioramenti, in rosso i peggioramenti. Fonte: ISTAT, Rapporto Bes 2023.
Per 4 indicatori (anziani trattati in ADI, posti letto per specialità ad elevata assistenza, medici, e infermieri) si è osservato un miglioramento sia rispetto all’anno precedente che al 2019; per due indicatori (rinuncia a prestazioni sanitarie, MMG con numero di assistiti oltre soglia) vi è invece un peggioramento sia rispetto all’anno precedente che al 2019; per un indicatore (posti letto residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari) i valori sono invariati; per un indicatore (emigrazione ospedaliera in altre regioni) i valori sono peggiorati rispetto all’anno precedente ma in linea con il 2019. I dettagli sono presentati in tabella 5.
Tabella 5. Sintesi degli indicatori del dominio “Qualità dei servizi”, per regione e ripartizione geografica, secondo il valore più recente. Fonte: ISTAT, Rapporto Bes 2023.
70,1 ogni 10.000 ab sono i posti letto residenziali, invariati nella finestra temporale esaminata ma molto disomogenei territorialmente con valori estremi di 19,5 in Campania e 39,4 in Puglia, e all’opposto di 117,7 in Piemonte e 134,3 in Trentino Alto Adige. Guardando le ripartizioni geografiche pochi letti sono presenti al sud (33,4) e molti al nord est (100,3).
Il 3,3% della popolazione con più di 64 anni risulta assistita in Adi (Assistenza domiciliare integrata), ma è solo lo 0,9% in Calabria e 1,7% in Sardegna. All’estremo opposto troviamo l’Abruzzo (4,9%) ed il Molise (5,5%). Non c’è molta differenza tra i valori delle diverse ripartizioni geografiche ma l’eterogeneità è entro ripartizioni: Calabria 0,9% vs Basilicata 4,5%; Sicilia 4,2% vs Sardegna 1,7%.
I posti letto ospedalieri in reparti per specialità a elevata assistenza (tabella 5) sono passati da 3 a 3,5 ogni 10.000 ab, più al nord (da 3,2 a 4) dove l’offerta era già più alta della media nazionale. Pochi letti ci sono in provincia di Bolzano (1,9), nelle Marche e in Calabria (2,3), mentre le regioni più fornite sono Lombardia e Veneto (4,5) e il Molise (4,6).
MOBILITÀ INTERREGIONALE
La mobilità ospedaliera extraregione è un indicatore della esistenza di problemi di equità e di diseguaglianze nell’offerta di servizi, di difficoltà di accesso e di scarsa qualità del sistema ospedaliero in una regione. C’è una mobilità apparente dovuta alla differenza tra domicilio e residenza, una mobilità di prossimità dovuta alla vicinanza geografica di strutture ubicate in altre regioni, ed una mobilità dovuta invece a scelte esplicite dei cittadini. Complessivamente il 8,3% dei ricoveri ordinari è stato effettuato al di fuori della regione di residenza, con valori più elevati al sud (13%) ma anche in regioni come il Molise (30,4%) la Valle d’Aosta (18,4%), l’Abruzzo 16%) e la Liguria (14,7%). Particolare è il caso del Molise che presenta una elevata fuga ma una altrettanto elevata attrazione. Nel rapporto tra attrazione e fuga eccellono l’Emilia Romagna (3), la Lombardia (2,3), il Veneto (1,6) e la Toscana (1,5).
CHI RINUNCIA
Una quota rilevante di persone (7,6%) dichiara di avere rinunciato a visite mediche o accertamenti diagnostici per vari motivi (problemi economici, lunghezza delle liste di attesa, difficoltà a raggiungere il luogo del servizio, …) nel 2023, in aumento rispetto all’anno precedente dove era il 7%. La quota dei rinunciatari cresce all’aumentare dell’età, ed è superiore nelle donne (9%) rispetto agli uomini (6,2). Le rinunce sono più elevate al centro (8,8%) ed in particolare nel Lazio (10,5%), ed in Sardegna (13,7%), mentre sono più basse in Friuli Venezia Giulia (5,1%) e Trentino Alto Adige (5,3%).
MEDICI DELLA MEDIA EUROPEA
La dotazione complessiva di medici (tabella 5), generici e specialisti, è stata nel 2022 pari al 4,2 x 1.000 ab, leggermente superiore al valore europeo, ma si tratta di una popolazione piuttosto anziana che a breve raggiungerà in massa l’età della pensione. Il centro (4,8), ed il Lazio soprattutto (5), è l’area più ricca di medici, che invece scarseggiano al nord (4), con il Trentino a 3,5 ed il Veneto a 3,7 x 1.000. E’ da segnalare il caso della medicina di base che in 10 anni ha perso circa 6.000 MMG e che si trova in particolare difficoltà al nord: lo si può vedere anche nella quota di MMG che ha un numero di assistiti che eccede la soglia, quota che raggiunge il 71% in Lombardia (60% al nord) ed è invece al 22,4% in Sicilia (38,2% al sud).
INFERMIERI DELLA MEDIA EUROPEA
Da ultimo ci sono i dati sul personale infermieristico: 6,8 x 1.000 nel 2022, un valore decisamente più basso rispetto all’Europa. Anche per il personale infermieristico è il centro Italia dove l’offerta è maggiore (7,4), con una punta in Molise (8,8), mentre all’opposto la sofferenza più rilevante si osserva in Lombardia e Sicilia (6).
Tutto questo insieme di informazioni suggerisce diverse riflessioni.
A fronte di un servizio sanitario che si dichiara equo ed egualitario, oltre che universalistico, il sistema di indicatori del Bes ci restituisce invece, in termini di salute e di servizi sanitari, un paese frammentato, caratterizzato da eterogeneità regionali molto evidenti, che premiano (o puniscono) a seconda dell’indicatore a volte le regioni del nord ed altre volte le regioni del sud (o del centro), creando in questo modo significative iniquità e diseguaglianze. Proprio le diversità delle disuguaglianze regionali indicano che per ogni regione ci sono attività da fare e che nessuna si può chiamare fuori, ma le attività sono differenti da regione a regione. Ben vengano indicazioni e piani nazionali, ma questi strumenti devono trovare applicazioni diversificate nei diversi territori se si vuole raggiungere l’obiettivo fondamentale di ridurre le grandi differenze oggi esistenti.
CONCLUSIONI
L’approccio apparentemente egualitario adottato in questi ultimi 15 anni (si vedano, ad esempio, il DM 70/2015 sugli standard ospedalieri; il DM 77/2022 sugli standard territoriali), innestato su un territorio che fa invece della diversità il suo aspetto caratteristico, non può fare altro che mantenere e replicare le disuguaglianze che già ci sono. E questo non riguarda solo la rete di offerta ospedaliera e territoriale, ma interessa anche le attività di prevenzione, la lotta agli stili di vita insalubri ed alle abitudini non salutari, come documenta il Bes. E lo stesso si verifica entro le regioni (almeno quelle più grandi), dove il Bes non ci informa ma indagini locali evidenziano la stessa tipologia di eterogeneità e diseguaglianze che caratterizzano il confronto tra regioni.
Un secondo elemento di riflessione riguarda le ripetute differenze sistematicamente riscontrate tra uomini e donne, con le seconde che partendo spesso da situazioni di vantaggio si stanno invece avvicinando ai valori degli uomini (in particolare sui comportamenti non salutari), il che induce a pensare che si debbano predisporre specifiche politiche che valorizzino la sanità di genere.
Infine, una terza riflessione riguarda il fatto che alcune eterogeneità riscontrate emergono tipicamente dentro il contesto sanitario ed in esso possono (e devono) trovare soluzione (è il caso, in particolare, di molti indicatori del dominio “Qualità dei servizi”); altre eterogeneità invece (soprattutto nel dominio “Salute”) si evidenziano come esiti nel contesto sanitario ma trovano la loro origine prevalentemente (se non esclusivamente) al di fuori di esso (si veda il caso, ad esempio, della differenza di esiti tra soggetti con diversa scolarità) e necessitano di interventi di collaborazione tra differenti comparti della convivenza civile: è quello che spesso si traduce con lo slogan “sanità in tutte le politiche”.