Quale futuro per il continente africano? In che misura la crisi della globalizzazione sta frenando desideri, bisogni e voglia di costruire di quell’immensa regione del mondo? I problemi sono gravi, le contraddizioni enormi. Eppure, si registrano processi di cambiamento. In uno spirito di con-divisione. Quella è l’unica strada per vincere la sfida di un presente ad alto tasso di complessità. La testimonianza di don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm. Cioè: quando la speranza di trasformazione nasce dal basso.
“L’Africa non va sfruttata, va promossa”. Sono poche parole, molto forti. Sono il cuore del messaggio che Papa Francesco ci ha rivolto lo scorso 19 novembre, durante un’udienza speciale che ha concesso a Medici con l’Africa Cuamm. Parole di grandissima attualità oggi che sentiamo associare l’Africa solo a disgrazie come la povertà, la fame, gli sbarchi, dimenticando che dentro questi drammi ci sono persone, esseri umani come noi, con sogni, desideri e bisogni.
“O ci salviamo tutti o nessuno si salva”
Stiamo vivendo un periodo difficile. Una guerra vicinissima che ci angoscia e preoccupa, la crisi globale, i cambiamenti climatici, per non parlare delle tante guerre più lontane e dimenticate, di cui nessuno parla. Che futuro ci aspetta? Che senso ha ancora oggi volgere il cuore e tendere la mano al fratello più povero? Perché continuare in quella che potrebbe sembrare una lotta contro i mulini a vento?
Sono il direttore di una Ong che ha oltre settant’anni di vita: Medici con l’Africa Cuamm. Siamo nati nel 1950, dall’idea illuminata di un medico, appoggiato dal vescovo di Padova, che a partire dalle macerie della Seconda guerra mondiale ha saputo guardare oltre il proprio orticello, ha osato sognare alla grande e pensare ai più poveri e lontani, in Africa. E oggi più che mai sono convinto che questa scelta sia la più giusta.
Chiede tanto impegno e fatica, dedizione e una “ostinazione nel fare il bene”, che ogni giorno dobbiamo riconfermarci e scegliere. Eppure, è l’unica strada che davvero porta al cambiamento, in meglio. Tanti sono i frutti che raccogliamo dai semi gettati negli anni.
Penso al Kenya, il primo Paese in cui il Cuamm ha avviato il suo intervento nel 1955 e che ora non ha più bisogno di noi, perché riesce a dare risposte dignitose alla sua gente. E così penso all’Uganda, dove all’inizio gli unici medici Cuamm erano italiani. Oggi i medici Cuamm sono tutti locali, ugandesi, e c’è solo un medico bianco.
Nell’enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco scrive: “Abbiamo bisogno di far crescere la consapevolezza che oggi o ci salviamo tutti o nessuno si salva. La povertà, il degrado, le sofferenze di una zona della terra sono un tacito terreno di coltura di problemi che alla fine toccheranno tutto il pianeta. Se ci preoccupa l’estinzione di alcune specie, dovrebbe assillarci il pensiero che dovunque ci sono persone e popoli che non sviluppano il loro potenziale e la loro bellezza a causa della povertà o di altri limiti strutturali. Perché questo finisce per impoverirci tutti”.
Lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle con lo scoppio della pandemia. Abbiamo compreso, a caro prezzo, che quanto succede a migliaia di chilometri di distanza, impatta sulla nostra vita quotidiana; che se lasciamo indietro i Paesi poveri, le conseguenze arrivano fino a noi. Un esempio? La nascita di varianti del Covid, proprio nei Paesi in cui i vaccini non erano stati acquistati e distribuiti per mancanza di risorse o per l’eccessivo accaparramento dei Paesi più ricchi.
Le opportunità in un continente fragile
Medici con l’Africa Cuamm opera nei Paesi dell’Africa a sud del Sahara, negli ospedali, nei centri di salute, fino all’ultimo miglio del sistema sanitario, fino all’ultimo villaggio sperduto. Lì dove nessuno vuole andare. In tanti anni, oltre duemila medici sono partiti dall’Italia, e non solo, per dedicare competenze, professionalità e passione ai più poveri e fragili, a chi ha scarso accesso alle cure e alla salute. Perché? Chi spinto dal motto evangelico che ha ispirato la nascita del Cuamm, “euntes, curate infirmos”; chi mosso da un profondo senso di giustizia ed equità.
Tutti abbiamo imparato e continuiamo a sperimentare ogni giorno, che l’Africa non è una piaga dell’umanità che abbiamo la sfortuna di avere vicino a casa nostra, ma un continente fragile, e tuttavia pieno di opportunità, che coltiva ricchezze, soprattutto umane. Da questa Africa possiamo imparare molto: dignità, riconoscenza, una profonda altezza interiore, di solito inversamente proporzionale al reddito. Spesso, infatti, più forte è la povertà, più forte è la fatica del vivere, più forte è anche la dignità e l’altezza dell’animo. Capita in Paesi fragilissimi come il Sud Sudan e la Repubblica Centrafricana, come in Mozambico, in Tanzania e in Uganda.
“’Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. Che triste vedere che, dietro a presunte opere altruistiche, si riduce l’altro alla passività’. Quello che occorre è che ci siano diversi canali di espressione e di partecipazione sociale. L’educazione è al servizio di questo cammino, affinché ogni essere umano possa diventare artefice del proprio destino. Qui mostra il suo valore il principio di sussidiarietà, inseparabile dal principio di solidarietà.” È sempre la Fratelli tutti che ci conferma nella scelta fatta tanti anni fa.
Crediamo nella cooperazione fatta da persone e vite condivise, non nell’aiuto calato dall’alto ma nella collaborazione, nel camminare insieme per crescere e migliorare. Nella piccola preposizione “con” del nostro nome è racchiuso uno stile e un modo di intervenire. Non “per”, ma “con”, insieme, passo dopo passo, nella profonda consapevolezza che dal dialogo e dallo scambio possono nascere grandi progetti, si può davvero andare lontano.
Lo raccontano tutti i giovani specializzandi italiani che trascorrono un periodo di “tirocinio” in Africa, nei nostri ospedali, grazie a un accordo che il Cuamm ha con 39 università italiane. Partono con un bagaglio di conoscenze e competenze molto superiori a quelle dei colleghi locali, ma sono gli africani a insegnare loro come trovare soluzioni e risposte con i pochi mezzi che si hanno a disposizione. Imparano una “medicina frugale” che qui da noi si è persa, ma che quando tornano, li aiuta ad affrontare situazioni impreviste e nuove.
La formazione al centro dell’impegno
È quella della collaborazione e della con-divisione l’unica strada per generare un cambiamento reale e duraturo, la via perché ciascuno sia artefice del proprio futuro, anche in Africa. Ne siamo profondamente convinti. Ed è il solo modo per valorizzare le potenzialità dei giovani di questo continente. “Vi invito ad avere un’attenzione speciale per i giovani – ci ha detto Papa Francesco, lo scorso novembre –, a favorire in ogni modo, nelle vostre attività, l’inserimento lavorativo della gioventù locale, così desiderosa di vivere il proprio futuro da protagonista soprattutto nei Paesi di origine”. Ed è proprio perché tocchiamo con mano l’entusiasmo e la voglia di impegnarsi dei giovani africani, che abbiamo avviato il programma Prima le mamme e i bambini. Persone e competenze, che interessa tutti gli 8 Paesi in cui opera il Cuamm e che si basa su tre pilastri: l’assistenza alle mamme e ai neonati, con l’obiettivo di garantire 500mila parti sicuri; la cura della malnutrizione grave, con l’obiettivo di mettere in trattamento 16.000 bambini sotto i 5 anni; e infine, la formazione di 1500 manager sanitari da un lato e 500 specializzandi, africani e italiani, dall’altro.
La formazione è al centro del nostro impegno. Operiamo in scuole per ostetriche come quella di Lui in Sud Sudan, dove c’è un’ostetrica ogni 20.000 mamme che partoriscono e anche un’unica ostetrica in più fa la differenza; o come quella di Wolisso in Etiopia, dove si formano infermieri specializzati. Ma siamo presenti anche nelle università. In Mozambico, per esempio, grazie alla collaborazione tra l’ateneo di Padova, quello di Maputo e l’università cattolica del Mozambico, di Beira, abbiamo dato il via a un corso di formazione di alto livello per la cura del neonato, rivolto a giovani neonatologi e pediatri locali, così che anche in quel Paese possano trovare risposte casi gravi e difficili.
Gli effetti drammatici della crisi globale
Se qui in Europa, la situazione è difficile, in Africa è infinitamente più dura. La pandemia prima, le guerre, la crisi globale lì stanno provocando effetti pesanti e drammatici, che qui nessuno vede. Dei 47 Stati fragili individuati dalla Banca Mondiale, ben 28 si trovano in Africa. Pochi esempi possono dare il quadro della situazione: in un Paese come la Sierra Leone,il servizio nazionale per il trasporto delle emergenze sanitarie, messo in azione due anni fa anche grazie al Cuamm, sta funzionando poco e male. Il gasolio per le ambulanze, passato da 8000 a 22.000 leoni al litro, è sufficiente per i primi 4-5 giorni del mese, poi il sistema si blocca. E così perdiamo decine e decine di mamme che avrebbero bisogno di un cesareo d’emergenza. All’ospedale San Luca di Wolisso, in Etiopia, il costo di un paio di guanti sterili è arrivato a 1 euro. In un giorno, per l’attività ordinaria dell’ospedale, se ne utilizzano in media 350. L’Africa sta tornando indietro, i sistemi sanitari africani stanno retrocedendo ai livelli di dieci anni fa, se non di più. Di tutto questo nessuno parla. Questi sono solo alcuni degli effetti della crisi globale che non si vedono da noi, ma che sono reali e tangibili per chi opera in Africa come il Cuamm.
Diventa così attuale e urgente rendere fattivo questo invito dell’enciclica già citata: “In molte parti del mondo occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia”. E di audacia, ingegno e coraggio in Africa ce n’è tanto. Mi viene in mente una storia che porto nel cuore e che ogni volta mi riempie di speranza, quella di Amina. Una giovane sud-sudanese laureatasi nella scuola per ostetriche di Lui. Una grande festa, tanta allegria per un traguardo raggiunto con grande impegno, sacrificio e costanza, interrompendo gli studi quando non aveva il denaro per pagarli e poi riprendendoli, con determinazione. In uno dei miei innumerevoli viaggi in quel Paese, vado in visita a uno degli ospedali in cui operiamo, quello di Rumbek. Quando arrivo, mi viene incontro una giovane donna, dicendomi: “Father Dante, ti ricordi di me? Sono Amina, mi sono laureata alla scuola di Lui e ora lavoro qui a Rumbek e sono molto orgogliosa, (I’m very proud), di fare qualcosa per la mia gente, per il mio Paese”.
E l’Africa è questo: una forza e un credere nella vita, nonostante tutte le difficoltà; un fermento di giovani che hanno voglia di impegnarsi per il proprio futuro.