Negli ultimi trent’anni il pianeta è stato saccheggiato dal capitalismo finanziario, la vera peste del terzo millennio. In Italia, spazzati via i partiti di tradizione popolare sostituiti da personaggi privi di storia e di cultura, vi è stato un progressivo sfarinamento. Il mercato è diventato l’assoluto protagonista. Lo Stato ha perso autorevolezza lasciando campo libero all’economia asservita alla finanza. Il che ha prodotto un indebolimento della democrazia. Ma, come ha dimostrato la vicenda pandemica, settori della società civile hanno fornito segnali confortanti di tenuta. È un mondo, oggi più che mai, indispensabile per un rilancio della democrazia repubblicana che appare fiaccata. Pungolo sussidiario alla costruzione di uno Stato che recuperi credibilità e il ruolo che gli compete.
In trent’anni il mondo è cambiato, mentre l’Italia era sconvolta da una mutazione genetica del proprio assetto politico con la scomparsa delle grandi famiglie politiche, i democristiani, i socialisti e i comunisti. Mentre le due prime culture politiche furono spazzate via da una convergenza di miserie, di interessi e di poteri, la terza fu spazzata via dalla Storia.
Lo strapotere del mercato
Fatto sta che, in un momento di grande cambiamento mondiale, l’Italia rimase priva di timonieri e alla guida del Paese giunsero dei “parvenu”, privi di storia e di cultura. Nel frattempo, in questi trent’anni, si accentuò in maniera impressionante il saccheggio del pianeta (in questo periodo furono immessi nell’atmosfera più tonnellate di CO2 che nei due secoli precedenti) e nacque quello che definisco “la peste del terzo millennio”, il capitalismo finanziario.
In economia fu eliminato in grandissima parte il ruolo dello Stato, attraverso grandi operazioni di potere e di arricchimento, in particolare negli anni che vanno dal 1994 al 2001, lasciando così come unico protagonista della produzione della ricchezza e della sua redistribuzione il mercato.
Il paradosso della storia fu che il partito che propagandava un dirigismo economico, il vecchio PCI, divenne quasi un partito “americano”, scimmiottando gli strumenti della democrazia americana (le primarie, lo spoils system, gli slogan come “yes, we can” al congresso fondativo del Partito Democratico) e in economia, accanto alla sostanziale riduzione del ruolo dello Stato, appoggiando, di fatto, il liberismo selvaggio con la finanziarizzazione dell’economia italiana. La conclusione è stata che oggi il 22% degli italiani ha una ricchezza finanziaria che va oltre 5 mila miliardi di euro al netto della ricchezza immobiliare e controlla il 70% della ricchezza nazionale, mentre la povertà è raddoppiata, le disuguaglianze sono cresciute e i salari hanno perso potere di acquisto.
Lo Stato essenziale
In questo disastro è rimasto in piedi il cosiddetto Terzo settore, quello che testimonia, con la propria capacità, il valore della sussidiarietà. Un termine, quest’ultimo, che oggi abbiamo imparato in molti, ricordando i suoi predecessori che erano emanazioni della Chiesa cattolica ma anche dei grandi partiti popolari e delle organizzazioni collaterali (dal sindacato alle organizzazioni agricole e professionali).
In attesa che venga recuperato il ruolo dello Stato, sempre più essenziale in un’economia globalizzata, come ha dimostrato anche la pandemia, va rafforzato il mondo della sussidiarietà, scrigno prezioso non solo in economia con l’attenzione verso gli ultimi, ma anche sul terreno democratico perché il suo ruolo presuppone la crescita di organizzazioni partecipate da pezzi di società che, operando nel mondo del volontariato, tessono una rete di donne e uomini, veri custodi della democrazia repubblicana.