Quanto è avvertito oggi il sentimento di una fraterna comunanza di vita e di sorte? Quanto è matura la scoperta di condividere un’appartenenza a una sfera di comunità e a un destino comune? Argomenti forti, precisamente indicati come missione nella nostra Costituzione. L’esperienza della pandemia ha fatto emergere un ritrovato senso di responsabilità personale e collettiva. Ridando linfa al principio di sussidiarietà, quale veicolo innovativo per affrontare i problemi sociali; vedi le urgenze in fatto di disuguaglianze e criticità a proposito di solidarietà economica, politica e sociale, che lo Stato e il mercato da soli non riescono a risolvere. Questioni dirimenti.
Nella Costituzione non c’è spazio per l’indifferenza o stigma nei confronti dell’altro.
Non poteva essere altrimenti, perché essa è progetto per la costruzione di una società giusta, una società di uguali, che vive in continua approssimazione di compiutezza solo in ragione di un impegno e di una assunzione di una reciproca solidarietà e responsabilità, e cioè di un vero e proprio patto costituzionale.
Un patto fondamentale
Deriviamo l’esistenza di un vincolo e di un patto attraverso un triplice riferimento a princìpi costituzionali: quello dell’unità della Nazione, quello della pari dignità sociale e uguaglianza dei consociati, quello, infine, della solidarietà economica, politica e sociale.
Il primo non si esaurisce esclusivamente nel principio di indivisibilità territoriale, ma ha bensì una sua declinazione, anch’essa propria dello spirito costituzionale, in un “sentimento” di appartenenza a una stessa comunità, a un comune destino.
Sappiamo quanto è recente, per l’Italia, questo sentimento, che nutrì il Risorgimento e condusse all’Unità d’Italia un secolo prima della nascita della Repubblica. Sappiamo che esso maturò davvero nelle trincee della Prima guerra mondiale, nell’essere accomunati nello stesso destino, spesso tragico, di tanti ragazzi provenienti da diverse parti del Paese, che avevano addirittura difficoltà a intendersi per la diversità dei loro dialetti, che venivano da luoghi all’altro sconosciuti.
Per loro, l’Italia per cui combattevano e morivano era un luogo astratto, assai lontano dalla propria esperienza di vita. In quei frangenti, tuttavia, essi maturarono una fraterna comunanza di vita e di sorte, scoprirono di condividere un’appartenenza.
La riscoperta del senso unitario
Dovremmo riconoscere che quel sentimento è tornato a manifestarsi durante la pandemia e ha visto importanti assunzioni di responsabilità finalizzate alla tutela della salute comune.
Questi comportamenti, che sono stati individuali ma di cui non si può non cogliere il tratto di fenomeno collettivo, hanno disseminato l’Italia di esperienze di solidarietà “fraterna”.
Tutto questo è avvenuto, fuori da retorica, in ragione della comune appartenenza all’Italia e in ragione dell’unità del Paese. Lo hanno osservato in tanti commenti i costituzionalisti italiani (si veda, ad esempio, la Tribuna di italiadecide),1 ma lo testimoniavano con ogni evidenza le bandiere nazionali che, più semplicemente, abbiamo visto sventolare dai balconi, e i cartelli e gli striscioni che, in linguaggi immediati, testimoniavano di una convinzione profonda: il Paese unito avrebbe potuto farcela a superare un momento tragico di difficoltà, dolore e paura.
In questo senso, mi pare che il cittadino o la cittadina italiani, cui peraltro è stato chiesto un sacrificio assai significativo delle proprie libertà (ma anche dei propri affetti e del proprio benessere), pur senza leggere “un milione di libri” abbiano, senza enfasi, orientato costituzionalmente in senso unitario la propria esistenza. Certo, innanzitutto a salvaguardia della vita e della salute di sé stessi e delle persone care, ma nella consapevolezza che si trattasse di uno sforzo collettivo, unitario appunto, e che la interdipendenza fra i destini di tutti rendeva comune la responsabilità.
Bisognerebbe avere maggiore cura di questo sentimento, che è fraterno appunto e che rappresenta un fatto prezioso.
Ciascuno di noi, peraltro, conosce il rischio che nella difficoltà tornino a manifestarsi egoismi ed esasperati localismi, mentre perdura tragicamente la disparità tra Nord e Sud del Paese in termini economici, di sviluppo, di godimento dei diritti sociali.
Oltre la relazione autoritativa tra poteri pubblici e cittadini
Ora, se, come sostiene Giorgio Vittadini, Stato e mercato non riescono da soli ad affrontare i problemi sociali, occorre valorizzare e sostenere le esperienze che, in maniera crescente, vedono collaborare con forme diverse di comune partecipazione, cittadini, associazioni, istituzioni e imprese per il raggiungimento di fini generali nella base del principio di sussidiarietà.
È la lezione dell’art. 118, 4° c. della Costituzione: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Sussidiarietà orizzontale, dunque, che immediatamente si colloca fuori dalla relazione autoritativa tra poteri pubblici e cittadini, e che situa questi ultimi in un ambito di responsabilità autonoma che è quello tracciato dagli artt. 3 e 2 della Costituzione. Uguaglianza e solidarietà diventano quindi temi di primo rilievo politico e devono entrare a far parte della esperienza individuale e comune della cittadinanza.
È il tema a cui italiadecide ha dedicato il suo Rapporto 20222, nella convinzione che esso abbia un riflesso sulla qualità democratica del Paese e che su di esso si misuri non solo la fatica collettiva della cittadinanza, ma anche lo sforzo – necessario – dei poteri pubblici e il contributo decisivo degli attori politici.