Dall'Homo videns all'Homo filmans. C’è l’individuo che vive il quotidiano con lo scopo di filmare tutto. È l’evoluzione dell’Homo videns di cui ha scritto il professor Giovanni Sartori nel 2000. Si tratta dell’ennesima accelerazione del prevalere dell’immagine sulla parola. E questa evoluzione ha inciso nei meccanismi di comprensione tra gli esseri umani. Nel muoversi dell’Homo filmans, l’obiettivo è quello di rendere eterno l’attimo. E con il metaverso, ecco il nuovo capitolo, il nuovo rapporto con il presente, con l’altro da sé: l’Homo distans. È l’esperienza del vivere incellofanati. E questa situazione incide sulle forme possibili di aggregazione. Ma la domanda di rappresentanza dei cittadini permane. La politica non può accettare di essere “distans”. Ma nella società occorrono maestri. Non influencer.
Alcuni hanno osservato che le realtà sociali a cui si riferisce Giorgio Vittadini nell’articolo non esistono più. Il mondo sta cambiando in modo rapido e radicale: le persone vivono in ambienti, ognuno con la sua specificità, che spingono all’individualismo (vedi metaverso). Che cosa ne pensa? Quale idea di persona è sottesa allo sviluppo dell’intelligenza artificiale?
Nel 2000 Giovanni Sartori pubblicò Homo videns. Televisione e post-pensiero (Laterza), per la prima volta nella storia, a causa della televisione – sosteneva Sartori nel libro – l’immagine prevale sulla parola, mutando tanto la comunicazione quanto i meccanismi di comprensione tra gli esseri umani.
Il predominio dell’immagine sulla parola, continuava lo studioso, avrebbe minato il cosiddetto pensiero astratto e l’attività simbolica propria dell’essere umano. Si sarebbe ridotta così la capacità di distinguere l’apparente dal reale e il vero dal falso. L’Homo videns diventa sempre più incapace di formarsi un’opinione propria e riduce la propria libertà.
Una recente evoluzione dell’Homo videns è l’Homo filmans che, attraverso l’iPhone, filma tutto: l’abbraccio con una personalità, un monumento, una scena che attira l’attenzione, sé stesso in un determinato posto, un panorama, un animale.
L’Homo videns è fermo, seduto in poltrona davanti a uno schermo, che deve condividere con altri.
L’Homo filmans, invece, è solo, non deve condividere con nessuno il proprio schermo e non può fermarsi. Si muove perché deve documentare la propria mobilità, la propria capacità di osservazione, la varietà e l’interesse dei luoghi nei quali si trova e delle persone che incontra. Nella sua coscienza, rende eterno l’attimo.
L’Homo filmans è un narcisista 2.0. Filma per attirare l’attenzione di chi riceverà le immagini ed è perciò costretto a stupire. Il filmans, se assiste a un incidente, non soccorre il ferito, lo filma perché essere presente è più importante che soccorrere. Il metaverso introduce una variante più moderna dell’Homo filmans, l’Homo distans, che ha un rapporto con l’altro attraverso il metaverso, allontanandosi dal proprio corpo e restando distante dal corpo dell’altro; vive incellofanato, si allontana dalla vita fondata sul tatto, sull’olfatto, sulla indefinita pluralità dei contatti fisici che sono fondamentali attributi della corporeità. L’esperienza del distans è fondata sul packaging.
Quali prospettive vede nell’evoluzione delle diverse forme di aggregazione?
Credo che tendano a prevalere le micro-aggregazioni; se invece la politica si decidesse a ricostruire nella società rapporti fondati su una comunicazione orientata al futuro e non solo sulla competizione elettorale, pro o contro qualcuno, potrebbero risorgere comunità fondate sul pensiero collettivo, frutto di veri confronti.
In questo contesto come sta cambiando il bisogno di rappresentatività da una parte, e l’offerta dall’altro?
I cittadini chiedono rappresentanza; il ceto politico offre somiglianza. I primi dicono: “vorrei scegliere qualcuno che capisca i miei bisogni, le mie necessità e le mie aspirazioni”; gli altri replicano: “scegli me perché ti somiglio”.
Domanda e offerta non si incontrano. Le società hanno bisogno di maestri, ma attorno a noi, sinora, prevalgono gli influencer.