Oggi il vasto mondo dell’associazionismo fatica a comunicare la qualità del pronto intervento nel sociale: il bene fatto per bene. La storia è nota: ci si accorge dell’impegno del Terzo settore e, più in generale, delle Ong, solo in caso di emergenze. Tra le altre: alluvioni, terremoti e, fenomeni assolutamente imprevisti, specie nelle dimensioni globali, come la pandemia da Covid-19. Ecco allora che diventa fondamentale mettere in relazione, cioè in rete, la variegata e culturalmente vivace realtà dell’associazionismo diffuso. Un passaggio determinante che contribuisce a testimoniare e aumentare la consapevolezza del valore concreto della presenza sussidiaria
Nell’ottobre 2014, in risposta all’emergenza dell’alluvione di Genova, agli occhi dell’opinione pubblica apparve come fatto straordinario lo spontaneo impegno civico di cittadine e cittadini che affiancarono volontarie e volontari delle associazioni di protezione civile per bloccare il fango che aveva invaso la città e prodotto danni enormi in interi quartieri, rischiando di cancellare la vita delle comunità, insieme a quella delle persone.
In risposta all’idealizzazione collettiva di questa energia umanitaria, vista come fatto straordinario, alcuni esperti e attivisti della comunicazione sociale, esponenti dell’associazionismo storico nazionale e del mondo universitario, lanciarono una campagna – a mio parere estremamente efficace – dal titolo #Nonsonoangeli: l’obiettivo era quello di ricordare e riaffermare il valore del volontariato nella costruzione della cittadinanza attiva, quindi non solo e semplicemente come spinta spontanea a “fare del bene” eccezionalmente.
Dal testo del manifesto della campagna estrapolo e riporto due passaggi oggi più che mai attuali, a quasi dieci anni di distanza: “Nel nostro Paese c’è bisogno di far conoscere il volontariato, la solidarietà e qualsiasi altra forma di aiuto reciproco per quello che sono, non soltanto attraverso titoli e slogan. C’è bisogno di raccontare le storie delle persone che credono nella solidarietà per comunicare, attraverso loro e con loro, un nuovo modello di comunità, nuovi stili di vita”.
Pochi anni dopo, nel 2017, fu lanciata un’altra campagna, questa volta dall’AOI, l’Associazione delle Organizzazioni Non Governative di solidarietà, volontariato e cooperazione Internazionale (www.ong.it): #OngAtestaAlta, nata in risposta agli attacchi mediatici e di una parte della politica italiana alle organizzazioni umanitarie impegnate volontariamente, in raccordo con la Guardia Costiera, nel salvataggio nel Mediterraneo dei migranti e profughi in fuga da guerre, violenze e fame, trasportati illegalmente nei barconi della morte provenienti dalle coste libiche o tunisine. In breve tempo, le volontarie e i volontari di quelle associazioni furono trasformati da “buonisti” in guidatori e gestori di “taxi del mare”, costruendo un’idea del loro operare che era passata dall’essere gente perbene che (ingenuamente) con l’operare umanitario si prestava a essere utilizzata dai trafficanti di vite umane (da qui il pull factor dell’immigrazione clandestina), addirittura a soggetti collusi con i criminali della tratta.
E siamo arrivati all’oggi, in cui le Ong sono tornate a essere obiettivo di attacchi da un certo mondo politico e da una parte di quello dell’informazione. A questo proposito, un certo numero di organizzazioni e rappresentanze interessate ha deciso di sporgere querela nei confronti delle direzioni di alcune testate giornalistiche che insistono sul tema del rapporto strutturato tra salvataggio in mare e tratta degli esseri umani.
Una scuola culturale per promuovere la solidarietà
I due temi e i contesti temporali che ho riportato, l’esaltazione del ruolo del volontariato nell’alluvione di Genova e gli attacchi alle navi umanitarie, sono facce di una medesima medaglia, che convergono in un punto nodale: la difficoltà del mondo del Terzo settore nel riuscire a raccontare e spiegare collettivamente e autorevolmente la centralità del proprio ruolo a fianco delle istituzioni pubbliche. Ruolo che trova ragione e fondamento in un principio costituzionale, quello descritto chiaramente nel Titolo V all’art. 118 della nostra Carta e definito “sussidiarietà”, ribadito peraltro nella sentenza della Corte Costituzionale 131 del 2020 sulla co-programmazione e co-progettazione, in riferimento all’applicazione dell’art. 55 del Codice del Terzo settore.
L’efficace e autorevole riflessione di Giorgio Vittadini, pubblicata sulle pagine del quotidiano la Repubblica, colloca il mondo della sussidiarietà del Terzo settore come centrale nella risposta a un mondo di guerre, disastri ambientali, sviluppo negato a una parte del pianeta che crea disuguaglianze e ingiustizie, genera fame e pandemie.
Ho apprezzato e inteso le affermazioni di Vittadini nello spiegare a chiare lettere che la risposta al disastro globale sta nell’attenzione alla persona, ai suoi diritti e alla sua formazione libera, all’interno di una comunità in cui il l’accesso garantito all’educazione, al lavoro dignitoso, alla libera espressione, a un tempo libero sviluppato tra cultura, impegno, sport, cura degli altri, siano contraddistinti dal principio dell’affermazione e della tutela della coesione sociale, nella reciproca fiducia, attraverso le pratiche della solidarietà attiva.
È un chiaro messaggio alla politica, alle istituzioni, ma anche al mondo del Terzo settore, perché oltre al fare bene senza soste, è determinante ed essenziale che, rafforzando le sue forme di rappresentanza collettiva e le occasioni di lavoro culturale e di percorsi unitari, vada oltre l’autotutela quando viene ingiustamente messo in discussione, creando una scuola culturale comune di informazione, divulgazione e promozione della solidarietà nelle pratiche della sussidiarietà.
A mio parere vi sono due strade prioritarie perché questo percorso di concretizzi, su cui far convergere esperienze e competenze e definire gli strumenti. La prima è l’applicazione concreta e diffusa della co-programmazione e co-progettazione: Forum del Terzo Settore e CSVnet, rappresentanza nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato, stanno fortemente investendo nel lavoro con esperti di diritto costituzionale e amministrativo, formatori universitari e del mondo associativo e cooperativo, per dare concretezza alle Linee Guida sulla co-programmazione e co-progettazione affinché siano normate con un decreto ministeriale. Occorre affrontare quei dubbi su approccio ed efficacia di questa importante applicazione della sussidiarietà, che sono presenti in alcune realtà territoriali e anche centrali della pubblica amministrazione, ma talvolta anche nel mondo del non profit. La seconda strada – che deve convergere con la prima, sottolineo – è quella che ho enunciato in precedenza, cioè il rafforzamento della comunicazione del valore sociale e civico della sussidiarietà, che trova nella società civile associata e impegnata nelle comunità il sostegno e la risposta al voler fare il bene.
Un luogo collettivo della memoria
Per comunicare efficacemente e trasparentemente tutto questo, occorre un piano strategico, che sia un quadro di riferimento per tutto il Terzo settore, definito insieme nelle sue linee guida ma anche nelle metodologie e negli strumenti utilizzati. Ovviamente nel rispetto dell’autonomia delle vie e delle linee di comunicazione scelte dalle singole associazioni, ma con un riferimento di base condiviso e un “luogo” in cui ci si riconosca per accedere a spazi di informazione, racconto e comunicazione sociale nelle testate giornalistiche e nei media. Esperti di comunicazione sociale, docenti universitari, operatori delle realtà del non profit, giornalisti, magazine e agenzie possono davvero costruire un laboratorio con il Terzo settore nel nostro Paese che sia un esempio anche a livello europeo.
Vi è, infatti, una caratteristica comune e peculiare per il mondo del Terzo settore italiano, che trova origine nella sua storia e si traduce nella sua mission declinata nelle varie articolazioni ed espressioni differenziate, ed è valida sia per quanto riguarda le organizzazioni che operano in specifico sul territorio nazionale, sia per quelle attive nella solidarietà, nel volontariato e nella cooperazione internazionale: il riferimento alla comunità di origine, che pone tutto questo mondo così numeroso e diffuso alla prova quotidiana con la vita reale, con le sue criticità, le disuguaglianze e le ingiustizie, le sofferenze del singolo nella collettività, ma che al tempo stesso gli permette di intuire e far emergere le opportunità, le risorse e le competenze per affrontare le emergenze sociali e progettare, come sottolinea Vittadini, un mondo migliore.
La pandemia ci ha ben dimostrato la risorsa imprescindibile del Terzo settore in una sussidiarietà di emergenza gravissima, epocale. La capacità di mobilitare volontarie e volontari e organizzare lo spontaneo impegno di cittadine e cittadini da parte delle organizzazioni sociali è apparsa dalle prime ore e ha avuto eco e cassa di risonanza nelle trasmissioni televisive e nelle pagine dei giornali, nelle testimonianze raccolte.
Persino i cooperanti delle Ong tornati alla prima ora in Italia, mentre altre colleghe e colleghi erano rimasti all’estero continuando a occuparsi dei progetti, hanno deciso di mettere a risorsa le competenze sanitarie, sociali ed educative nelle attività di emergenza umanitaria, nei centri medici, in sostegno alle famiglie con casi di disabilità, agli anziani soli e nella stessa educazione a distanza.
Eppure, a poco tempo dall’uscita dalla pandemia da Covid-19, questa storia di grande umanità e solidarietà sembra un ricordo sfumato. È importante che ci sia un luogo collettivo della memoria, della raccolta dei dati, della costruzione della cultura della solidarietà e sussidiarietà e della efficace comunicazione delle buone pratiche, per evitare di dover ogni volta ricominciare ex-novo la narrazione di quello che il Terzo settore sa e può fare per rispondere agli attacchi reputazionali. Abbiamo già alcuni strumenti che possono essere messi in stretta relazione: penso all’importante esperienza comune del Forum Terzo settore e di CSV net che è Cantiere Terzo settore (www.cantiereterzosettore.it), oppure, per il mondo della cooperazione, della solidarietà e del volontariato internazionale del non profit, l’open data Open-Cooperazione (www.opencooperazione.it).
L’impegno religioso e laico
Il contributo di Vittadini chiude con una considerazione che si basa su un’analisi sociologica: nella storia italiana il rapporto con le comunità e le persone ha trovato spazio e forza nelle presenze territoriali delle articolazioni della Chiesa cattolica (parrocchie, seminari e gruppi collegati) e nei circoli comunisti e socialisti. Vittadini invita il Terzo settore a ricostruire oggi, alla luce di nuovi contesti ed esigenze e delle potenzialità dimostrate, i luoghi della partecipazione civile. Se la parte religiosa, nonostante soffra anch’essa una riduzione numerica e una crisi generazionale, ha ancora un volontariato attivo e sperimenta talvolta esperienze di nuova aggregazione per il sociale, il mondo laico segna una crisi ben più evidente di militanza civica aggregativa nelle comunità. Personalmente, credo che il dato numerico non faccia giustizia di un percorso che si sta diffondendo, nato direttamente dalle comunità e che mette insieme risorse ed energie di impegno religioso e laico. Mi riferisco alle aggregazioni che praticano auto-aiuto e scambio solidale dentro un’idea di progetto sostenibile della comunità, animate dal mondo non profit dell’economia sociale e solidale. Sono esperienze che la pandemia ha spinto a mettersi in rete e che rappresentano un esempio per il Terzo settore tutto.
La politica e le istituzioni non hanno ancora colto il valore di queste pratiche, spesso molto sperimentali, che sono basate sull’attenzione centrale alla cura della persona come parte di una comunità e insistono sulla responsabilizzazione di tutti a mettere a frutto il tempo, le competenze e le idee in una progettazione continua e in una evoluzione della vita comune. Si chiamano alla costruzione di una vita sostenibile, in ogni aspetto, il mondo non profit, l’artigiano, la cooperativa, l’associazionismo, il negoziante, il municipio, l’istituzione formativa ed educativa, la parrocchia o l’aggregazione religiosa, il cinema o il teatro, la biblioteca, i gruppi informali, le diaspore e associazioni di migranti, tutti soggetti presenti sul territorio. A Roma, durante la pandemia, ha spiccato per efficacia, come positivo e buon esempio di sussidiarietà solidale per la coesione sociale, il mondo del Quartiere del Quarticciolo. Vi invito a cercare in irete i video prodotti in quel complesso e grande luogo romano durante l’emergenza da Covid-19: preziosi gioielli testimoni di grande umanità.
Allo stimolo di Vittadini rispondo convintamente che le ragioni che espone le condivido appieno nella certezza che, se consapevole e unito, il mondo solidale può davvero dimostrare che “si può fare” e raccontare con autorevolezza all’opinione pubblica “come bene riesce a fare il bene”.