Povertà, disuguaglianze, lavoro. Sono alcune parole chiave che fotografano la situazione precaria del nostro sistema Paese. I dati e le analisi lo confermano: numeri preoccupanti, sfiducia crescente, giovani che fanno scelte non semplici da comprendere. Questo frena lo sviluppo possibile. Ma necessario. L’impegno del sindacato è quello di incalzare i decisori pubblici con proposte fondamentali e realistiche. Nella consapevolezza che l’Italia riparte se valorizza tutti i soggetti propositivi. La società – con le vivaci espressioni del Terzo settore e del non profit in genere – è un valore da non disperdere. E la sussidiarietà la cultura che le innerva. Generatrice di dialogo costruttivo e plurale. La visione contemporanea della UIL.
Lo stiamo sottolineando da tempo, tanto che il tema è diventato anche uno dei capitoli principali del nostro recente dibattito congressuale: in Italia c’è un incremento esponenziale e preoccupante delle povertà e delle disuguaglianze. Non si tratta, peraltro, di un fenomeno recente. Le conseguenze economiche del conflitto in Ucraina non hanno fatto altro che accentuare un problema che sta covando, a livello sociale, già da prima della pandemia.
Sono tanti gli Istituti o i centri di ricerca che stanno certificando, con dati inoppugnabili, questa condizione di depauperamento che sta interessando strati sociali sempre più vasti e diversificati della popolazione. Ne ricordo alcuni di quelli diffusi dal Censis, con cui abbiamo organizzato un seminario all’inizio del 2023, proprio su questi temi.
Le persone a rischio povertà sono 7,5 milioni, mentre i lavoratori che non raggiungono una retribuzione annua di 12.000 euro sono 4 milioni. Inoltre, a un operaio occorrono 34 anni e a un impiegato 25 anni per eguagliare il compenso percepito annualmente da un amministratore delegato di un’azienda quotata in Borsa. Intanto, i lavoratori in attesa di rinnovo di contratto sono oltre 7 milioni. E mentre i pensionati sono tra i più esposti all’erosione del potere d’acquisto, i giovani sono sempre di meno e fanno registrare un tasso di occupazione e un reddito inferiori agli altri Paesi europei.
Lavoro: troppi ostacoli
Non è a tutti chiaro, purtroppo, che in Italia esiste una vera e propria “questione lavoro” che è all’origine dei nostri mali sociali ed economici, ormai endemici.
Il lavoro manca o è precario. È vero, l’occupazione sta mostrando timidi segnali di ripresa, ma restiamo a livelli inferiori alla media europea e, soprattutto, tali da non garantire condizioni di vita dignitosa a molti milioni di cittadini. La percentuale dei contratti a tempo determinato, infatti, supera di gran lunga quella dei contratti a tempo indeterminato. Domina così l’incertezza del futuro. I giovani perdono di vista obiettivi e prospettive, si demoralizzano e vedono mortificate e minate le proprie potenzialità. E sono tanti, ormai, quelli che arrivano a esprimere il proprio dissenso e la propria protesta contro queste forme di sfruttamento, scegliendo di dimettersi da quello che non considerano più un posto di lavoro, ma una gabbia.
Ecco perché la UIL ha proposto di mutuare dalla Spagna il patto che le parti sociali hanno sottoscritto con il governo iberico e che, di fatto, ha eliminato i contratti a tempo determinato, prevedendoli solo per due circostanze: in presenza di picchi produttivi o quando sono i lavoratori a richiederlo per loro necessità.
Altra leva su cui agire, poi, è la formazione da correlare anche a un sistema efficace di incrocio tra la domanda e l’offerta di lavoro. Il resto, ovviamente, lo dovrebbero fare le scelte di politica economica, perché, come è noto, il lavoro non si crea per decreto, ma servono investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, che consentano di generare buona occupazione.
La questione salariale: rinnovare i contratti
L’altro enorme problema riguarda la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Ogni anno, purtroppo, si continuano a registrare oltre mille morti sul lavoro e 500mila incidenti. C’è bisogno di risposte concrete e immediate e non di discussioni infinite. Servono più investimenti, più ispezioni, più formazione, più prevenzione. Inoltre, bisognerebbe impedire alle aziende che violano le norme sulla sicurezza di partecipare agli appalti pubblici e, inoltre, introdurre il reato di omicidio sul lavoro per chi, violando scientemente e ripetutamente le norme sulla sicurezza, abbia causato infortuni mortali.
Si deve fare presto e porsi l’obiettivo di “zero morti sul lavoro”: è una questione culturale che richiede anche un coinvolgimento attivo delle scuole e dei giovani e che si affianca alla necessità di scelte politiche volte ad adottare provvedimenti degni di un Paese civile.
Ultima, ma certamente non ultima, è la questione salariale. Lo abbiamo detto: in Italia, molti lavoratori sono sotto la soglia della povertà e tantissimi di coloro che hanno uno stipendio appena sufficiente a sbarcare il lunario si stanno impoverendo per la perdita del potere d’acquisto delle loro retribuzioni. Ecco perché bisogna assolutamente rinnovare i contratti, per contrastare gli effetti del caro energia e dell’aumento dell’inflazione.
Peraltro, abbiamo ripetutamente avanzato la proposta di detassare gli incrementi contrattuali sia di primo sia di secondo livello, proprio per agevolare la conclusione di vertenze che restano sospese per anni in attesa di un esito che sarebbe auspicabile tanto per le imprese, quanto per i lavoratori.
Così come sarebbe altrettanto indispensabile agire sulla leva fiscale, riducendo il cuneo in modo significativo e strutturale. Sono anni, ormai, che chiediamo di aumentare il netto nelle buste paga dei lavoratori, oltreché dei pensionati, per restituire potere d’acquisto a queste categorie di cittadini su cui grava il peso maggiore di un sistema di tassazione che, proprio a loro, prima fa pagare le tasse e poi eroga il reddito.
Noi crediamo che, ciascuno per la propria parte – la politica, il governo e il sistema delle imprese – debba dare una risposta a queste nostre rivendicazioni, perché ne va del futuro del Paese. Invece, constatiamo un andamento lento, anzi lentissimo, nell’assumere decisioni che spesso si perdono per strada o sono improduttive, quando non vanno addirittura nella direzione opposta a quella auspicata.
Convincere i decisori, favorire il Terzo settore
Noi non ci arrendiamo e continueremo a esercitare il nostro ruolo contrattuale, da un lato, e di denuncia e sollecitazione, dall’altro, convinti che la bontà e l’efficacia delle nostre proposte, come già accaduto tante volte in passato, siano in grado di spostare il consenso dell’opinione pubblica e di convincere così i decisori ad assumere le scelte da noi suggerite.
In senso figurato, noi immaginiamo che lavoro, merito ed eguaglianza debbano essere i vertici di un triangolo che, ad oggi, è ben lungi dall’aver raggiunto la forma armonica di un equilatero e che continua a mostrarsi, invece, in tutta la sua irregolarità.
Sono le istituzioni che devono porsi il problema di creare le condizioni di eguaglianza e di sviluppo, mettendo al centro il lavoro, il sociale, il welfare e l’economia reale. In questo contesto, però, anche la società civile può giocare un ruolo importante, dando vita e concretezza con il proprio impegno al principio della sussidiarietà.
Terzo settore, volontariato, non profit sono tutte realtà che non solo tentano di riempire le enormi lacune create dalle disuguaglianze, ma sono di stimolo a far meglio anche per tutti i soggetti pubblici. Una pluralità e un pluralismo di esperienze e di realtà con cui ci confrontiamo e con le quali, spesso, condividiamo molte battaglie.
Anche per sottolineare l’importanza di questa dimensione, la UIL ha scelto di definirsi e di essere il sindacato delle persone, al servizio dei giovani, delle donne e di chi vive nelle periferie o nei luoghi lontani e spesso ai margini della società. Con la nostra piattaforma “Terzo Millennio” ci prefiggiamo di raggiungere chiunque abbia bisogno di aiuto e di ascoltare le esigenze e le aspettative di tutti coloro che, altrimenti, non avrebbero modo di rapportarsi al mondo sindacale e del lavoro.
Il welfare deve essere la prerogativa di uno Stato civile e moderno, ma anche i corpi sociali e la società civile possono e devono farsi carico di forme di assistenza che, peraltro, trovano già nell’azione dei patronati, un punto di riferimento ormai storico. Se a tutto ciò si aggiungono altre forme, sostenute dalle strumentazioni frutto delle innovazioni tecnologiche e della modernità, i risultati che si possono ottenere diventano davvero interessanti e incoraggianti.
Abbiamo tracciato una strada che consolida la nostra vocazione di sindacato laico e riformista nella società del terzo millennio. Perché la UIL è un sindacato che vuole confrontarsi e dialogare per affermare il valore del lavoro e il rispetto della vita e delle persone.