“In una logica hobbesiana, l’articolo 55 del Codice del Terzo settore non avrebbe alcuna ragione di esistere, in una antropologia positiva, l’amministrazione condivisa è invece lo sviluppo consequenziale di quel presupposto”. La partita del Terzo settore è apertissima. Si tratta di un tassello decisivo per innervare il modello di democrazia sostanziale. Le cui molteplici espressioni concorrono a sviluppare interventi di assoluto interesse pubblico. Contribuendo, altresì, a rendere virtuosa la voce di spesa pubblica. Analisi di tutti i vantaggi che si registrano con la valorizzazione del Terzo settore attraverso i passaggi chiave contenuti nella sentenza n.131 del 2020 prodotta dalla Corte Costituzionale.
1. La sentenza n. 131 del 2020 ha, innanzitutto, evidenziato un filo rosso che era già presente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale. In diverse occasioni, infatti, questa aveva affermato importanti aperture e riconoscimenti nei confronti del volontariato e dell’azione gratuita della persona; si tratta di una serie di spunti che nella sentenza 131 del 2020 sono ripresi e portati a sintesi in modo innovativo.
Nella sentenza si afferma: “[…] fin da tempi molto risalenti, del resto, le relazioni di solidarietà sono state all’origine di una fitta rete di libera e autonoma mutualità che, ricollegandosi a diverse anime culturali della nostra tradizione, ha inciso profondamente sullo sviluppo sociale, culturale ed economico del nostro Paese.
Prima ancora che venissero alla luce i sistemi pubblici di welfare, la creatività dei singoli si è espressa in una molteplicità di forme associative (società di mutuo soccorso, opere caritatevoli, monti di pietà ecc.) che hanno quindi saputo garantire assistenza, solidarietà e istruzione a chi, nei momenti più difficili della nostra storia, rimaneva escluso. Nella suddetta disposizione costituzionale, valorizzando l’originaria socialità dell’uomo (sentenza n. 75 del 1992), si è quindi voluto superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una ‘autonoma iniziativa dei cittadini’ che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese”.
Ci sono due implicazioni in questo passaggio: da un lato che la società solidale è esistita prima ancora dello Stato e, dall’altro, che questa è legata a un’antropologia positiva; è implicitamente affermato, infatti, che il punto di partenza della società solidale è una antropologia positiva, non una negativa. Quest’ultima dà origine a tutta la rappresentazione hobbesiana (homo homini lupus) e si articola nella tradizione di pensiero che da Tucidide arriva a Machiavelli e Lutero.
La capacità di bene nell’uomo
È un universo culturale oggi ancora forte: le concezioni stataliste si fondano sul presupposto che l’uomo è lupo per l’altro uomo, e così mirano a legittimare un potere statale che monopolizza di fatto tutta l’azione pubblica, divenendone l’unica opportunità di espressione, perché si esclude che del privato (e anche del privato sociale) ci si possa fidare.
Questa visione viene superata dalla sentenza 131 del 2020 che, dal punto di vista culturale, attinge invece a un altro filone, ricchissimo, che parte da Aristotele, sant’Agostino, san Tommaso, Tocqueville etc. In esso il punto di partenza è, appunto, l’antropologia positiva.
Sant’Agostino, ad esempio, parlava di una civitas originaria, per cui l’origine della società non è il peccato originale, ma la natura umana creata buona da Dio. Non nega che l’uomo sia ferito e che ci sia il peccato originale, ma non è quello il fattore che lo definisce. Esiste invece nell’uomo questa originaria capacità di bene.
È questa una concezione che si è riflessa anche in teorizzazioni recenti: per esempio Wilhelm Röpke, uno dei fondatori dell’economia sociale di mercato, ha affermato che l’uomo è capace di bene e che si compie soltanto nella comunità.
Ancora più recentemente Kenneth Arrow ha parlato di “desideri socializzanti” – e ha precisato che è proprio il rilievo pubblico dato a questi desideri socializzanti a impedire che una democrazia possa scadere nell’essere solo formale o addirittura in una autocrazia –; Amartya Sen e Martha Nussbaum parlano invece dello sviluppo delle capabilities: lo scopo del potere pubblico non è gestire i cittadini, ma sviluppare le “capacitazioni”.
Infine, nella enciclica Caritas in Veritate si definisce l’uomo come “essere sociale a immagine della Trinità”. Sono chiavi di lettura rilevanti, perché dai presupposti deriva un metodo.
Partire da una antropologia positiva, non significa negare la necessità di sistemi di regole e di controlli, ma affermarne un loro declinarsi particolare: i controlli sono prevalentemente ex post, c’è fiducia nell’azione delle persone, ci sono leggi che non definiscono il bene comune come un monopolio del potere pubblico.
Ecco che arriviamo al punto: in una logica hobbesiana, l’articolo 55 del Codice del Terzo settore non avrebbe alcuna ragione di esistere; in una antropologia positiva, l’amministrazione condivisa è invece lo sviluppo consequenziale di quel presupposto.
Il Terzo settore può vivere al di fuori della logica del mercato
2. Un altro aspetto interessante da sottolineare riguarda proprio l’amministrazione condivisa: i termini “co-progettare” e “co-programmare”, svelano il tema del partenariato. Il suffisso “co” deriva dal latino “cum”, che significa “fare insieme”, e quindi rappresenta un’altra applicazione del cambiamento di metodo. L’interesse pubblico non è più monopolio dell’istituzione pubblica in senso stretto. Il bene comune non è in capo solo alle istituzioni pubbliche, secondo l’approccio tipico del paradigma hobbesiano.
C’è qui un cambio di paradigma e l’interesse generale è realizzato anche grazie all’apporto del Terzo settore, che si pone sullo stesso piano del sistema pubblico. E quindi la sentenza, sviluppando l’articolo 118 della Costituzione laddove prevede il principio di sussidiarietà orizzontale, afferma che: “[…]
gli ETS, in quanto rappresentativi della “società solidale”, del resto, spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno”. Si instaura, in questi termini, tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato”.
Sono temi che, probabilmente, non aveva presente il Consiglio di Stato quando aveva dato la nota interpretazione restrittiva del citato art. 55 del CTS nel parere n. 2052 del 20 agosto 2018, trattando il Terzo settore – venendo per questo fortemente criticato dalla dottrina più attenta – come fosse un sistema che non può vivere al di fuori della logica del mercato e quindi assoggettabile alle regole del mercato stesso. La differenza culturale fra questi due approcci è considerevole.
Si legge ancora nella sentenza 131: “[…] “la ‘co-programmazione’, la ‘co-progettazione’ e il ‘partenariato’ (che può condurre anche a forme di ‘accreditamento’) si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico. Il modello configurato dall’art. 55 CTS, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico”.
3. Del resto la ricchezza del Terzo settore deriva innanzitutto dal suo essere una rete capillare che opera sul territorio, che può fornire informazioni, che conosce il disagio e le povertà e quotidianamente li accoglie.
All’ente pubblico gli ETS possono fornire un patrimonio informativo di straordinaria importanza, che da solo difficilmente riuscirebbe a reperire. Ma non solo per questo l’amministrazione condivisa può dare molta più efficacia all’intervento pubblico. Esiste anche un altro plusvalore quando un intervento viene realizzato dentro lo schema dell’amministrazione condivisa.
Se un intervento a favore dei poveri, ad esempio, avviene coinvolgendo un ente del Terzo settore che da tempo lavora in quel contesto, tale intervento si struttura all’interno di un rapporto, si colora di una stretta di mano o di uno sguardo umano: è un qualcosa di diverso rispetto a un intervento meramente burocratico.
C’è un plusvalore, quindi, che nasce dalla tensione ideale che caratterizza gli enti del Terzo settore.
È in genere proprio questo plusvalore ciò che permette il riscatto della persona, che non avviene solo con la donazione di “un pezzo di pane”, ma deriva dallo sguardo caloroso di qualcuno che al bisognoso dice: “sei ancora un uomo”. È questo sguardo quello che risponde al suo bisogno più profondo e non solo a quello più immediato.
4. L’importanza della sentenza n. 131 del 2020 appare, in conclusione, quella di affermare che il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, ai fini dell’edificazione di una “società solidale”, si riconnette ai valori fondanti dell’ordinamento giuridico della solidarietà e della eguaglianza sostanziale riconosciuti come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente.
In questi termini la sentenza pare fornire una lettura costituzionale degli “enti del Terzo settore” come espressione delle “libertà sociali”, diretta a definire giuridicamente un tipo di rapporto fra Terzo settore e pubblica amministrazione in grado di “valorizzare” tale ruolo costituzionale degli ETS.
Se, infatti, il Terzo settore manifesta geneticamente, come afferma la sentenza, “una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale”, non sarebbe coerente sottoporre quel rapporto alle medesime regole previste per tutti i soggetti operanti nell’ordinamento, per cui si impone – nella logica costituzionale – la creazione di un “nuovo canale di amministrazione condivisa”, alternativo a quello del profitto e del mercato.
Ne consegue, quindi, che l’accordo che si instaura fra la PA e gli ETS costituisce l’approdo finale di un “diverso rapporto tra il pubblico e il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico”.
Il riscatto della persona
L’art. 55 CTS, quindi, anziché sovvertire il quadro normativo di diritto comune di derivazione euro-unitaria, assume la funzione di norma promozionale non solo strumentale a dare “corpo” al quadro costituzionale, bensì pure coerente con il diritto europeo, poiché quest’ultimo “mantiene, a ben vedere, in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà (sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano, in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente al perseguimento delle finalità sociali)”.
In tal senso, il disegno complessivo che ne risulta non mira a incidere direttamente sugli assetti concorrenziali del mercato, bensì a instaurare una “originale e innovativa (nella sua attuale ampiezza) forma di collaborazione che si instaura mediante gli strumenti delineati dall’art. 55 CTS”.
5. Ecco allora il valore e il senso della amministrazione condivisa, che è oggi estremamente importante perché viviamo in un mondo in cui il rapporto fra ricchi e poveri si è allargato in modo impensabile prima e fenomeni come le crisi finanziarie e la pandemia aggravano le forbici della disuguaglianza.
A questo proposito è interessante ricordare che Stefano Zamagni ha affermato come non bastino più le politiche re-distributive, ma occorrano quelle pre-distributive: investire nello sviluppo dell’educazione, sulle capabilities delle persone, è necessario, altrimenti il gap che si è creato diventa irrecuperabile.
Pensiamo quindi a quanto diventano importanti interventi che possono permettere, come si è detto, il riscatto della persona. Don Giovanni Bosco salvò centomila ragazzi dalla strada: alcuni divennero ingegneri, altri abbracciarono la carriera militare, altri ancora diventarono professori. Questo è, tendenzialmente, il plusvalore che può inserirsi dentro l’amministrazione condivisa.
Non è però un valore definibile “a-priori”, perché occorre anche che rimanga vivo il fuoco della mission ideale. Se quel fuoco si spegne e prevalgono valori più contingenti e interessi diversi, quel plusvalore, probabilmente, non accade.
6. La sentenza n. 131 del 2020 ha avuto, dunque, un impatto notevole non solo sul piano culturale, ma anche su quello operativo e normativo, tanto che a essa è stato tempestivamente dato seguito dal legislatore nel raccordare il Codice del Terzo settore con quello dei Contratti pubblici e poi nell’emanazione delle Linee guida da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Sul primo aspetto va infatti segnalato che sono state espressamente fatte salve nel Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016) le diverse modalità previste dal CTS: artt. 30, comma 8, 59, comma 1, e 140, comma 1, come modificati, rispettivamente, dall’art. 8, comma 5, lettere 0a, a-quater, e c-bis, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76.
Quanto al secondo, con il D.M. n. 72 del 2021, sono state adottate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali le Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore negli artt. 55-57 del d.lgs. n.117/2017 (Codice del Terzo settore). Esse integrano e interpretano le disposizioni di cui all’art. 55, 56 e 57 del Codice del Terzo settore.
Di recente, infine, nel testo del nuovo codice appalti approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 16 dicembre 2022, nella relazione illustrativa all’art. 6, si afferma: “[l]’articolo recepisce la sentenza n. 131 del 2020 della Corte Costituzionale, che ha sancito la coesistenza di due modelli organizzativi alternativi per l’affidamento dei servizi sociali, l’uno fondato sulla concorrenza, l’altro sulla solidarietà e sulla sussidiarietà orizzontale. […]
Il modello proposto intende apportare benefici alla collettività in termini di efficacia, efficienza e qualità dei servizi, promuovendo la capacità di intervento dei privati, spesso più rapida di quella delle amministrazioni”.
7. Un’altra sentenza importante è la n. 72 del 2022 dove la Corte Costituzionale afferma espressamente che il sistema del Terzo settore, legandosi agli articoli 2 e 3 della Costituzione, attiene ai principi fondamentali della nostra Costituzione.
Inoltre, in altro passaggio, si precisa: “[…] poiché l’attività di interesse generale svolta senza fini di lucro da tali enti realizza anche una forma nuova e indiretta di concorso alla spesa pubblica”.
Il rischio delle democrazie formali e delle autocrazie
In altre parole, si afferma che se non ci fosse quella attività l’ente pubblico dovrebbe impegnare risorse per garantirla: l’esistenza di enti che realizzano senza fini di lucro quella attività rappresenta quindi una forma indiretta di concorso alla spesa pubblica.
Infatti, la spesa pubblica serve a garantire servizi e diritti, ma se c’è un’attività non profit che mira a garantire quei servizi e quei diritti in termini analoghi, questa deve essere considerata dallo Stato, anche in termini del risparmio di spesa pubblica che ne consegue.
Questo passaggio è molto importante, perché si legittima una forma di concorso alla spesa pubblica, la quale non è funzionale all’esistenza dello Stato in sé, ma alla garanzia dei diritti essenziali e dei servizi. Ad esempio, se c’è un sistema di asili realizzato prevalentemente dal sistema non profit e questo venisse meno di colpo, lo Stato dovrebbe assumersi direttamente la relativa spesa pubblica per garantire il servizio. E questo inciderebbe sul sistema fiscale.
Del resto, il noto meccanismo del 5 per mille è diretto non al finanziamento dello Stato, ma all’ente non profit con il presupposto che quell’ente garantisca una forma indiretta di spesa pubblica, perché quell’ente svolge una funzione per certi versi analoga a quella dello Stato.
8. Un altro aspetto importante è un passaggio della sentenza 72 dove si afferma: “[…] il volontariato costituisce una modalità fondamentale di partecipazione civica e di formazione del capitale sociale delle istituzioni democratiche”.
Il nesso con la democrazia è di fondamentale importanza: in passato spesso erano i partiti, con le loro strutture, a rappresentare luoghi di educazione al bene comune (anche se inteso secondo le rispettive ideologie). Oggi, rispetto a questa loro funzione, la maggior parte di essi sono manifestamente in crisi, avendo subito cambiamenti strutturali.
Ma che esistano persone educate al bene comune in vere e proprie “palestre”, è un punto fondamentale in una democrazia: questa non può esistere senza corpi intermedi. Se una democrazia è totalmente in balia della disintermediazione, può formalmente rimanere una democrazia, ma difficilmente sarà una democrazia sostanziale.
Non basta avere una Corte Costituzionale e una Costituzione: alcuni Paesi hanno sia l’una che l’altra, ma rimangono democrazie solo formali e, di fatto, autocrazie.
Il cuore della democrazia sta nella sostanza e questa c’è se in essa esistono dei corpi intermedi, ed è qui che si delinea un’altra grande responsabilità del Terzo settore, in un contesto profondamente mutato in negativo.
Credo, per concludere, che sia responsabilità delle istituzioni valorizzare il Terzo settore e responsabilità di questo mantenere sempre vivo il fuoco, la mission ideale che porta le persone a costituire e a impegnarsi negli enti senza fini di lucro.