Ultra 65enni in continua crescita. Non vanno più considerati un costo, ma un fattore positivo per la famiglia e la società. Oltre alla salute fisica, occorre favorire la partecipazione a reti e attività associative
Un dato è certo: a prescindere dalla definizione quantitativa che ne vogliamo dare (oltre 65, 70, 75 anni) non v’è dubbio che la nostra società sta diventando (e lo diventerà sempre più) una società di anziani, con le tante conseguenze (positive e negative) che ne derivano e deriveranno. Siamo usciti dalla seconda guerra mondiale che (censimento ISTAT 1951) i sessantacinquenni ed ultra erano 3.895.224, corrispondenti al 8,20% della popolazione residente (>70 anni: 2.362.741, 4,97%; >75 anni: 1.241.931, 2,61%) e siamo arrivati al 1 gennaio 2024 (sempre dati ISTAT) che di ultrasessantacinquenni ne sono stati contati 14.357.928, corrispondenti al 24,34% della popolazione residente (>70 anni: 10.689.907, 18,12%; >75 anni: 7.438.515, 12,61%). È interessante anche la suddivisione per sesso, dove al 1951 i maschi >65 anni erano il 7,56% dei maschi totali e le femmine erano il 8,81% delle femmine totali, ed al 1 gennaio 2024 i maschi >65 anni sono diventati il 21,94% dei maschi totali e le femmine il 26,63% delle femmine totali (Figura 1). Infine, al 1.1.2024 del totale degli ultrasessantacinquenni il 44,1% è costituito da maschi ed il 55,9% da femmine.
Figura 1. Percentuale di persone anziane al censimento del 1951 ed al 1.1.2024. Fonte: ISTAT.
ATTESA DI VITA
Piuttosto nota è anche la attesa di vita degli anziani: nel 2023 a 65 anni l’attesa di vita è 19,5 anni tra i maschi e 22,4 anni tra le femmine, che scende a 15,5 anni tra i maschi ed a 18,1 tra le femmine quando si arriva a 70 anni, e che scende ulteriormente quando si raggiungono i 75 anni perché diventa di 12,0 anni tra i maschi e 14,0 tra le femmine (Figura 2). Alla nascita l’attesa di vita (sempre al 2023) dei maschi è di 81,1 anni tra i maschi e di 85,2 tra le femmine.
Figura 2. Attesa di vita a diverse età, per sesso. Dati 2023. Fonte ISTAT.
PASSI D'ARGENTO
Ma oltre al loro numero, anche stratificato per età e sesso, ed alla durata prevista della loro vita, cosa sappiamo di questa popolazione? In preparazione della giornata mondiale delle persone anziane, che si è celebrata il primo ottobre, l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato i dati più recenti che emergono dallo studio denominato “Passi d’Argento”, uno studio cosiddetto di “sorveglianza” sulla popolazione anziana che da tempo l’Istituto conduce in tutta Italia attraverso la collaborazione delle strutture sanitarie (ASL) delle regioni.
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Passi d’Argento è un sistema di sorveglianza della popolazione con più di 64 anni che, attraverso informazioni raccolte tramite un questionario somministrato direttamente ad un campione della popolazione, registra la qualità della vita percepita ed alcuni aspetti sociali, sanitari e ambientali, con l’obiettivo di mettere a disposizione del paese informazioni che sono utili ai fini di mantenere questa popolazione in buona salute promuovendone le condizioni di vita. Dei tanti temi indagati dall’indagine (fragili e disabili, percezione dello stato di salute, insoddisfazione per la propria vita, attività fisica, sovrappeso e obesità, consumo di frutta e verdura, di alcol, abitudine al fumo, vista udito e masticazione, cadute, depressione, isolamento, uso dei farmaci, vaccinazione antinfluenzale, patologie croniche, partecipazione sociale, tutela e sicurezza) si è scelto di rendicontare i risultati di alcuni di essi, ben sapendo non solo che nello studio Passi d’Argento ci sono pure altri temi ma anche che oltre alle dimensioni valutate nello studio Passi ce ne sarebbero molte altre che meriterebbero uguale attenzione.
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STATO DI SALUTE E ABITUDINE
Secondo i dati dello studio riferiti al biennio 2022-2023 circa il 13% degli intervistati ha dichiarato problemi nella deambulazione; fra questi poco più di 1 persona su 10 ha riferito di praticare ginnastica riabilitativa.
La maggior parte degli ultra 64enni (56%) del campione presenta eccesso ponderale: 41% in sovrappeso e 15% obeso. L’eccesso ponderale è più presente nei maschi, nei soggetti con difficoltà economiche o con basso livello di istruzione; inoltre l’eccesso ponderale è più frequente nelle regioni del Sud (59% vs 52% nel Nord). E’ anche da segnalare che l’obesità si associa con la presenza di comorbidità (cioè coloro che riferiscono 2 o più patologie croniche).
Nel biennio 2022-2023 il 63% della popolazione ultra 64enne ha dichiarato di non consumare abitualmente bevande alcoliche, il 20% riferisce un consumo moderato, il 17% dichiara un consumo definito “a rischio” per la salute (più di una unità alcolica al giorno). Il consumo di alcol a rischio è molto più frequente fra gli uomini (30% vs 8% fra le donne), si riduce con l’età (dal 21% fra i 65-74enni al 9% fra gli ultra 85enni) e rimane prerogativa delle classi più avvantaggiate per reddito (21% fra chi non ha difficoltà economiche vs 12% di chi riferisce molte difficoltà economiche) o per istruzione (21% per chi ha un titolo di studio superiore alla scuola media vs 12% fra chi ha al massimo la licenza elementare). Si deve anche segnalare il numero elevato di ultra 64enni che assume alcol pur avendo una controindicazione a farlo, come (ad esempio) il 28% delle persone affette da malattie del fegato.
Quanto alla abitudine tabagica la maggioranza degli ultra 64enni non fuma (62%) o ha smesso di fumare da oltre un anno (27%), ma una persona su 10 è ancora fumatore (11%). Tra gli uomini è maggiore la quota di chi è stato fumatore e ha smesso (40% vs 16% nelle donne) e minore la quota di chi non ha mai fumato (47% vs 74% nelle donne). Le classi più svantaggiate economicamente segnalano un maggior consumo rispetto alle altre, così come i fumatori fra i laureati sono quasi il doppio (13%) rispetto a chi fuma tra i meno istruiti. Inoltre più di un quinto di tutti i fumatori ultra 64enni intervistati consuma più di un pacchetto di sigarette al giorno.
PATOLOGIE
Al 59% degli ultra 64enni è stata diagnosticata almeno una patologia importante: tra queste, il 28% riferisce una cardiopatia, il 17% una malattia respiratoria cronica, il 20% il diabete, il 14% un tumore. La policronicità riguarda 1 soggetto su 4, è più frequente al crescere dell’età (sale al 38% dopo gli 85 anni) e tra le persone con status socioeconomico più svantaggiato (41% vs 19% tra chi dichiara nessuna difficoltà) o con bassa istruzione (31% vs 19%).
Il 28% degli anziani intervistati rappresenta una risorsa per i propri familiari o per la collettività: il 17% si prende cura di congiunti, il 14% di familiari o amici con cui non vive e il 5% partecipa ad attività di volontariato: più fra le donne (31%) che tra gli uomini (24%), meno fra le persone con un basso livello di istruzione e tra chi ha difficoltà economiche. Nelle Regioni del Sud la quota di “anziani risorsa” è mediamente più bassa che nel resto del Paese.
RELAZIONI E ATTIVITÀ
La partecipazione a eventi sociali coinvolge il 20% degli ultra 64enni, il 18% dichiara di aver partecipato a gite o soggiorni organizzati, il 5% frequenta un corso di formazione. La partecipazione a questi eventi si riduce con l’età ed è decisamente inferiore fra le persone con un basso livello di istruzione e tra chi ha difficoltà economiche.
DISABILITÀ E FRAGILITÀ
13 anziani su 100 risultano disabili (cioè non sono in grado di compiere almeno una delle funzioni fondamentali della vita quotidiana: mangiare, vestirsi, lavarsi, spostarsi da una stanza all’altra, essere continenti, usare i servizi per fare i propri bisogni). La disabilità cresce con l’età (dopo gli 85 anni interessa 4 anziani su 10: 41%); è mediamente più frequente fra le donne (16% vs 10% uomini), fra le persone socio-economicamente svantaggiate (28%) rispetto a chi non ha problemi economici (9%) o fra chi ha bassa istruzione (24%) rispetto a chi ha un livello di istruzione alto (7%). La quasi totalità delle persone con disabilità (99%) riceve aiuto, ma questo carico di cura e di assistenza è per lo più sostenuto dalle famiglie. Il 39% è aiutato da badanti e l’11% da conoscenti. L’11% ha ricevuto aiuto a domicilio da operatori socio-sanitari e meno del 2% ha ricevuto assistenza presso un centro diurno (il 3% è sostenuto da associazioni di volontariato). Una persona su 4 con disabilità riceve un contributo economico (esempio: assegno di accompagnamento) ed esiste un gradiente Nord-Sud a svantaggio dei residenti nel Sud Italia (16% vs 13% nel Centro e 10% nel Nord).
FRAGILITÀ GRAVE
Dai dati di Passi d’Argento risultano fragili (fragile: persona non disabile ma non autonoma nello svolgimento di due o più funzioni complesse: preparare i pasti, effettuare lavori domestici, assumere farmaci, andare in giro, gestirsi economicamente, utilizzare un telefono) circa 17 persone su 100, senza differenze significative tra uomini e donne. La fragilità è anch’essa associata allo svantaggio socio-economico (25% vs 13%) e alla bassa istruzione (25% vs 12%).
BUONA SALUTE E SOLITUDINE
Il 91% della popolazione ultra 64enne giudica complessivamente positivo il proprio stato di salute (“discreto” il 45%, “bene” o “molto bene” il 46%), il restante 9% invece riferisce che la propria salute “va male” o “molto male”.
Nel biennio 2022-2023, il 16% degli intervistati ha dichiarato che, nel corso di una settimana normale, non ha avuto contatti, neppure telefonici, con altre persone e ben il 75% riferisce di non aver frequentato alcun punto di aggregazione. Complessivamente il 15% degli intervistati riferisce di non aver fatto né l’una né l’altra e quindi ha vissuto in una condizione di isolamento sociale. Tale isolamento non mostra significative differenze di genere, ma è più frequente fra gli ultra 85enni (32%), tra chi ha un basso livello di istruzione (24%), tra chi ha maggiori difficoltà economiche (27%) e fra i residenti nelle Regioni meridionali (20% vs 13% nel Centro e 10% nel Nord). Questo isolamento coinvolgeva il 20% degli ultra 64enni nel 2016-2017 ed è sceso al 17% nel 2018-2019, a poco meno del 16% nel 2020-2021 e nel biennio 2022-2023 è arrivato al 15%.
DEPRESSIONE
Dai dati di Passi d’Argento del biennio 2022-2023 risulta che 9 anziani su 100 soffrono di sintomi depressivi e percepiscono compromesso il proprio benessere psicologico per una media di 17 giorni (nel mese precedente l’intervista). Fra queste persone anche la salute fisica risulta compromessa: nel mese precedente l’intervista, chi soffre di sintomi depressivi ha vissuto mediamente 15 giorni in cattive condizioni fisiche (solo 5 giorni riferiti dalle persone libere da sintomi depressivi) e circa 13 con limitazioni alle attività quotidiane abituali (tabella 1). I sintomi depressivi sono più frequenti all’avanzare dell’età (14% dopo gli 85 anni), nella popolazione femminile (13%) rispetto agli uomini (6%), tra le classi socialmente più svantaggiate (28%) rispetto a chi non riferisce difficoltà economiche (6%), in chi ha basso livello di istruzione (13% chi ha al più la licenza elementare vs 7% fra i laureati), tra chi vive solo (14%) e fra le persone con patologie croniche (18% in chi ha due o più patologie vs 5% in chi non ne ha). Il 25% delle persone con sintomi depressivi non chiede aiuto: chi lo chiede si rivolge nel 24% dei casi ai propri familiari/amici, nel 14% a un medico/operatore sanitario e nella maggior parte dei casi (36%) a entrambi, medici e persone care.
Tabella 1. Frequenza di sintomi di depressione e di richiesta di aiuto, e numero medio di giorni in cattiva salute in un mese. Fonte: Studio Passi d’Argento.
Dal punto di vista dell’andamento temporale la prevalenza di sintomi depressivi descrive un trend in significativa riduzione dal 2016 al 2023 in tutte le classi di età. Infine, il gradiente geografico che vedeva nel passato il Sud d’Italia come l’area con una prevalenza maggiore di sintomi depressivi oggi vede nelle Regioni del Centro quelle maggiormente coinvolte, con una prevalenza media del 13% (8,6% nel Nord e 9,9% nel Sud).
Per chi è interessato a maggiori dettagli, nel sito web dell’indagine (https://www.epicentro.iss.it/passi-argento/info/info) sono disponibili informazioni su tutte le dimensioni indagate e con risultati specifici per regione.
SUGGERIMENTI E PROPOSTE
Molte quindi sono le indicazioni che lo studio fornisce, non solo ai singoli soggetti al fine di implementare attività (ad esempio: abitudini di vita più salutari) che favoriscano il prolungarsi di una anzianità in buona salute, ma soprattutto al servizio sanitario per attivare iniziative di programmazione adeguate per affrontare le criticità emerse. Molta attenzione merita, ad esempio, il tema della solitudine, atteggiamento che influisce in maniera importante sulla qualità della vita e sulla salute: in un mondo sempre più digitalizzato (e che quindi può favorire l’isolamento) diventa fondamentale costruire reti e relazioni, avere contatti (anche solo telefonici) con altre persone, frequentare luoghi di aggregazione, e così via, in modo che possa migliorare non solo il benessere personale ma anche quello delle comunità. Questa indicazione, che ha ovviamente anche un valore di tipo generale, risulta particolarmente pertinente proprio per la popolazione anziana in virtù dei dati che dimostrano quanto sia presente in queste fasce di età il problema della solitudine.
Sempre in tema di criticità due aspetti meritano di essere sottolineati affinchè si possano implementare attività indirizzate ad un loro superamento: da una parte l’evidenza che le maggiori problematicità si concentrano negli anziani con basso livello di istruzione o economicamente svantaggiati, dall’altra le differenze geografiche che vedono concentrarsi diversi elementi di negatività nelle regioni del sud del paese. Il primo argomento, che chiama in causa oltre alla sanità ed alla sociosanità anche l’assistenza sociale, indirizza, tra altre, verso attività di formazione, di educazione, di accompagnamento e supporto che possano portare alla riduzione, ad esempio, delle abitudini dannose ed a favorire la socializzazione; il secondo, invece, suggerisce di incentivare le attività nelle regioni che più ne hanno bisogno, evitando interventi distribuiti a pioggia che finiscono per non incidere là dove le necessità sono maggiori.
PER UN CAMBIO DI MENTALITÀ
Passando invece agli aspetti di positività, e prendendo atto che il gruppo di persone ultra64enni continuerà a crescere (e col numero cresce anche la durata complessiva della vita), è necessario un cambiamento profondo per la nostra società che deve cominciare a considerare queste persone non come “anziani” oggetto di assistenza (e quindi come un peso, un costo, un fastidio) ma come risorsa, per se stessi, per le famiglie e per la società intera. Il concetto di “anziano-risorsa” parte da una visione positiva della persona in continuo sviluppo e in grado di contribuire, in ogni fase della vita, alla crescita individuale e collettiva. L’anziano-risorsa è un soggetto che, come scrive il sito web di PASSI d’Argento, “partecipa ad attività per mantenere la salute fisica e mentale, per accrescere la qualità delle relazioni interpersonali e migliorare la qualità della propria vita, contribuendo a ridurre il livello di dipendenza dagli altri e allo stesso tempo rappresentando una risorsa per la collettività”.