Sul welfare state, che è stata la più grande innovazione sociale del Ventesimo secolo, si gioca una partita decisiva per il futuro della democrazia.
Qualità della vita e benessere non sono minacciati solo da povertà crescenti, da disuguaglianze che si radicalizzano, dall’inverno demografico, da carenza di risorse pubbliche, o da politiche sociali inadeguate.
Qualcosa d’altro sta indebolendo i sistemi di welfare: la precarietà dei legami familiari e, in generale, l’insicurezza e la fragilità delle relazioni umane.
Nel recente discorso di Trieste, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha osservato: “Al cuore della democrazia ci sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita, le espressioni civili, sociali, economiche che sono frutto della loro libertà, delle loro aspirazioni”. E inoltre ha citato una grande intuizione di Alexis de Tocqueville, quando affermava che una democrazia senza anima è destinata a implodere.
La crisi della democrazia non sta certamente solo nelle difficoltà del welfare state. La “caduta” dello stato sociale è però uno dei nodi più importanti della disillusione democratica che si sta vivendo, della diffidenza sempre più marcata verso la classe politica e istituzionale.
In Italia, le famiglie in povertà assoluta sono l’8,5 per cento del totale e corrispondono a circa 5,7 milioni di individui. Sono saliti a 4,5 milioni gli italiani che rinunciano a curarsi, sia per ragioni economiche, sia per effetto della lunghezza delle liste d’attesa. Secondo i dati della Commissione europea, il 28,4 per cento delle persone con disabilità rischia l’esclusione sociale. Infine, sono meno del 30 per cento i bambini al di sotto dei 3 anni a cui è assicurato un servizio educativo (Francia e Spagna sono al di sopra del 50 per cento).
Il sistema che garantiva l’assistenza sanitaria nazionale, le pensioni adeguate a una vita dignitosa, un’istruzione garantita a quasi tutti i livelli sociali e soprattutto la coesione di una società che credeva nella crescita e nello sviluppo, oggi è in crisi e non rassicura più i cittadini.
Il welfare è il punto da cui partire per provare a ricostruire coesione, fiducia e quindi partecipazione alla vita pubblica. Innanzitutto concependolo per ciò che è: un investimento che supporta lo sviluppo, oltre che un segno di civiltà nell’esprimere la solidarietà collettiva.
Per questa ragione va rafforzato e riformato. Va incentivato il lavoro al suo interno e va rivista e in parte attuata la sua governance. Le politiche sociali non hanno mai veramente realizzato quella presa in carico della persona bisognosa, attraverso servizi integrati, pubblici e non profit, all’interno di una rete, servizi che sono rimasti pochi e disomogenei sul territorio nazionale.
Occorre una riorganizzazione dello Stato, dal centro alle Regioni agli enti locali, perché si doti degli strumenti per conoscere e monitorare l’andamento dei bisogni e delle risposte.
Quindi va attuata la sussidiarietà come responsabilità nel rappresentare anche coloro che non hanno voce (i bambini figli di genitori poveri, le persone anziane non autosufficienti, chi ha malattie fisiche e mentali, oppure non ha reddito o lo ha troppo basso) e come ricerca della migliore soluzione che nasce dalla collaborazione tra diversi livelli di amministrazione pubblica e con le realtà del privato sociale.
La cultura della sussidiarietà appare particolarmente efficace nell’affrontare i problemi complessi perché si preoccupa di valorizzare esperienze, conoscenze e casi di eccellenza e su questi costruire delle partnership. Ma soprattutto perché la sua anima consiste proprio nell’immedesimazione con il bisogno della persona.
Una parte fondamentale del successo di un servizio di cura e assistenza infatti è la qualità della relazione che si instaura tra i soggetti coinvolti, l’empatia che viene vissuta. Anche la stessa tecnologia va utilizzata in questo senso, per sostenere il rapporto umano, non per eliminarlo. Le persone sono la loro storia, e le persone da sole si perdono. Nelle relazioni scopriamo il nostro “io” autentico e generiamo "benessere".
Quindi la primaria necessità del rinnovamento del welfare è quella di un contesto relazionale. A Milano oltre il 50 per cento dei nuclei familiari è composto da singoli.
Non esiste bonus o trasferimento monetario in grado di sottrarre un essere umano bisognoso all’abisso della marginalità e della solitudine. Sentirsi parte di una comunità è il primo requisito di una democrazia.
*Si ringrazia Il Sole 24 Ore per la concessione all'uso