Appare sempre più estesa la consapevolezza che occorra raffreddare le cattive pratiche che determinano insostenibilità a livello globale. Con ricadute altamente critiche sulla vita sociale e individuale. Non mancano i tentativi strategici per imprimere una svolta significativa. In particolare, sull’utilizzo efficiente delle risorse, vedi il programma del Green Deal Europeo. Tuttavia, per avviarsi in concreto sul terreno di una realistica e urgente sostenibilità, è dirimente far entrare in gioco un metodo e una visione condivisi, una tenace e forte collaborazione fra i diversi attori. Insomma, una cultura sussidiaria quale leva attrattiva per promuovere dialoghi fertili, portatori sani di cambiamento. Per generare bene comune.
Vi è una crescente consapevolezza che il modello lineare nelle attività produttive – risorse/produzione/uso dei beni/materiali di scarto – non è sostenibile.
Tale giudizio deriva dal peggioramento di molti aspetti del sistema naturale e dalle conseguenti implicazioni quanto alla qualità della vita.
Esiste un indicatore, l’Earth Overshoot Day (EOD), che calcola da quale giorno dell’anno il consumo di risorse a livello della popolazione mondiale comincia a eccedere (overshoots) la capacità del globo di rigenerare le risorse utilizzate.
Quest’anno, 2022, l’overshoot day è stato il 28 luglio; vent’anni fa, 2002, era il 18 settembre; cinquant’anni fa, 1972, il 10 dicembre. Benché tale indicatore descrittivo abbia dei limiti, è comunque significativo del fatto che vi sono problemi di sostenibilità delle attività umane, di produzione e consumo.
I peggioramenti dell’ecosistema
Ogni anno che passa l’atmosfera si riscalda, il clima cambia, aumentano le aree di prolungata siccità, nonché lo scioglimento di ghiacciai in aree del mondo dove la popolazione dipende dalla loro presenza per la risorsa acqua. Degli otto milioni di specie presenti sul pianeta, un milione è a rischio di estinzione. Assistiamo all’inquinamento e alla distruzione di foreste e oceani.
I fattori alla base dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità hanno dimensione mondiale; ancor più, le conseguenze di tali cambiamenti sulla vita sociale e individuale si diffondono in tutto il mondo.
I Paesi più poveri e a basso livello di sviluppo sono i meno responsabili dei fenomeni di inquinamento indicati, ma ne patiscono le conseguenze e accusano di tale ulteriore peso socioeconomico i Paesi più avanzati.
I programmi in atto, che cercano di rispondere ai problemi descritti e alla conseguente mancanza di sostenibilità, oggi e soprattutto per le generazioni future, sono decisivi, per affrontare quanto detto? Ovvero, in altri termini, che cosa potrebbe rafforzarli e renderli veramente efficaci?
Il tentativo di analizzare e affrontare i problemi dei peggioramenti nell’ecosistema, risale ormai ad almeno cinquanta anni fa. Nel 1972 il Club di Roma chiese al MIT un rapporto che verificasse le conseguenze di una continua crescita economica in un sistema con risorse finite1. Quindici anni dopo, il Rapporto Brundtland2 introdusse il concetto di sviluppo sostenibile: “Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Tali tematiche sono state incluse nella definizione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals – MDGs) nel 2015.
A marzo 2020 la Commissione Europea ha presentato il Green Deal Europeo3, considerato la tabella di marcia per raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050. Il Green Deal è in linea con una nuova potenziale strategia industriale, che intende basarsi su prodotti più sostenibili, la riduzione dei rifiuti, la possibilità dei consumatori di mantenere più a lungo i beni che si utilizzano, ad esempio attraverso il “diritto alla riparazione”4, il massimo recupero e il minimo uso di risorse naturali non riproducibili.
Mettere in circolo per superare il corto circuito
Nel febbraio 2021 il Parlamento europeo ha votato il nuovo piano d’azione5 che stabilisce le misure ritenute adeguate a raggiungere gli obiettivi del Green Deal; infine la Commissione Europea, nel marzo 2022, ha pubblicato un insieme di misure per accelerare la transizione verso quella che viene indicata come economia circolare, un modello di produzione e consumo caratterizzato dal riuso, mediante riparazione, ricondizionamento e riciclo, dei materiali e prodotti esistenti resi possibili da una consistente collaborazione con le modalità di consumo e di vita sociale.
La riconciliazione e la necessaria compatibilità fra preoccupazioni economiche e ambientali era già stata espressa, in anni precedenti, dai termini “crescita sostenibile”, “crescita verde”, “sviluppo sostenibile”; l’ipotesi di dematerializzazione dell’economia era già nel concetto di sostenibilità ambientale, sociale ed economica proposto dal Rapporto Brundtland. Il termine economia circolare intende sottolineare la relazione fra tali dimensioni e la conseguente modalità operativa per intervenire6.
Secondo la definizione che ne dà l’Unione Europea, l’economia circolare è un modo di produrre, di consumare e usare risorse naturali e beni, nel quale il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto il più a lungo possibile e il livello dei rifiuti è minimizzato. In sintesi, dunque, l’ipotesi di economia circolare si è costruita sulla base di una “collezione” di concetti, ad esempio “economia ecologica, ecologia industriale, annullamento degli scarti nelle produzioni (il cosiddetto approccio cradle-to-cradle7), biomimetica8, produzione “pulita”9.
Sono state elencate oltre cento definizioni di circolarità e spesso tale termine sembra significare cose diverse per le persone e le istituzioni10. Resta comunque il fatto che l’economia circolare si caratterizza per la complessità di elementi che considera. Di conseguenza, le innovazioni radicali che si ritengono necessarie sono enormi e non facili.
Si ritiene che l’applicazione di un approccio basato sull’economia circolare, ancorché con costi rilevanti nel periodo iniziale, avrebbe benefici monetari tali da superare di molto i costi nel lungo termine. Si tratta tuttavia di un enorme circuito di co-laborazione fra diversi soggetti, pubblici e privati: del mondo amministrativo, di quello produttivo e dei comportamenti di consumo. La mancanza di tale circuito ampio e consistente renderebbe non solo difficile raggiungere gli obiettivi (e renderebbe assai minori i benefici) ma anche più costoso produrre secondo modalità che usano materiali e risorse in modo che siano sostanzialmente re-inseribili ed effettivamente re-inserite in ulteriori processi.
Esperienze di approcci più ecologici
È, quindi, difficile dire con sicurezza che le imprese sarebbero interessate a un simile approccio rispetto a quello della catena produttiva sostanzialmente lineare.
Inoltre, occorre un radicale cambiamento nei modi di consumo, dove gli attori passino dall’essere “consumers” all’essere “user”, con una capacità di accettare tempi e modi di riutilizzo che nei comportamenti attuali sono assenti: ad esempio passare dal volere beni in proprietà all’uso di servizi; accettare tempi meno certi di quelli del puro rapporto lineare tra venditori e acquirenti; accettare manufatti e beni che “sanno di vecchio”.
Tutto questo implica un cambiamento culturale: “ad esempio, quando la sensazione di un iPhone che diventa ‘vecchio e lento’ si combina con la possibilità di un iPhone circolare o ‘verde per design’, qualsiasi impulso attento all’ambiente, nel consumatore, verrebbe spesso represso dall’intenso desiderio del nuovissimo iProduct”.
Incanalare imprese e consumatori verso gli opportuni comportamenti mediante una consistente pressione del sistema pubblico, verrebbe percepito da molti come una punizione in termini di giustizia sociale.
Infine, almeno nel lungo periodo, non è garantita la piena sostenibilità ecologica, poiché in ogni caso le risorse naturali sono comunque punto di partenza e anche perché, afferma Mavropoulos, “pochissimi materiali che escono da circuiti circolari sono più economici dei materiali vergini”11.
Esperienze di approcci più “ecologici” nel produrre, sono comunque in atto in diverse imprese. Anche in Italia assistiamo all’emergere di tali innovatori; così come – si vedano esempi nel presente numero della rivista – crescono le politiche impostate sull’obiettivo ecologico a livello nazionale e locale.
Il libro Dallo spreco al valore mostra12 come diversi organismi siano già impegnati nel gettare le fondamenta di un tale lavoro, con l’obiettivo di trasformare in concreta realtà l’economia circolare e coglierne quanto prima i benefici.
È evidente che avviarsi su tale sentiero implica sia una cultura condivisa, pronta e tenace, che una forte collaborazione fra i diversi attori: in altri termini una cultura sussidiaria, che condivida il giudizio positivo su tale cammino, accetti le difficoltà e gli implicati cambiamenti di comportamento; evidenzi una capacità di dialogo fra i diversi attori: senza dialogo, anche forme di cambiamento nel fare, nel produrre, nel comportarsi, potrebbero non generalizzarsi, non rendersi bene comune.
NOTE
1. D.H. Meadows et al., I limiti dello sviluppo: rapporto del System Dynamics Group Massachusetts Institute of Technology (MIT) per il progetto Club di Roma sui dilemmi dell’umanità, Biblioteca della EST (Edizioni Scientifiche e tecniche Mondadori), 1972.
2. World Commission on Environment and Development (1987), Report of the World Commission on Environment and Development: Our Common Future, http://www.un-documents.net/our-common-future.pdf
3. Il Green Deal Europeo consiste in una serie di azioni volte a promuovere un utilizzo efficiente delle risorse, un’economia circolare.
4. I produttori devono rispettare precisi criteri per progettare e realizzare beni durevoli, ma anche rendere disponibili pezzi di ricambio e fornire le istruzioni per la riparazione. Sono alcune delle regole introdotte dal diritto alla riparazione, un’iniziativa approvata lo scorso marzo dall’Unione Europea che mira a limitare l’obsolescenza programmata e a ridurre l’impatto ambientale.
5. Risoluzione del Parlamento europeo del 10 febbraio 2021 sul nuovo piano d’azione per l’economia circolare (2020/2077(INI))
6. M. Sarja, T. Onkila, & M. Mäkelä, A systematic literature review of the transition to the circular economy in business organizations: Obstacles, catalysts and ambivalences, in Journal of Cleaner Production, vol. 286, 125492, marzo 2021.
7. In pratica, il cradle-to-cradle è un ripensamento radicale del processo di progettazione, poiché abbraccia l’intero ciclo di vita di un prodotto, non solo la fase di utilizzo. L’idea di cradle-to-cradle fa parte del concetto di economia circolare, concetto più ampio, che intende internalizzare più compiutamente gli aspetti ambientali nel funzionamento dei sistemi economici.
8. Per biomimetica si intende una forma creativa di tecnologia, capace di utilizzare o imitare la natura nel “riprodurre” le risorse.
9. Korhonen et al., Circular Economy: The Concept and its Limitations, in Ecological Economics, vol. 143, gennaio 2018, pp. 37-46.
10. Kirchherr et al., Conceptualizing the circular economy: An analysis of 114 definitions, in Resources, Conservation and Recycling, vol. 127, dicembre 2017, pp. 221-232.
11. A. Mavropoulos, & A.W. Nilsen, Industry 4.0 and Circular Economy: Towards a Wasteless Future or a Wasteful Planet?, John Wiley & Sons, 2020.
12. P. Lacy, J. Rutqvist, B. Lamonica, Circular Economy. Dallo spreco al valore, Egea, Milano 2016.