Trimestrale di cultura civile

L’impatto della pandemia sull’occupazione e altri indicatori di benessere in Perù

  • AGO 2021
  • Gustavo Yamada

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Prima dell’epidemia globale il Paese latinoamericano viveva la sua primavera economica: crescita e riduzione della povertà. Come della disoccupazione. Poi, con la crisi da Covid-19 anche una profonda lacerazione politica che ha portato a numeri preoccupanti. Come si evince da tutti gli indicatori. Così anche la qualità del lavoro è venuta a patirne: precarietà, meno tutele, aumento considerevole e preoccupante di occupazione non contrattualizzata. In questo contributo diverse ipotesi su come far ripartire il lavoro nel segno della trasparenza e della dignità.

Gli indicatori prima del Covid-19
Prima della crisi da Covid-19, l’economia peruviana aveva evidenziato per due decenni consecutivi un’elevata capacità di crescita economica, generatrice di occupazione e riduzione della povertà. Infatti, tra il 2000 e il 2019, il PIL è cresciuto con un tasso medio annuo del 4,8% (BCRP, 2020), mentre la popolazione è aumentata a un tasso medio annuo dell’1,1% (INEI, 2020).
Questo ha implicato un tasso di crescita moderatamente alto del reddito pro capite, che ha raggiunto i 6.800 dollari alla fine del 2019.
Da parte sua, il tasso di disoccupazione esplicita misurato ufficialmente nell’area metropolitana di Lima, la capitale, è sceso dal 9,4% del 2003 al 6,3% del 2019, mentre il tasso di sottoccupazione (dovuto al calo delle ore di lavoro o alla riduzione dei guadagni) è sceso dal 56% al 32% della forza lavoro. Tuttavia, il tasso di lavoro informale non si è ridotto molto significativamente, rimanendo ancora al di sopra del 70% della popolazione: è infatti diminuito dal 79% al 72% (Lavado & Yamada, 2021). Questo è un dato importante per spiegare la dinamica degli effetti economici e sociali della pandemia e le politiche adottate per affrontarla.
Nel caso della povertà monetaria, anche come risultato del precedente boom economico, è stata registrata una riduzione da record storico. L’incidenza della povertà, misurata come proporzione della popolazione peruviana il cui reddito totale è insufficiente per acquistare un paniere di consumo di base (composto da generi alimentari sufficienti a evitare deficit calorici e proteici e altri articoli di consumo come abbigliamento, alloggio, trasporti e comunicazioni) è scesa dal 58% nel 2001 al 20% nel 2019 (INEI, 2020). Anche la disuguaglianza di reddito è diminuita: il coefficiente di Gini è sceso da 0,54 a 0,43, anche se rifletteva ancora tassi di disuguaglianza elevati, simili alla media di altri Paesi latinoamericani (Yamada, Francisco, & Oviedo, 2016; Winkelried & Escobar, 2020).
Per questo si è parlato della nascita e dell’espansione di una classe media peruviana emergente (IDB, 2020) che vive sia nella megalopoli di Lima (con quasi 10 milioni di abitanti) sia nelle città di medie dimensioni (capitali delle 25 regioni) e anche nelle zone rurali, grazie al boom dell’estrazione del rame e dell’oro e alla promozione di nuove e moderne attività di agro-esportazione (frutta e verdura, prodotti ad alto valore aggiunto che grazie ai moderni processi di imballaggio e conservazione arrivano e vengono acquistati freschi nei mercati con maggior potere d’acquisto in Nord America, Europa e Asia). Tuttavia, come vedremo in seguito, molti di questi risultati non erano ancora consolidati ed erano vulnerabili a shock negativi di grande portata, come è accaduto con la crisi del Covid-19.
Erano presenti altri due elementi nel contesto precedentemente descritto, che aiutano a spiegare perché l’economia e la società peruviana hanno sofferto molto di più, in termini relativi, l’impatto della pandemia: l’instabilità politica degli ultimi anni e l’offerta carente di servizi pubblici per la maggior parte della popolazione, anche e soprattutto nel caso della salute pubblica e dell’istruzione.
Dal 2016, il confronto tra il potere esecutivo guidato da un gruppo politico e il Congresso dominato da un differente partito di opposizione ha portato a livelli record di dimissioni e censure di ministri e gabinetti, con politiche pubbliche e squadre di funzionari, compresi quelli dei settori sociali, che cambiavano costantemente. Queste crisi successive si sono concluse con le dimissioni del presidente Kuczynski e la sua sostituzione con il vicepresidente Vizcarra, che a sua volta ha chiuso il Congresso e chiesto l’elezione di un nuovo Parlamento. Questo nuovo Congresso ha poi esonerato Vizcarra, sostituendolo con il presidente del Congresso Merino, che a sua volta è stato costretto a dimettersi in meno di una settimana a causa delle proteste popolari nei suoi confronti.
Alla fine è stato eletto il deputato di un raggruppamento lontano dai due partiti dominanti contrapposti: Francisco Sagasti, uno studioso di scienze sociali e politiche, scientifiche e tecnologiche, che è stato il presidente della transizione da novembre 2020, prima della conclusione delle elezioni, fino a luglio 2021. È solo con il presidente Sagasti che i governi si sono relativamente stabilizzati, ed è stato possibile acquistare i vaccini e iniziare il processo di distribuzione (piuttosto in ritardo rispetto al resto del mondo).
L’altro fattore strutturale negativo nell’affrontare la crisi Covid è stato il pessimo stato dei servizi sanitari pubblici del Paese: ospedali e centri di assistenza sanitaria di base mal equipaggiati, con settimane e mesi di attesa e medicinali insufficienti. La situazione critica è esemplificata dalla disponibilità di letti ospedalieri: il Perù, un Paese di 33 milioni di persone, aveva un totale di 3.000 letti all’inizio della pandemia, di cui solo 100 in unità di terapia intensiva (El Peruano, 2020). Questo contesto, insieme alla limitata disponibilità di ossigeno a uso medico, lasciava presagire un numero molto elevato di morti, se non si fossero adottate misure drastiche di confinamento delle attività economiche all’insorgere della pandemia.


Il Covid in Perù e l’impatto sull’economia e l’occupazione
Da quando i primi casi di Covid sono stati segnalati alla fine del 2019 in Cina e in Europa, le immagini del collasso dei sistemi ospedalieri in Paesi sviluppati come l’Italia e la Spagna, e le misure che Paesi autoritari come la Cina stavano prendendo, hanno fortemente influenzato la percezione di ciò che sarebbe potuto accadere in Perù e di ciò che si sarebbe dovuto fare per evitare un numero eccessivo di morti.
L’allora presidente Vizcarra decise di “agire preventivamente” e adottare una delle due misure più drastiche durante il suo breve mandato presidenziale (l’altra fu quella di chiudere il Congresso, evento eccezionale in un regime presidenzialista come quello peruviano): paralizzare completamente l’economia (a eccezione del sistema finanziario e dei servizi essenziali come i negozi alimentari e le farmacie) da lunedì 16 marzo 2020 per due settimane, con la promessa che quei quindici giorni sarebbero stati sufficienti per guadagnare tempo, mentre il sistema sanitario si preparava a rispondere alla domanda che sarebbe stata generata dal Covid.
Naturalmente, le due settimane di confinamento e di reclusione sono risultate insufficienti. Quella che era una delle paralisi più drastiche a livello mondiale è durata quasi sei mesi, poi progressivamente, in fasi successive, con passi avanti e battute d’arresto, l’economia è andata riaprendosi, anche se, dopo 15 mesi di emergenza, ci sono ancora interi settori dell’economia, come l’istruzione in presenza (a tutti i livelli), il cinema e i concerti, che rimangono completamente chiusi.
Il costo economico in termini di perdita di posti di lavoro e aumento della povertà è stato enorme. Nell’aprile 2020, il PIL ha avuto un impressionante calo del 40% e la ripresa è stata così lenta che alla fine del 2020 c’era ancora un calo annuale accumulato del PIL del 12% (una depressione simile non si verificava nell’economia peruviana dall’epoca dell’iperinflazione e del terrorismo negli anni Ottanta).
Il governo ha cercato di compensare questa chiusura economica concedendo alle famiglie povere due indennità temporanee, per un totale di circa 300 dollari. La distribuzione ha avuto molti problemi logistici, a cominciare dall’assenza di liste aggiornate delle categorie di popolazione da assistere e da problemi di congestionamento fisico nelle filiali bancarie dove i beneficiari cercavano di incassare tali indennità. A causa di queste e altre misure di politica fiscale espansiva, il deficit fiscale è salito all’8,9% del PIL, un deficit di una entità che non si registrava dalla crisi degli anni Ottanta. Fortunatamente, il Tesoro aveva accumulato risparmi negli ultimi anni e aveva la possibilità di attuare emissioni obbligazionarie internazionali a tassi di interesse competitivi, come Paese finanziariamente affidabile.
Nello stesso tempo, il successo dello schema di politica monetaria con inflazione programmata degli ultimi venti anni ha permesso una politica monetaria espansiva record per sostenere l’attività economica a un costo – storicamente basso – dello 0,25% annuo per tutta la durata del confinamento. Inoltre, l’autorità monetaria e il Ministero delle finanze hanno progettato uno schema di garanzie statali per i nuovi crediti concessi dalla banca centrale alle istituzioni finanziarie, al fine di evitare una interruzione nella catena dei pagamenti dell’economia.
Uno degli aspetti più deplorevoli e frustranti di tutta questa crisi storica è che l’arresto quasi totale dell’economia non ha impedito al Perù di avere uno dei più alti livelli al mondo di mortalità assoluta (quinto al mondo) relativamente alla sua densità di popolazione. Infatti, è morto di Covid un peruviano su duecento. Ci sono stati oltre180.000 morti nei primi quattordici mesi della pandemia, secondo quanto indicato da un gruppo indipendente incaricato di effettuare una revisione obiettiva delle cifre. La cattiva gestione del settore sanitario nel contesto della simultanea crisi politica, economica e sanitaria aiuta a spiegare questi risultati negativi.
Le conseguenze nefaste della crisi economica sull’occupazione non si sono fatte attendere. Secondo l’Indagine permanente sull’occupazione condotta tra le famiglie dell’area metropolitana di Lima, il tasso di disoccupazione esplicita è salito dal 7,1% al 16,3% tra il primo e il secondo trimestre del 2020. Nel frattempo, il tasso di sottoccupazione è aumentato dal 34% al 46% tra il primo e il terzo trimestre del 2020. Peggio ancora, l’indagine ha stimato un calo della popolazione che si dichiarava occupata da 5 milioni a soli 2,2 milioni tra il primo e il secondo trimestre del 2020 (una riduzione drammatica del 56%, ancora più pronunciata del calo del PIL).
Tuttavia, è possibile che alcuni di questi risultati ottenuti attraverso interviste telefoniche alle famiglie (indagini che precedentemente erano condotte in presenza) abbiano sovrastimato l’impatto della crisi sull’occupazione. È possibile che alcuni degli intervistati che dichiarano di essere usciti dalla forza lavoro svolgano attività lavorative con modalità differenti, e questo non sia stato rilevato con precisione dagli strumenti tradizionali.
Questa supposizione si basa sulle evoluzioni osservate nei fogli elettronici che le imprese inviano al SUNAT, l’agenzia di riscossione delle imposte del Paese. Secondo le registrazioni riportate in tali database (che sono un vero e proprio censimento delle aziende attive nel Paese), il numero totale di posti di lavoro privati è sceso da 3,929 milioni a 3,277 milioni tra il primo e il secondo trimestre del 2020, con un calo del 16,6%, una riduzione molto minore di quella rilevata dalle indagini sulle famiglie.
Questa discrepanza sull’entità della crisi occupazionale, dovuta alle diverse fonti di misurazione, dovrebbe suggerire la necessità di una valutazione accurata di tali strumenti e di un miglioramento sostanziale della qualità delle statistiche sull’occupazione. In questo senso, mentre l’indagine nazionale sulle famiglie, che serve come fonte per la misurazione della povertà, ha mantenuto standard elevati e molta trasparenza, crediamo che l’Indagine permanente sull’occupazione applicata all’area metropolitana di Lima, negli ultimi due decenni sia rimasta indietro. Per cominciare, dovrebbe essere estesa alle principali città e avere moduli più completi per rilevare l’occupazione e il reddito, in un Paese con un’alta informalità come il Perù.
Un altro risultato drammatico è stato l’aumento della povertà monetaria, che ha avuto un fortissimo incremento del 50%: dieci punti percentuali, dal 20% del 2019 a un drammatico 30% nel 2020. Questa involuzione rappresenta una battuta d’arresto dopo un decennio di lotta contro tale flagello. Il reddito medio è sceso del 20%, molto meno dell’aumento registrato nell’incidenza della povertà, il che indicherebbe che la popolazione che ha contribuito ad aumentare la povertà aveva redditi già vicini alla linea di povertà (costo del paniere di consumo di base), quindi era vulnerabile a qualsiasi calo significativo del reddito. Si tratta dei gruppi di popolazione che potevano essere classificati come non poveri, ma vulnerabili, e che sono saliti nella scala dell’attenzione a seguito di questa crisi, come di qualsiasi possibile crisi futura.
Sono lavori informali senza meccanismi di protezione sociale, destinati a venir meno rapidamente di fronte a qualsiasi crisi, che non si può escludere che si ripeta, in un’economia globale volatile e soggetta a molte incertezze. Sarebbe auspicabile che una parte significativa di questi lavori entri in una nuova formalità, più semplificata e praticabile.

Prospettive e opportunità di riforma
Il pieno ritorno delle attività economiche ai livelli precedenti la pandemia potrà essere assicurato solo quando il processo di vaccinazione avrà ottenuto l’immunità di gregge desiderata, che si stima di raggiungere quando il 70% della popolazione sarà stata vaccinata. In Perù si prevede che questa situazione sarà raggiunta nel migliore dei casi durante il primo semestre del 2022.
Nel frattempo, la ripresa graduale delle attività durante il 2021 si potrebbe riflettere in un rimbalzo positivo dell’economia di circa il 10%. Le elezioni generali tenutesi tra aprile e giugno scorso hanno purtroppo aggravato lo stato di incertezza sul futuro dell’economia, e il loro epilogo ritardato nelle ultime settimane ha mantenuto i timori che la situazione sfugga al controllo dell’amministrazione entrante a partire dal prossimo agosto. D’altra parte, il contesto esterno chiaramente favorevole (con il prezzo del rame, il principale prodotto d’esportazione del Perù, al massimo storico di oltre 4 dollari a libbra, e le economie statunitense e cinese che crescono oltre il 6%) permetterebbe la ripresa.
Tuttavia, la crisi ha portato l’incidenza del lavoro non contrattualizzato a circa l’80% della forza lavoro, ed è necessario un ritorno a un percorso più rapido di riduzione della stessa. I vantaggi in termini di produttività e tutela sociale (di fronte a qualsiasi crisi futura) di una modalità regolare del lavoro sono innegabili, quindi sarebbero necessarie riforme coraggiose per ridurla.
In un recente lavoro con Pablo Lavado (CIES, 2021) abbiamo condotto un’analisi completa della natura complessa e multidimensionale del fenomeno e abbiamo proposto diverse misure politiche per favorire la formalizzazione del lavoro.
1. Consolidare i regimi fiscali.
Suggeriamo l’esistenza di un unico regime generale di imposta sul reddito e la graduale eliminazione dei regimi promozionali esistenti che favoriscono l’atomizzazione delle imprese.
2. Semplificazione amministrativa.
Di fronte a una legislazione del lavoro voluminosa (che conta 136 norme con circa 2.000 articoli in totale), è necessario semplificare un gran numero di procedure inutili ed eliminarne altre; facilitare l’osservanza della legislazione in materia fiscale mediante procedimenti più semplici, dinamici e accessibili. Allo stato attuale delle norme, è troppo difficile per le micro, piccole e medie imprese rispettarle pienamente.
3. Remunerazione annuale integrata (RIA).
Distribuire tutti i compensi salariali in dodici parti uguali durante l’anno, invece di concentrare i compensi in alcuni mesi dell’anno.
4. Vigilanza sul lavoro.
Dovrebbe essere un accompagnamento aziendale più che una componente sanzionatoria, così che l’aver individuato inosservanze dei regolamenti, implichi la definizione di una guida per rimediare alle carenze evidenziate.
5. Protezione per i disoccupati.
Da un lato, si raccomanda di ottimizzare l’uso del fondo obbligatorio per il trattamento di fine rapporto (TFR) per sostenere le persone che hanno perso il lavoro. D’altra parte, si propone un reddito di base garantito per i lavoratori autonomi, in modo che essi siano protetti in caso di disoccupazione temporanea.
6. Incentivi per i lavoratori autonomi che si regolarizzano.
Potrebbe trattarsi, per esempio, di benefici fiscali, accesso ai servizi statali riservati alle aziende o prestazioni di assicurazione sociale.
7. Finanziamento a partire dal consumo.
Si dovrebbe fornire un incentivo agli acquisti tracciabili, di modo che una quota del pagamento dell’imposta associata venga restituita al consumatore e una ulteriore percentuale della stessa sia destinata a un fondo individuale per sanità e pensione.
8. Rendere più flessibile l’accesso al sistema sanitario per i lavoratori.
Oggi accade spesso che i cambiamenti nella condizione lavorativa generino una mancanza di protezione per lunghi periodi di tempo.
9. Rendere più flessibili i contratti di lavoro.
Si ritiene necessario modificare il quadro giuridico per permettere la rescissione individuale e cambiare la modalità del contratto lavorativo da tempo indeterminato a temporaneo per motivi legati alle prestazioni delle imprese.
Come recita il proverbio cinese, ogni grande crisi porta con sé anche grandi opportunità. Crediamo che questa mega-crisi Covid, con tutto il dolore e le perdite irreparabili che ha arrecato, abbia portato alla luce grandi falle nell’economia e nella società peruviana, ma abbia anche generato un crescente consenso sulle priorità delle politiche pubbliche e su specifici gruppi della popolazione, che vanno affrontate in Perù nei prossimi anni. È una grande opportunità per tornare sulla strada di uno sviluppo più umano.

Riferimenti bibliografici
Banca centrale di riserva del Perù (2020), Dati BCRP - variazione percentuale del PIL, Fonte: https://estadisticas.bcrp.gob.pe/estadisticas/series/anuales/resultados/PM04863AA/html
Banca interamericana di sviluppo (2020), Come accelerare la crescita economica e rafforzare la classe media: Perù, Fonte: https://publications.iadb.org/publications/spanish/document/Como-acelerar-el-crecimiento-economico-y-fortalecer-la-clase-media-Peru.pdf
Banca Mondiale (2020), Dati Banca Mondiale - PIL pro capite (dollari correnti), Fonte: https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.PCAP.CD?locations=XT
Il peruviano (2020), Più letti, più speranza, 18 settembre, Fonte: https://elperuano.pe/noticia/103911-mas-camas-mas-esperanza
Istituto Nazionale di Statistica e Informatica (2020), Statistiche sulla popolazione e sugli alloggi, Fonte: https://www.inei.gob.pe/estadisticas/indice-tematico/poblacion-y-vivienda/
Lavado P., & Yamada G. (2021), Sviluppo produttivo e occupazione: occupazione e informalità del lavoro nella nuova normalità, in Peru Debate 2021: proposte verso un migliore Bicentenario, Consorcio de Investigación Económica y Social, Fonte: https://www.cies.org.pe/sites/default/files/investigaciones/15._dp_empleo.pdf
Relazione finale del gruppo di lavoro tecnico a carattere temporaneo, sotto la Presidenza del Consiglio dei Ministri, creato con la risoluzione ministeriale n. 095- 2021-PCM per proporre i criteri di aggiornamento del numero di morti per Covid-19, Fonte: Informazione finale del gruppo di lavoro tecnico con la cifra dei caduti per il COVID-1: https://cdn.www.gob.pe/uploads/document/file/1920118/Informe%20final%20del%20grupo%20de%20trabajo%20técnico%20con%20cifra%20de%20fallecidos%20por%20la%20COVID-19.pdf
Winkelried D., & Escobar B. (2020), Calo della disuguaglianza in America Latina? Controlli di affidabilità per il Perù, SSRN, Fonte: https://ssrn.com/abstract=3802123
Yamada G., Francisco C. J., & Oviedo N. (2016), Rivedere il coefficiente di Gini in Perù: il ruolo delle politiche pubbliche nell’evoluzione della disuguaglianza, Working Papers 16-06, Centro di Ricerca, Università del Pacifico, Fonte: https://repositorio.up.edu.pe/handle/11354/1423

Gustavo Yamada è economista, professore e direttore del Centro di ricerca dell’Università del Pacifico (Lima, Perù). È stato viceministro presso il Ministero del lavoro peruviano, consulente per la Banca Mondiale e l’UNDP, economista senior presso la Banca Interamericana di Sviluppo ed economista fiscale presso il Fondo Monetario Internazionale di Washington.

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