Trimestrale di cultura civile

Un nuovo modo di pensare lo sviluppo

  • AGO 2021
  • Raghuram Rajan

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In un mondo dove stanno emergendo nuove forme di disuguaglianze, dove i pilastri economici e politici sono indeboliti, la comunità e le relazioni sociali sono il terzo pilastro di cui abbiamo bisogno. Prendersi cura solamente delle proprie economie e progettare forti politiche di incentivi non è sufficiente per intraprendere la strada della ripresa. La creazione di lavoro e le possibilità di crescita locale, l’applicazione effettiva del principio di sussidiarietà e la cooperazione tra Paesi sviluppati, in via di sviluppo ed emergenti sono motori cruciali dello sviluppo. Dobbiamo adottare la tecnologia per renderlo possibile.

La crescita di nuove disuguaglianze
Nel mondo stanno emergendo dei gravi problemi. È qualcosa che sta accadendo negli ultimi venti, trent’anni. Uno dei più importanti è quello della disuguaglianza, all’interno e tra i diversi Paesi. Ci sono troppe persone che possono approfittare delle opportunità offerte dal sistema capitalista. Prima della crisi finanziaria, uno dei tentativi per migliorare la disuguaglianza quando le persone non avevano lavoro era quello di dare loro un maggiore accesso al credito. Parte del boom edilizio, e soprattutto la soluzione abitativa destinata ai segmenti a basso reddito della società, è stata per molti versi la risposta. Anche se il reddito delle persone non cresceva, cresceva la loro ricchezza attraverso i beni immobiliari, affinché potessero ottenere un prestito. In effetti, guardando la disuguaglianza dei consumi nei Paesi industriali, e certamente negli Stati Uniti, non è aumentata quanto la disuguaglianza di reddito. Naturalmente, il divario è stato colmato dal settore finanziario attraverso una facile concessione dei finanziamenti.
Tuttavia, questa tendenza non poteva continuare per sempre e si è conclusa con la crisi finanziaria globale. Da allora abbiamo scoperto l’esistenza di disuguaglianze di vari tipi. Ciò non riguarda solo la tradizionale disuguaglianza nella società tra le diverse classi sociali. Nei Paesi industriali esiste anche una profonda disuguaglianza di luogo, in parte esacerbata dallo sviluppo delle tecnologie, per cui è molto meglio vivere in una megalopoli come New York o San Francisco rispetto ad abitare in un paesino sperduto.
La disuguaglianza di luogo si è tradotta a sua volta in una grave disuguaglianza di opportunità.

I luoghi che hanno perso le loro principali industrie, anche per via del mercato, sono stati travolti dalla disperazione; qui le scuole vanno verso il degrado e si registrano abusi di droga e alcol.

Sono le morti per disperazione così chiaramente documentate da Angus Deaton e Anne Case. La preoccupazione è che questo fenomeno stia cambiando significativamente la politica dei Paesi industriali, ma che stia anche cambiando la politica di molti mercati emergenti.
Il terzo pilastro: il ruolo della comunità e il principio di sussidiarietà
Dobbiamo concentrarci soprattutto su ciò che io chiamo comunità. Naturalmente, le idee a riguardo sono molte, ma consideriamo il concetto che solitamente si ha di una comunità: un luogo dove le persone si riuniscono per creare istituzioni locali come buone scuole, un ambiente sicuro e protetto in cui crescere i figli e così via.

Dobbiamo davvero prestare attenzione alla comunità, il terzo pilastro, se vogliamo che la gente partecipi agli altri due pilastri: l’economia di mercato (il lato economico) e il governo (il lato politico).

Uno dei grandi punti deboli del mondo di oggi è che le comunità di persone si sono disgregate. Di fatto, esse non sono più in grado di prendere parte agli altri due pilastri in un modo efficace. Riscontriamo il tipo di fratture e frizioni caratteristiche del mondo industriale che, inoltre, sta rovinando il mondo integrato e ha contribuito a farci arrivare dove siamo rispetto al punto in cui eravamo dopo la Seconda guerra mondiale.
L’accento sulle relazioni sociali è molto importante. Per certi aspetti abbiamo dato molto rilievo al primato del mercato sulle relazioni economiche. Tuttavia, laddove diventiamo più sviluppati e soddisfiamo i bisogni economici, constatiamo che i bisogni sociali vengono tralasciati. C’è una pandemia di solitudine che sta colpendo molti Paesi industriali, man mano che le persone invecchiano, e dobbiamo pensare a come muoverci in questo senso.
C’è, inoltre, qualcosa di molto rilevante da notare a proposito della diffusione dei mercati nel mondo. Il senso generale è che i mercati e i governi si oppongono tra loro (questa era la visione nel XX secolo) e ne sono emersi tutti questi movimenti, uno che dava risalto ai mercati e un altro ai governi. La realtà è che sono simbiotici. Dove i mercati sono più forti e integrati, c’è una spinta favorevole a un governo integrato più forte.

Con i mercati mondiali, c’è un impulso ad avere un governo mondiale e non una barra democratica che abbia voce in capitolo a livello locale o nazionale. E arriva molto in alto.

Pertanto, ciò che dobbiamo considerare mentre procediamo è se questa sia la strada che vogliamo davvero intraprendere. Per operare, le multinazionali hanno bisogno di una sorta di mondo senza confini o possono operare ugualmente bene con una perdita minima di efficienza, in un mondo con confini ragionevoli dove le persone abbiano il diritto democratico di stabilire in qualche modo le loro regole e normative?
È utile appellarsi a un principio cattolico chiamato principio di sussidiarietà, che afferma di non far salire le regole oltre il livello in cui i poteri devono essere esercitati, ma calarle a un livello più basso in cui possano essere esercitate con efficienza. Quando si stabiliscono le regole a cui dovrebbero sottostare le scuole primarie, perché determinarle a livello nazionale? Una comunità locale è in grado di comprendere le esigenze relative all’apprendimento dei suoi bambini più piccoli. Chiaramente, se vogliamo creare delle regole sul cambiamento climatico, dobbiamo discutere a livello globale perché ci riguarda tutti, ma un consenso dovrebbe anche arrivare dal basso. Se le regole sul cambiamento climatico vengono discusse al vertice e poi trasmesse alla base come ordini provenienti da qualche fumosa stanza di Parigi, dove sono state prese, si scatena una reazione. Se le persone non vengono rese partecipi di questo processo decisionale, non obbediranno alle norme che vengono stabilite. È ciò che succede in Francia con le tasse sul carbonio (Carbon tax) o sulla benzina.
Il punto fondamentale è che dobbiamo riaffermare la democrazia, il che significa, in un certo modo, posizionare il potere decisionale nel posto giusto. Lo abbiamo portato troppo in alto e dobbiamo farlo scendere. Facendo così, è possibile avere una maggiore enfasi sul lato sociale, ma allo stesso tempo non rinunciare all’efficienza come a volte dobbiamo fare quando ci troviamo davanti a un grande cambiamento.

 

Lo sviluppo ha bisogno di lavoro e cooperazione
È molto importante che i Paesi industriali riconoscano di avere un problema di sviluppo. In questi stessi Paesi, molti luoghi non sembrerebbero tanto distanti da un Paese del terzo mondo. Se non si riconosce questo fatto, si continuerà con una politica sempre più improntata sugli incentivi. Tuttavia, l’incentivo funziona quando a un’area sviluppata occorre solo quel poco di energia in più per uscire da una depressione. Lo sviluppo, però, non è fatto di incentivi; ha bisogno di un lavoro molto più attento sulle istituzioni locali, sulle infrastrutture del territorio, creando in sostanza le possibilità di una crescita locale. L’establishment politico negli Stati Uniti non sembra ancora riconoscerlo. Pensiamo al dibattito che oggi è in corso a Washington. Da una parte, la FED (Federal Reserve) ha spinto il piede sull’acceleratore con l’intenzione di non spostarlo da lì qualunque cosa accada. Va tutto bene, ma abbiamo la spesa anche sul lato fiscale. Cos’è questa spesa? Il Cares Act (The Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security, 2020) è stato estremamente importante per dare sollievo alle famiglie e alle imprese. Naturalmente, ora ci sono molte famiglie, appartenenti come ceto alle fasce di reddito più alte, che si ritrovano con un mucchio di denaro che non stanno spendendo.
Dobbiamo fare attenzione al prossimo giro di spesa per assicurarci che sia molto più mirato ai disoccupati, alle piccole imprese che hanno bisogno di agevolazioni. Tuttavia, non può trattarsi dell’ennesimo libretto degli assegni concesso a tutti, indipendentemente dal bisogno di soldi che hanno. Questo tipo di politica toglie spazio alla politica veramente necessaria che mira più precisamente alle aree dismesse. Che si tratti delle comunità storicamente svantaggiate o delle nuove comunità deindustrializzate, si tratta di quelle comunità manifatturiere che, nel linguaggio degli economisti, hanno subìto lo shock cinese.
Dalla mia finestra vedo il lato sud di Hyde Park, che è stato devastato da una precedente ondata di deindustrializzazione alla fine degli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta. Il punto è che dobbiamo lavorare su queste aree. Molte, per esempio, non hanno la banda larga. Come si può non avere la banda larga al tempo dell’economia digitale e far parte di questa economia?
La pandemia è stata devastante nei Paesi industriali, ma potenzialmente è molto peggiore in numerosi Paesi in via di sviluppo e mercati emergenti. Abbiamo visto lo spettacolo dei Paesi industriali che si accaparrano i vaccini. Spero che in futuro ci possa essere una reazione più moderata nella condivisione dei vaccini, perché sappiamo dal lavoro degli epidemiologi che se il virus arriva altrove senza controllo, c’è la possibilità che si sviluppino delle varianti che torneranno a colpirci, che “bucheranno” la protezione che i vaccini ci procurano, perché sono varianti contro cui non si sono sviluppati vaccini. Si tratta di un ambito in cui abbiamo bisogno di cooperazione globale e che purtroppo manca.
Penso che il problema fondamentale sia che finora la leadership degli Stati Uniti è stata assente.

C’è una speranza che gli Stati Uniti riprendano a fornire e organizzare beni pubblici globali, ma devono pensare a un ordine di grandezza diverso da quello a cui si pensava prima. Per questo abbiamo bisogno di lavorare molto per rafforzare le organizzazioni internazionali, magari creandone di nuove.

Se i Paesi industriali sono rimasti indietro di un anno o due, molti Paesi in via di sviluppo in alcuni mercati emergenti, come il Sudamerica, sono rimasti indietro in alcuni casi di dieci anni o più. Un colpo di questo genere spesso si traduce in un cambiamento politico. Ecco perché mi sembra che quando l’Occidente parla di creare una coalizione di democrazie, si riferisce a qualcosa che rischia di avere pochissimi seguaci se l’Occidente non correggerà il tiro.
Stiamo spendendo migliaia di miliardi per minimizzare il danno alle nostre economie e alle nostre famiglie.

Perché non spendiamo qualche miliardo per assicurarci che gli effetti sui Paesi in via di sviluppo, nei mercati emergenti, non si traducano in un rifiuto dell’intero sistema e in un’adozione di sistemi alternativi nei prossimi anni a causa delle conseguenze della pandemia?

Credo che questo tipo di pensiero globale sia necessario in un momento in cui la tendenza naturale è quella di guardare alla propria economia. Si può credere che non sia possibile pensare al mondo quando ci sono grandi problemi.

Se non pensiamo al mondo adesso, avremo grandi problemi nei prossimi cinque, dieci anni quando gli effetti della pandemia si faranno sentire.

Lavoro, urbanizzazione, istruzione: cambiamenti interconnessi
La buona notizia della pandemia è che l’attività economica può avere una diffusione più ampia. Molti di noi hanno scoperto il lavoro a distanza. Non resterà tutto allo stesso modo, parecchie persone torneranno in ufficio nelle grandi città, ma ci saranno molti lavori che ora si potranno svolgere quattro giorni alla settimana da dove si vuole e andare in ufficio un solo giorno alla settimana. In realtà, la gente potrebbe abitare le aree dismesse se solo venisse effettuato un piccolo miglioramento alle loro infrastrutture. Ci vogliono parchi migliori, sentieri migliori, una banda larga migliore che consenta alla gente di lavorare a distanza. Vi possono operare i lavoratori ad alto reddito contribuendo a diffondere i benefici economici in tutto il Paese.

Dobbiamo pensare a nuovi modi in cui espandere l’attività facendo funzionare il capitalismo per molte più persone.

Il governo centrale spende un’enorme quantità di denaro lasciato in eredità da politiche centralizzate senza pensare a ciò che serve alle realtà locali. Purtroppo, negli Stati Uniti il governo locale e i processi decisionali locali sono negativi, per via degli episodi passati di razzismo e per il fatto che il Sud ha ribadito i diritti degli Stati e del governo locale a sottomettere le comunità di origine africana. Credo che possiamo andare oltre e riconoscere che, per avere una democrazia più forte, dobbiamo incoraggiare e rimandare ancora alle realtà locali, soprattutto nel caso di una ricostruzione migliore post pandemia, un processo decisionale molto più esteso.
Tra le altre cose, la pandemia ha accelerato l’accettazione della tecnologia in molti modi, offrendoci numerose nuove modalità con cui affrontare alcuni nostri vecchi problemi. Ci siamo resi conto che possiamo procurarci il 90% dell’educazione – e, in particolare, dell’educazione universitaria – attraverso il Web. Il cento per cento non è possibile perché talvolta, per avere una conversazione efficace, è certamente meglio che studenti e professori siano nella stessa stanza.  
Perché non possiamo procurare un’educazione migliore a molte più persone che oggi non possono accedervi perché sono limitate dalla distanza? Perché non possiamo avere più telemedicina? Molti luoghi non possono accedere a un buon medico, ma abbiamo visto, di sicuro negli Stati Uniti, un grande movimento in direzione della telemedicina nei primi giorni della pandemia. Certo, ora la gente può incontrarsi un po’ più di persona, comunque penso che una parte di questo impulso sia vincente. E ci dimostra che è possibile da realizzare.

Dobbiamo adottare la tecnologia per fornire soluzioni a vecchi problemi. Ma dobbiamo anche riconoscere che ci sono nuovi problemi, e che, se non li affronteremo direttamente, il cambiamento sistemico ci verrà imposto in direzioni che non vogliamo.

 

L'articolo è tratto dall’intervento di Raghuram Rajan al New York Encounter, 13 febbraio 2021

 

 

Raghuram Rajan è un economista indiano. È stato governatore della Banca Centrale Indiana di cui è attualmente presidente; è anche stato Chief Economist and Director of Research del Fondo Monetario Internazionale. I suoi interessi di ricerca riguardano il settore bancario, la finanza aziendale e lo sviluppo economico, in particolare il ruolo che vi svolge la finanza. Tra I suoi libri c’è anche il famoso The Third Pillar: How the State and Markets are leaving Communities Behind, 2019.

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