Trimestrale di cultura civile

Per un diritto del lavoro autonomo

  • AGO 2021
  • Adalberto Perulli

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Il lavoratore indipendente continua a essere privo di tutele sociali adeguate. Una situazione di difficoltà che si è aggravata durante la pandemia. Si tratta di una categoria che storicamente vive l’esperienza di un’oggettiva disparità rispetto al lavoratore indipendente. Un tema forte, anche per come è cambiato il mercato del lavoro, che in Europa è ora al centro dell’attenzione legislativa. Nella consapevolezza che occorra procedere verso la creazione del contratto collettivo.

In realtà la progressiva perdita di autonomia del lavoro autonomo si è accompagnata a un progressivo indebolimento dei caratteri tradizionali della prestazione di opera, sia nel campo del lavoro manuale, sia in quello del lavoro intellettuale e professionale. L’Europa ne ha preso atto, riconoscendo che “gli effetti cumulati delle disparità di accesso alla protezione sociale possono dar luogo nel tempo a nuove disuguaglianze inter e intragenerazionali tra quelli che hanno o che riescono a trovare un impiego con contratti che prevedono tutti i diritti sociali e quelli che non vi riescono. Ciò può costituire una discriminazione indiretta nei confronti dei giovani, dei nati all’estero e delle donne, che hanno più probabilità di essere assunti con contratti atipici” (così si legge nella Raccomandazione del Consiglio sull’accesso alla protezione sociale per i lavoratori subordinati e autonomi del marzo 2018).
I lavoratori autonomi sono una delle categorie più colpite dall’attuale crisi economica indotta dalla pandemia, come dimostrano gli interventi emergenziali del legislatore italiano e, più in generale, le misure introdotte dai governi di quasi tutti i Paesi europei, per rispondere ai bisogni più urgenti non solo dei lavoratori dipendenti, ma anche di alcune tipologie di lavoratori autonomi. Nel contesto italiano, il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (decreto Cura Italia) e il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (decreto Rilancio) hanno introdotto, tra le altre misure, alcune indennità di sostegno in favore dei lavoratori autonomi, le cui attività risentano dell’emergenza economica e sociale conseguente alla pandemia dovuta al Covid-19, di 500 euro, 600 euro e 1.000 euro, a seconda dei casi.

Una delle misure più attese da imprese e partite Iva è quella relativa ai contributi a fondo perduto a favore di PMI, lavoratori autonomi e titolari di reddito agrario, mentre si discute sulla riforma generale degli ammortizzatori sociali in una prospettiva di estensione universalistica delle misure di sostegno sociale a tutto il mondo del lavoro, compreso quello autonomo e professionale.

Il conflitto fra diritto del lavoro e diritto della concorrenza
Vi è poi il nodo, ancora irrisolto a livello europeo, della contrattazione collettiva per i lavoratori autonomi. Il tema riguarda l’asserito conflitto dell’autonomia collettiva e dei suoi prodotti (contratti collettivi) con il principio della libera concorrenza nel mercato comune. In assenza di una normativa di dettaglio europea, la Corte di Giustizia da tempo riconosce che la contrattazione collettiva non rientra nell’ambito di applicazione delle regole di concorrenza dell’Ue, ma limitatamente al lavoro subordinato.

Diversamente, secondo i giudici di Lussemburgo, l’estensione dei contratti collettivi ai professionisti che, almeno formalmente, sono indipendenti, si pone in linea di collisione con le regole UE sulla concorrenza, sul presupposto, evidentemente errato, che i professionisti (e in genere i lavoratori autonomi) siano qualificabili come “imprese”.

Il caso di riferimento è FNV Kunsten, relativo agli accordi collettivi stipulati in Olanda tra una confederazione sindacale rappresentativa di lavoratori subordinati e autonomi (musicisti che operavano come “supplenti” nelle orchestre) e un’associazione di datori di lavoro. Nei Paesi Bassi (come del resto in Italia) i lavoratori autonomi hanno il diritto di affiliarsi a una qualsiasi organizzazione sindacale, onde, in base alla legislazione sul contratto collettivo, le confederazioni di datori di lavoro e le organizzazioni di lavoratori possono stipulare un contratto collettivo di lavoro in nome e per conto non soltanto dei lavoratori subordinati, ma anche dei prestatori autonomi di servizi che siano membri di tali organizzazioni. Il Tribunale dell’Aja, tuttavia, ha ritenuto che l’accordo non avrebbe contribuito direttamente al miglioramento delle condizioni di lavoro degli autonomi (presupposto indicato dalla stessa Corte per applicare il meccanismo di esenzione deciso nella sentenza Albany), onde la questione veniva portata davanti alla Corte di Giustizia europea. Quest’ultima ha affermato che il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che la disposizione di un contratto collettivo di lavoro, come quello in questione, esula dall’ambito di applicazione delle norme europee sulla concorrenza solo qualora tali prestatori siano “falsi autonomi, ossia prestatori che si trovano in una situazione paragonabile a quella dei lavoratori subordinati. L’orientamento della Corte di giustizia è quindi fermo nel delegittimare la contrattazione collettiva avente a oggetto il trattamento economico e normativo di lavoratori autonomi, sia perché – a detta della Corte – non sussiste nessuna norma che, alla stregua del diritto unieuropeo (artt. 153 e 155 TFUE - Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché 1 e 4 dell’accordo sulla politica sociale) “incoraggi i prestatori autonomi a instaurare un simile dialogo con i datori di lavoro presso i quali forniscono prestazioni di servizi in forza di un contratto d’opera e, dunque, a stipulare accordi collettivi con detti datori di lavoro al fine di migliorare le proprie condizioni di occupazione e di lavoro” ; sia perché l’associazione sindacale in rappresentanza di lavoratori autonomi non agisce come “parte sociale” ma come associazione di imprese. L’insensibilità nei confronti della rappresentanza collettiva dei lavoratori autonomi non poteva essere espressa in termini più netti dalla Corte europea, la quale sembra ignorare che le legislazioni di molti Stati membri, nelle rispettive tradizioni costituzionali, così come il diritto internazionale del lavoro, promuovono il diritto di associazione sindacale e di contrattazione collettiva, in quanto diritti sociali fondamentali, come prerogative non esclusive dei sindacati dei lavoratori subordinati, e che il lavoro autonomo genuino, specie se “economicamente dipendente”, non coincide affatto, almeno sotto il profilo sociale, con il concetto di “impresa”, e non può essere a questa assimilata in una logica di pura e semplice tutela della liberta di concorrenza.
Appare quindi del tutto irragionevole, oltreché priva di fondamento normativo, l’opinione espressa dalla Corte secondo cui l’unica possibilità per evitare il conflitto con il diritto della concorrenza consiste nel verificare se i lavoratori in nome e per conto dei quali il sindacato ha trattato non siano dei “falsi autonomi”, vale a dire prestatori la cui indipendenza è solo fittizia e nasconde un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, in quanto sottoposti al potere direttivo del datore di lavoro.

Allo stato attuale, quindi, il conflitto tra diritto del lavoro e diritto della concorrenza deve essere risolto per consentire ai freelance di fruire dei diritti di libertà di associazione e di rappresentanza collettiva.

Salvo improbabili revirement della Corte, la soluzione del problema passa necessariamente per una modifica del diritto europeo della concorrenza in senso derogatorio rispetto al divieto di intese anti-concorrenziali ex art. 101 TFUE, onde far sì che quest’ultima norma cessi di costituire una barriera per la contrattazione collettiva dei lavoratori autonomi, come richiesto dai sindacati europei e come la stessa Commissione – che ha di recente lanciato un processo consultivo – sembra intenzionata a fare attraverso il lancio di una consultazione pubblica1. La commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager intende quindi risolvere la questione per dare la possibilità agli autonomi di negoziare collettivamente le proprie condizioni di lavoro.

 

Cosa esprimono i diversi ordinamenti
Il principale portato dell’analisi sin qui compiuta, conferma la relatività della grande dicotomia tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. Quest’ultimo non va confuso con l’attività di impresa e deve quindi essere oggetto di una attenzione regolativa speciale, calibrata sul “profilo sociale” del lavoro autonomo (evocato, nel nostro sistema giuridico nella relazione ministeriale al codice civile, n. 914) che lo distingue dall’imprenditore, anche piccolo (art. 2083 c.c.). Molteplici, peraltro, sono le contraddizioni espresse dall’idea di autonomia così come applicata normativamente nella costruzione sistematica del codice civile. È sufficiente percorrere il ponte che dal libro V del Codice civile conduce ai contratti nominati del Libro IV, per avvedersi, ad esempio, che l’agente (figura emblematica di lavoratore autonomo) agisce in conformità alle “istruzioni” ricevute dal preponente, assurgendo così a icona di un “illusorio miraggio dell’autonomia giuridica”; e ciò a dispetto dell’impiego di una struttura giuridico-contrattuale profondamente diversa da quella del contratto di lavoro subordinato, alla quale, tuttavia, viene riservata una disciplina contrattuale collettiva sul modello del lavoro dipendente.

Il lavoro autonomo è quindi destinato a gravitare sempre più nell’orbita di un diritto del lavoro allargato e universalistico, che abbraccia il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, come recita una – talvolta dimenticata, o male interpretata – norma della nostra Costituzione (art. 35).

Peraltro, a volerlo rintracciare, c’è un filo rosso, risalente nel tempo, che collega i diversi ordinamenti europei evidenziando la consapevolezza che l’artificiale dicotomia eretta per tutelare il solo lavoro subordinato, abbandonando il lavoro autonomo alla regolazione di mercato, non può occultare le forme di dominio che il creditore di una prestazione di lavoro esercita sulla controparte ben oltre la sfera della subordinazione giuridica, da cui la necessità di decongestionare un modello protettivo eccessivamente focalizzato sul lavoro dipendente, spingendo l’azione regolativa verso altre forme di attività personale rese a favore di altri, benché classificate come autonome.
La Francia è un esempio della proliferazione di regimi sociali estensivi, in cui figure di lavoratori autonomi come i gerenti non subordinati di succursali, concessionari esclusivi, gestori di stazioni di servizio, franchisée, ecc., vengono “assimilati” ai lavoratori dipendenti (pur rimanendo autonomi) con applicazione selettiva del Code du travail, senza necessità di stabilire l’esistenza di un vincolo di subordinazione. Il meccanismo di assimilazione ha consentito di estendere le principali tutele del lavoro subordinato (salario minimo, congedi retribuiti, disciplina del licenziamento) a lavoratori autonomi la cui attività consiste essenzialmente nel vendere prodotti forniti da un’impresa commerciale o industriale, laddove fossero riunite tre condizioni cumulative: un legame esclusivo o quasi esclusivo con il fornitore, la fissazione da parte di quest’ultimo del prezzo di vendita e delle condizioni di vendita, lo svolgimento dell’attività in un locale fornito o autorizzato dallo stesso partner principale.

Questa legislazione è chiaramente basata sulla constatazione che i lavoratori autonomi versano in una situazione di “dipendenza economica” (e parzialmente “organizzativa”) tale da giustificare una loro (limitata o totale, a seconda dei casi) assimilazione ai lavoratori subordinati.

Anche in Germania il lavoro autonomo riceve una serie di tutele selettive, specie sotto il profilo dei diritti collettivi: si tratta della categoria degli arbeitnehmeränliche Personen introdotta all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso (par. 12aTvg), benché l’idea di provvedere alla tutela dei lavoratori autonomi risalga addirittura alla North German Federation (Norddeutcher Bund), la prima organizzazione federale tedesca istituita nel 1866. Ai sensi del par. 12aTvg, qualora l’opera o il servizio sia reso personalmente da un lavoratore autonomo che versa in una condizione di dipendenza economica (in quanto ricava almeno la metà del proprio reddito complessivo da un unico committente), si applicano normative di tutela processuale, previdenziale, in materia di ferie, di molestie sui luoghi di lavoro e di contrattazione collettiva.

 

Perfino nel liberale Regno Unito il lavoratore autonomo gode di particolari tutele sociali di base in quanto “worker”: figura di lavoratore non subordinato che svolge “personally any work or service for another party to the contract whose status is not by virtue of the contract that of a client or customer of any profession or business undertaking carried on by the individual”.

Attorno a tale figura di prestatore indipendente si condensano alcune tutele di base fornite dall’Employment Rights Act del 1966 e dall’Equality Act del 2010, a conferma del carattere tipicamente “cumulativo” assunto dall’evoluzione del diritto del lavoro nel suo percorso evolutivo. La legislazione inglese ha ispirato altri sistemi di common law, come quello australiano e americano che pure non conoscono categorie come quella di worker.
Nell’ambito del dibattito dottrinale statunitense, alcuni Autori, partendo dai limiti imposti ai lavoratori autonomi in materia di contrattazione collettiva in applicazione del diritto della concorrenza puntano all’introduzione della categoria di “independent workers”, intermedia tra gli employees e gli “independent contractors”, per fornire tutele selettive ai lavoratori autonomi che impiegano piattaforme digitali o intermediari (in particolare si profila il diritto di organizzazione sindacale e il pagamento dei contributi di sicurezza sociale e assistenza medica da parte del committente ). In Australia la situazione normativa è sicuramente più avanzata: l’Indipendent Contractor Act del 2006 consente alle Corti di vagliare l’equità del compenso del lavoratore autonomo, per stabilire, anche in relazione al potere negoziale delle parti, se il contratto prevede un corrispettivo inferiore rispetto a quello corrisposto a un lavoratore subordinato che svolge un’attività simile (Section 15). Il Fair Work Act del 2009 contiene una sezione 342, relativa a “adverse action” subite dai lavoratori autonomi, il cui oggetto riguarda soprattutto i divieti di discriminazione nei luoghi di lavoro in materie quali la cessazione del rapporto, i termini e le condizioni del contratto, mentre la legislazione di stati come Victoria (Equal Opportunity Act del 2010) sono ancora più espliciti nell’estendere il divieto di discriminazione ai lavoratori autonomi per quanto attiene a promozioni, trasferimento, formazione e altri benefit, licenziamento e ogni altro istituto che possa riguardare il rapporto di lavoro subordinato. Su queste basi la dottrina australiana più recente propone di estendere ulteriormente il campo di applicazione dei principi di tutela a tutti i rapporti di lavoro, inclusi i diritti di informazione, la sicurezza del reddito, il diritto di contrattazione collettiva, l’accesso alle dispute resolution, trasformando così il diritto del lavoro in un sistema normativo applicabile non solo ai “datori di lavoro” ma a tutti coloro che hanno un potere di impatto sull’altrui capacità/abilità di lavoro.
L’analisi comparata potrebbe continuare con riferimento alla Spagna, dove è stato coniato il concetto di “lavoratore autonomo economicamente dipendente” (trabajador autònomo econòmicamente dependiente), al quale viene riconosciuto un ampio paniere di diritti, comprendente il salario minimo, riposi annuali, rimedi in caso di risoluzione illegittima del rapporto, permessi per motivi familiari e di salute, nonché il diritto di contrattazione collettiva; alla Svizzera, ove la giurisprudenza ha creato una categoria intermedia di contratti di lavoro qualificati come contratti misti (gemischte Verträge); alla Svezia, che – pur presentando la nozione di lavoratore subordinato probabilmente più ampia in Europa  – conosce anch’essa sin dal 1940 la categoria del dependent contractor (jämställda/beroende uppdragstagare), attualmente definito dalla Sezione 1(2) del Codetermination Act (1976) come colui che “lavora per altri senza essere subordinato (employed by them), pur avendo una posizione che in sostanza è la stessa di un lavoratore subordinato” , con la conseguenza che tali lavoratori autonomi fruiscono del diritto di contrattazione collettiva, particolarmente diffusa nel settore del giornalismo freelance , nonché dei diritti di informazione, consultazione, codeterminazione e di sciopero al pari dei lavoratori subordinati.

 

 

C’è da auspicare che, nel prossimo futuro, queste tendenze regolative estensive si consolidino in Italia e in Europa. Se così sarà, il “diritto del lavoro autonomo” diventerà parte di un più ampio diritto del lavoro, non più limitato al lavoro dipendente, ma comprensivo di tutte le attività umane rese a favore del sistema produttivo altrui, realizzandosi in tal modo una società più equa e più giusta.

 

NOTE

1 Competition: The European Commission launches a process to adress the issue of collective bargaining for the self-employed, European Commission, Press Release, 30 giugno 2020

Adalberto Perulli è professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università Ca’ Foscari di Venezia e professore invitato di Diritto del lavoro comparato nell’Università Paris Ouest di Nanterre in Francia.

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