Trimestrale di cultura civile

Deaton: ora paghi
chi ha guadagnato

  • Carlo Dignola
  • Martina Saltamacchia

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L’economista, premio Nobel nel 2015, ha scritto un saggio, con la moglie Anne Case, in cui ha fotografato il declino degli americani bianchi poco istruiti, cittadini di serie B, sempre più privi di rappresentanza sindacale e politica. Sono anche quelli che stanno pagando il prezzo più alto della pandemia. “Sento ancora parlare di austerità. Sarebbe un disastro sociale. Come in guerra, ora bisogna tassare chi ha fatto nuovi, grandi profitti, non chi ha già sofferto più degli altri”

L’economia capitalistica procede da decenni verso un aumento delle disuguaglianze, e il Covid stai peggiorando la situazione. Lo ha detto il premio Nobel per l’economia (2015) Angus Deaton, nella sua lectio magistralis pubblica (via web) organizzata a giugno 2021 dall’Istituto Iseo, d’intesa con l’Università degli Studi di Brescia, Dipartimento di Economia e Management: “Quando le persone parlano di disuguaglianza, spesso pensano a differenze nel reddito, o nei consumi” dice Deaton. “Sono cose importanti naturalmente, ma voglio mettere a fuoco un diverso tipo di disuguaglianza, che forse è meno familiare agli economisti, quella relazionale.

Quando non tutti nella società sono trattati come meritevoli di uguale considerazione e rispetto; quando ad alcuni gruppi viene attribuito un valore maggiore di altri, o ad alcuni non vengono dati pieni diritti di partecipazione alla società democratica, vuol dire che ci sono cittadini di prima classe e cittadini di seconda classe.

Conosciamo fin troppo bene le disuguaglianze razziali ed etniche: ma la mia principale preoccupazione riguarda le disuguaglianze educative negli Stati Uniti, le vite sempre più diverse che sono condotte da coloro che hanno o non hanno una laurea”.

Senza laurea bocciati sul lavoro
Una istruzione di alto livello – dice il premio Nobel – oggi è “il passaporto per ottenere non solo un buon lavoro, ma anche una buona salute, una lunga esistenza e una fiorente vita sociale. Senza queste cose, il resto dei cittadini milita in serie B. Il filosofo dell’Università di Harvard Michael J. Sandel nel suo recente libro La tirannia del merito (Feltrinelli, Milano 2021) ha osservato: “L’idea che la laurea sia condizione per un lavoro dignitoso e per una stima sociale ha un effetto corrosivo sulla vita democratica; svaluta i contributi di chi non ha un diploma, alimenta pregiudizi nei confronti dei membri meno istruiti della società; esclude di fatto la maggior parte dei lavoratori e promuove contraccolpi politici””.
Nel libro che Deaton ha scritto con la moglie, Anne Case, Morti per disperazione e il futuro del capitalismo (Il Mulino, Bologna 2021), ha mostrato come gli americani più istruiti abbiano lasciato indietro quelli senza una laurea; già a partire dagli anni Trenta, e fino alle soglie della pandemia: “La differenza più evidente riguarda la disuguaglianza nell’aspettativa di vita. Dopo un secolo di aumenti, di recente negli Stati Uniti essa è scesa. Non era mai accaduto prima, o meglio l’ultima volta che è successo è stato durante la pandemia di febbre Spagnola nel 1918/1919”.
Cosa è cambiato? – si sono chiesti Deaton e Case. Rilevando nella società americana, dati alla mano, un aumento delle overdose di droga, la vasta diffusione di oppiacei assunti come farmaci, l’aumento delle malattie del fegato dovute ad abuso di alcol, e dei suicidi: ‘Anne e io ci siamo riferiti a questi come morti per disperazione’ – un termine che è ormai diventato una sorta di luogo comune”.
Sorprendentemente, questa drammatica china ha risparmiato “quasi interamente coloro che avevano una laurea”. Anche i dati di ricerche recentissime mostrano che “l’aspettativa di vita dei laureati è in costante aumento, mentre quella di chi è meno istruito è diminuita, dal 2010”. In Italia non se ne parla molto, ma negli Stati Uniti quelle 100mila morti silenziose all’anno, in crescita, fanno rumore.
“Come mostriamo nel nostro libro – dice Deaton –, la morte è il capolinea di un lungo carico di disperazione.

Gli studi ci indicano un mercato del lavoro che sempre di più boccia chi non ha una laurea. Da mezzo secolo gli uomini adulti meno istruiti occupati sono in diminuzione, le donne dal 2000.

Nei periodi di boom economico la partecipazione al lavoro aumenta, e diminuisce in recessione, ma il recupero nella fase di espansione successiva non porta mai alla vetta precedente. Quindi, siamo di fronte a un declino molto lungo che, ovviamente, con la pandemia si sta accentuando”.
Il mercato del lavoro guasto si riversa poi sul resto della vita sociale: “Nel settore privato americano i sindacati sono ormai quasi inesistenti. Tra i meno istruiti calano anche i matrimoni. Un uomo di mezza età, anche se spesso padre, quasi non conosce i propri figli, che vivono con la madre. Le cosiddette famiglie fragili difficilmente sono in grado di offrire il sostegno e la soddisfazione che possono derivare da un impegno familiare reciproco che dura tutta la vita”.

La ridistribuzione dello sceriffo di Nottingham
In un “apparente rovesciamento della legge di natura, gli americani di mezza età ora riferiscono di provare più dolore degli americani anziani. E ancora una volta, questo è vero solo per chi non ha titoli di studio elevati. I tassi di suicidio negli Stati Uniti sono saliti a livelli che caratterizzavano solo realtà come l’ex Unione Sovietica e i suoi satelliti o il mondo femminile in Cina. Anche in quei Paesi, come in tutto il mondo, oggi i tassi di suicidio sono in fase di calo: gli Stati Uniti invece, in particolare le persone meno istruite, sono un’eccezione significativa e vergognosa”.
La disperazione è aggravata dalla ridistribuzione dei profitti verso l’alto: “Anne e io – dice il premio Nobel – nel nostro libro la chiamiamo ‘ridistribuzione dello sceriffo di Nottingham’:

Robin Hood prendeva ai ricchi per dare ai poveri, lo sceriffo di Nottingham prendeva ai poveri per dare ai ricchi, ed è quello che sta accadendo oggi in America”.
Ciò che sta entrando in crisi – dice l’eminente economista – è la natura e il funzionamento del capitalismo stesso: “Nel momento in cui i sindacati svaniscono, le imprese si consolidano grazie a più monopolio (un unico venditore sul mercato, ndr) e più monopsonio (un unico compratore, ndr)”. La bilancia sociale è sempre più “spostata dal lavoro al capitale, e ciò è sostenuto da una costante deriva dei sistemi legali a favore della proprietà. Dal 1970 la quota dei salari sul reddito nazionale tende a scendere e la quota degli utili tende a salire. I guadagni di produttività prima si palesavano nella crescita degli stipendi, oggi non è più così. Il lobbismo aziendale, che cinquant’anni fa era piuttosto raro a Washington, influenza in modo continuo i legislatori. Adam Smith ne diede una descrizione già ne La ricchezza delle nazioni: “Il clamore dei nostri mercanti e produttori ha forzato la mano al legislatore, per sostenere i propri monopoli assurdi e oppressivi. Come le leggi dell’antico politico ateniese Dracone, si può dire che le nostre siano tutte scritte col sangue”.
Questo – dice apertis verbis Deaton – “non è capitalismo, un sistema in cui i mercati in concorrenza producono benefici per tutti; è più simile a un racket per la ridistribuzione degli utili verso l’alto che a un motore di prosperità generale”.
Anche la politica americana nell’ultimo mezzo secolo “si è mossa contro la classe operaia bianca”. Ecco come si gonfiano le file del trumpismo: “Il Partito democratico un tempo era la casa degli operai bianchi e dei loro sindacati, ma dopo il 1970 si è trasformato gradualmente in un’alleanza tra minoranze ed élite colte, lasciando i bianchi meno istruiti alla deriva verso il Partito repubblicano. Le politiche repubblicane seguono l’interesse del capitale che le ha fondate, non quello del lavoro, e i bianchi meno istruiti sono dunque rimasti senza una voce politica efficace”.
Il mito del sistema americano produttore di ricchezza e di progresso per tutti, vacilla: “Persone molto importanti, come Jeff Bezos, Bill Gates, Elon Musk, Warren Buffett, Larry Ellison, Mark Zuckerberg, Larry Page, Sergej Brin, Michael  Bloomberg, hanno avviato o sviluppato aziende che hanno creato cose nuove e utili. In effetti, la crescita è guidata dall’innovazione. Quelle fortune sono state guadagnate nell’interesse generale, hanno contribuito al bene pubblico – si sente spesso dire”, la ricchezza privata di pochi in qualche modo sostiene il benessere di tutti.

Ma le cose non vanno più tanto in questo modo: “C’è un ‘crescente scetticismo’ sui benefici sociali delle fortune personali, sono sotto gli occhi di tutti gli ‘aspetti distruttivi del mercato’, che minano la compattezza della comunità nazionale”.
E il Covid ha premiato ancora una volta i ricchi e messo ancor più sotto pressione i poveri: “Molte persone altamente istruite quest’anno hanno potuto continuare a lavorare online, e a riscuotere i loro stipendi con una certa comodità, con poco o nessun disagio né rischio personale”. Alcuni dei meno istruiti invece rischiano di contrarre il virus proprio recandosi sul lavoro, mentre altri occupati nel settore dei trasporti, dell’intrattenimento e della distribuzione al dettaglio non hanno più un lavoro. “La disoccupazione è aumentata più rapidamente tra  le donne, molte delle quali con responsabilità di cura dei figli che hanno reso loro impossibile andare a lavorare”. Cresce “una preoccupazione del tutto giustificata per l’istruzione dei bambini, specialmente per quelli non o mal equipaggiati quanto all’accesso a Internet, con bassi livelli di sostegno e supervisione dei genitori. Queste disuguaglianze sono particolarmente angoscianti, dati gli effetti a lungo termine dell’abbandono scolastico”.
Le disuguaglianze di ricchezza sono esplose durante e a causa della pandemia: “Si stima che negli USA i miliardari abbiano aggiunto migliaia di miliardi di dollari al loro patrimonio netto. È ovvio che la pandemia sarebbe stata peggiore senza Amazon, non si può dire che Bezos non abbia fatto nulla per incassare quei 100 miliardi di dollari. Anche tutti i ‘titani della tecnologia’ sono stati d’aiuto durante la pandemia, e sono stati molto ben ricompensati per averlo fatto”.

A ciò si aggiungono le scelte di politica finanziaria: “I bassi tassi di interesse perseguiti dalle autorità monetarie hanno gonfiato ovunque i valori in eccesso. E dato che la ricchezza è distribuita in modo così ineguale, si finisce per aggravare la disuguaglianza economica”, perché si fa aumentare la ricchezza, il prezzo dell’eccesso sale e quegli eccessi sono tutt’altro che distribuiti in parti uguali: “E questo è probabilmente un prezzo che va pagato per consentire alle economie di sopravvivere alla pandemia”. Ma i soldi facili, le crescenti fortune dei capitali “stanno dopando il mercato azionario americano, in cui non guadagnano solo i ‘padri tecnologici’ ma anche l’élite americana colta” che compra in borsa le loro azioni. Essa “vede i suoi portafogli aumentare enormemente, mentre se ne resta al sicuro a casa su Zoom e Webex. Nel frattempo 600 mila americani sono morti di Covid, o forse molti di più, se correggiamo queste cifre valutando i morti in eccesso” rispetto agli anni precedenti.

Spesso la pandemia è stata paragonata a una guerra – ha concluso Deaton: “Anche nel secondo conflitto mondiale i  lavoratori sono andati in battaglia e hanno rischiato la vita, mentre i capitalisti restavano ai loro affari: dovevano fabbricare le armi e le munizioni... Con il conflitto sono diventati favolosamente ricchi e ciò che si è fatto, durante o subito dopo la guerra, è stato tassarli con imposte molto alte. Mentre la gente comune pagava con il sangue, i produttori pagavano con la loro ricchezza”: un esempio interessante, dice Deaton nel momento in cui dobbiamo “pensare a finanziare gli interventi per la pandemia”.
Si discute su come ripianare i mostruosi deficit degli Stati: “Sento ancora discorsi che vorrebbero spingere verso l’austerità, come hanno fatto in molti Paesi dopo la Crisi finanziaria del 2007/2008. Se ciò accadesse di nuovo sarebbe un disastro, il costo della pandemia finirebbe sulle spalle di chi ha già sofferto di più”.
Il Fondo Monetario Internazionale ha suggerito di chiedere “contributi per la ripresa dal Covid-19” a chi ha avuto alti profitti in questa economia d’emergenza, ad esempio ai colossi farmaceutici e dell’e-commerce. “Tutte queste proposte – dice con realismo il premio Nobel –dovranno affrontare la resistenza di ‘attori potenti’. Ma se si guarda alle fortune che sono state accumulate e alle molte morti che hanno colpito in modo sproporzionato proprio coloro che non hanno avuto alcun beneficio economico, un fallimento di simili propositi sarebbe un segno definitivo che non siamo affatto tutti sulla stessa barca”.
Bisogna far pagare le tasse a chi ha guadagnato: “E bisogna creare un trattato internazionale per eliminare il diffuso spostamento” delle imprese da un Paese all’altro alla ricerca di una fiscalità più conveniente. “Abbiamo bisogno di ridistribuire il profitto in direzione del lavoro e lontano dalle imprese; le molestie di lunga data rivolte ai sindacati bisogna che siano fermate; e dobbiamo rafforzare le autorità antitrust”.

 

 

Sir Angus Deaton è Senior Scholar e Dwight D. Eisenhower Professor di Economia e Affari internazionali presso la School of Public and International Affairs e il Dipartimento di Economia di Princeton. Nel 2015 ha ricevuto il premio Nobel per l’Economia “per la sua analisi dei consumi, della povertà e del benessere”. È stato membro del Consiglio Consultivo del Capo Economista della Banca Mondiale, e presidente dell’American Economic Association.

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