Trimestrale di cultura civile

Il lavoro a distanza internazionale per rilanciare il mercato del lavoro europeo

  • AGO 2021
  • Pedro Silva Martins

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La formula del lavoro a distanza potrebbe rappresentare l’occasione, qualora normato con criteri equilibrati e propositivi, per avviare un percorso di rapporto più equo tra lavoro e vita personale (con una riduzione significativa dei flussi migratori). La cui efficacia ed efficienza verrebbe a dare frutti migliori nel contesto di uno sviluppo internazionale. Ed europeo, in particolare. Con vantaggi evidenti per tutti: Paesi, imprese, lavoratori, famiglie, individui. Il ruolo della politica in questa complessa ma affascinante partita.

Il contesto
Dopo diversi anni di discussioni sul “futuro del lavoro”, esso ci è improvvisamente caduto addosso.

Il futuro del lavoro è diventato il presente del lavoro. Ma in una forma diversa da quella che molti avevano immaginato prima.

L’Intelligenza Artificiale, l’automazione e le piattaforme sono una parte sempre più importante dei mercati del lavoro, come previsto. Quello che non era previsto è stata la forte e improvvisa crescita del lavoro a distanza indotta dalla pandemia dai Covid-19.
Dovendoci proteggere nelle nostre case durante i vari lockdown, molte aziende e organizzazioni sono ricorse al lavoro a distanza. Utilizzando tecnologie di videoconferenza già disponibili da tempo ma ora oggetto di ulteriori affinamenti e beneficiando di connessioni Internet veloci, milioni di lavoratori hanno potuto continuare le proprie attività professionali da casa.
Questo processo ha portato a una sperimentazione sociale massiccia, inaspettata e unica, sul lavoro a distanza. Non sono ancora disponibili statistiche chiare e complete sugli effetti di questo esperimento, ma l’evidenza aneddotica è chiara (o almeno quanto può essere chiara l’evidenza aneddotica): il lavoro a distanza funziona. Inoltre, in molte circostanze, anche se certamente non tutte, il lavoro a distanza funziona anche molto bene, offrendo vantaggi a tutte le parti: lavoratori, aziende e società in generale.

Utilizzando strumenti software ormai onnipresenti come Zoom o Teams, i dipendenti di molte aziende nei settori dei servizi possono interagire regolarmente e condurre progetti congiunti in modo efficace ed efficiente.

Inoltre, molti di questi dipendenti possono raggiungere un migliore equilibrio tra lavoro e vita personale, non dovendosi spostare quotidianamente verso i propri uffici e ottenendo ulteriore flessibilità nella gestione del tempo. Questi ultimi vantaggi sono importanti in termini di “esternalità”, vale a dire riduzioni dell’inquinamento e della congestione della mobilità, con importanti effetti sociali positivi.

 

La proposta
Mentre molto è stato detto sul lavoro a distanza – o, più specificamente, sulla occupazione a distanza – all’interno dei Paesi, relativamente poco è stato detto finora sul lavoro a distanza internazionale. Con lavoro a distanza internazionale intendo situazioni in cui uno o più dipendenti di un’impresa di un Paese svolgono il proprio lavoro mentre si trovano in un altro Paese.

Questi dipendenti possono avere contratti di lavoro a tempo pieno e indeterminato standard e beneficiare di condizioni di lavoro contrattuali identiche o simili a quelle dei loro colleghi che vivono nello stesso Paese in cui ha sede l’azienda.

Infatti, una volta che i dipendenti lavorano in remoto, possono lavorare nella stessa città dove ha sede l’azienda – o in un luogo completamente diverso, nello stesso Paese o all’estero. L’unica restrizione pratica riguarda il fuso orario del Paese in cui ha sede il dipendente, che, idealmente, non può essere più di due ore avanti o indietro rispetto a quello del Paese dell’azienda. Naturalmente, i colleghi si incontrerebbero fisicamente di tanto in tanto, forse una o più volte alla settimana trovandosi nelle vicinanze, o meno frequentemente se si trovano in Paesi diversi.
Il lavoro a distanza internazionale è semplice da un punto di vista concettuale – e altamente auspicabile dal punto di vista degli interessi dell’impresa e del lavoratore (su questo dirò di più dopo) – costituendo così uno strumento significativo verso il rilancio del mercato del lavoro europeo. Tuttavia, il suo emergere nell’ambito dell’Unione europea richiederebbe un ampio dibattito e una possibile azione politica, viste le numerose domande che tale nuova forma di occupazione solleva. Questa è la nostra proposta: discutere il lavoro a distanza internazionale e facilitarne lo sviluppo attraverso l’adozione delle politiche necessarie e renderlo un successo nell’Unione europea.

 

Questioni legali
Quando il dipendente di un’impresa risiede in un Paese diverso da quello in cui si trova la casa madre, sorgono dubbi sulla legislazione applicabile a ciascuna delle parti.

Il dipendente è soggetto al diritto del lavoro e alla contrattazione collettiva del Paese in cui risiede o del Paese in cui ha sede il suo datore di lavoro? In quale Paese devono essere pagate le imposte sul reddito e i contributi previdenziali di tale rapporto di lavoro?

Naturalmente, l’impresa può creare una filiale nel Paese in cui si trova il dipendente, in modo da affiliarlo a tale stabilimento. Tuttavia, tale procedura risulterebbe farraginosa e costosa, scoraggiando notevolmente la crescita di questa forma di lavoro a distanza e dei suoi significativi vantaggi economici e sociali.
Una prospettiva molto più interessante comporterebbe una procedura a livello dell’UE per regolamentare questi rapporti di lavoro. Forse l’adozione di tali norme potrebbe seguire alcune delle linee del dibattito sul distacco dei lavoratori.

 

Direi che un possibile punto di partenza di questa discussione implicherebbe un sistema misto, in cui il diritto del lavoro, la contrattazione collettiva e le imposte sul reddito che si applicherebbero al lavoratore sarebbero quelle applicabili nel Paese dell’azienda – mentre i contributi pensionistici e della previdenza sociale sarebbero pagati nel Paese in cui ha sede il dipendente. Questi accordi potrebbero essere etichettati come “contratti di lavoro a distanza europei”.
Tale compromesso favorirebbe lo sviluppo di queste forme di occupazione, data la relativa semplicità delle sue disposizioni dal punto di vista della dimensione giuridica. Sosterrebbe inoltre la modernizzazione della contrattazione collettiva e del dialogo sociale, verso l’inserimento di nuove clausole verso la regolamentazione di questa forma di lavoro.
La maggior parte delle entrate fiscali sarebbe raccolta dal Paese in cui ha sede l’impresa; questo sarebbe equo, dato che questo è anche il Paese in cui viene effettuata l’assunzione (internazionale). (Sarebbero forse necessarie disposizioni per garantire che le imprese non vengano create artificialmente in Stati membri a bassa tassazione). D’altra parte, il pagamento integrale dei contributi di sicurezza sociale nel Paese del dipendente finanzierebbe il pagamento delle forme standard di protezione sociale, come le indennità di disoccupazione e le pensioni di vecchiaia.

Possibili effetti
Un cambiamento di questa natura – la possibilità di una percentuale significativa dei contratti di lavoro in ciascun Paese con imprese con sede in un altro Stato membro dell’Unione Europea – avrebbe una dimensione sistemica. Data la portata del lavoro a distanza nell’UE – stimata in oltre il 30% della forza lavoro –, i mercati del lavoro di molti Paesi potrebbero essere trasformati in meglio.

Se solo una media del 5% circa della forza lavoro dell’UE lavorasse con questi contratti entro il 2025, ciò rappresenterebbe comunque un netto cambiamento nella forma dei mercati del lavoro.

Sebbene sia difficile prevedere gli effetti di tale passaggio, si possono menzionare alcune possibilità. In primo luogo, i mercati del lavoro delle professioni che possono essere svolte a distanza diventerebbero molto più competitivi. Il reclutamento delle imprese in questi casi non sarebbe più limitato dalla disponibilità del mercato del lavoro locale in cui queste imprese hanno sede. Un’azienda di Milano potrebbe assumere lavoratori che abitano a Helsinki o a Lisbona, che hanno dimostrato di avere i profili richiesti per la posizione. Allo stesso modo, i lavoratori di Helsinki o Lisbona non sarebbero più limitati alle offerte di lavoro in quelle città, diventando in grado di lavorare per aziende di tutta Europa, compresa Milano.

Questa situazione aumenterebbe notevolmente lo “spessore” dei mercati del lavoro, consentendo incontri impresa-lavoratore molto migliori (e il conseguente aumento della produttività e delle condizioni di lavoro).

L’aumento della competitività del mercato ridurrebbe anche gli esiti monopsonistici (come salari più bassi) e la discriminazione, promuovendo nel contempo una maggiore convergenza degli standard di vita in tutto il continente. In questo processo, le imprese e le altre organizzazioni in tutto il continente diventerebbero molto più europee, data la natura sempre più internazionale della loro forza lavoro.
In secondo luogo, i flussi migratori di lavoratori verso occupazioni che possono essere svolte a distanza cambierebbero drasticamente. Un’ampia quota di questi flussi dai Paesi a basso reddito verso quelli ad alto reddito (generalmente dal Sud al Nord Europa) non si verificherebbe più (e forse addirittura il flusso potrebbe invertirsi) poiché i lavoratori potrebbero svolgere tali attività dai loro Paesi di origine. Al contrario, aumenterebbero i flussi in direzione opposta (dal Nord al Sud Europa), poiché tali lavoratori sarebbero desiderosi di beneficiare delle condizioni di vita generalmente migliori al Sud.
In altre parole, la frequente “fuga di cervelli” sperimentata dagli Stati membri del Sud porterebbe a un fenomeno di “guadagno di cervelli” molto apprezzato. (Allo stesso tempo, le imprese nazionali dei Paesi meridionali dovrebbero affrontare una maggiore pressione per mantenere il proprio personale, portando a salari più alti e forse anche a tassi di sopravvivenza più bassi le imprese meno produttive). I Paesi del Sud Europa non beneficerebbero delle imposte sul reddito dei lavoratori legati ai “contratti europei di lavoro a distanza” proposti, ma questo non avverrebbe nemmeno nel caso della migrazione fisica standard. Al contrario, i contributi alla sicurezza sociale sarebbero incassati, così come le imposte indirette generate dalla spesa di salari pagati da datori di lavoro del Nord sul suolo nazionale.
Terzo, le politiche pubbliche dovrebbero adattarsi a questo nuovo tipo di occupazione. Oltre ai contratti a tempo indeterminato/determinato, full/part-time, di lavoro subordinato o di prestazione di servizi, emergerebbe una nuova categoria: il lavoro non a distanza o a distanza (nazionale o internazionale). I servizi pubblici nazionali per l’impiego (e la rete Eures) dovrebbero reperire e pubblicizzare queste posizioni e formare le persone in cerca di lavoro per migliorare la loro produttività mentre le svolgono.

Il diritto del lavoro e la normativa previdenziale dovrebbero essere aggiornati per garantire un buon equilibrio tra flessibilità e tutela alle nuove condizioni offerte dal lavoro a distanza internazionale.

La regolazione per l’impresa dovrebbe favorire l’emergere di aziende che assumono in base a questi contratti. Forse questo porterà anche a un certo grado di convergenza in queste dimensioni normative tra gli Stati membri.
Osservazioni conclusive
In un momento difficile come quello che stiamo affrontando, a seguito dei molteplici shock della pandemia – in termini di salute, istruzione, reddito e debito –, si dovrebbe pensare con coraggio a nuove opzioni politiche. Il contratto di lavoro a distanza europeo qui proposto offre il potenziale per promuovere la convergenza verso l’alto degli standard di vita in tutta l’UE, aumentando la produttività e la competitività. Allo stesso tempo, contribuirebbe a realizzare un vero mercato unico del lavoro europeo.

Soprattutto promuoverebbe un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata riducendo i flussi migratori internazionali.

La tecnologia è generalmente una forza importante per il miglioramento. Il lavoro a distanza internazionale è stato reso possibile dall’ubiquità di Internet, dai computer veloci e dai nuovi strumenti software, nel contesto di una sperimentazione forzata a seguito della pandemia. Il proverbio italiano “non tutti i mali vengono per nuocere”, in inglese equivale a un proverbio che letteralmente dice “every cloud has a silver lining” cioè “ogni nuvola ha un lato d’argento” (il lato dietro al quale si nasconde il sole). In questo caso, la nuvola di Internet che può facilitare il lavoro a distanza qui proposto potrebbe essere fatta d’oro.

 

 

Pedro S. Martins è professore di Economia all’Università Queen Mary di Londra ed ex ministro del Lavoro del Portogallo. La sua ricerca riguarda i mercati del lavoro e il ruolo delle politiche pubbliche nel migliorare l’efficienza e l’equità. Attualmente è membro del gruppo di esperti indipendenti che consigliano il governo della Grecia e la Commissione europea sul futuro ciclo di riforme del mercato del lavoro in quel Paese. Recentemente ha collaborato con il dipartimento di ricerca del Fondo Monetario Internazionale.

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