La bussola del benessere equo e sostenibile – a dieci anni dal suo varo – è sempre più centrale come linea di ricerca fondamentale per la statistica ufficiale. Indagare il benessere, concetto complesso e dinamico insieme, diventa di grande rilevanza per le scelte della politica e la società civile. Ancor più dopo l’esperienza del Covid. E nell’ultimo Rapporto BES, si evidenziano importanti criticità per quanto riguarda la sfera lavorativa. Con preoccupanti crepe sul versante giovani. L’intervento del presidente dell’Istat.
Il BES, benessere equo e sostenibile, ha compiuto dieci anni. Una linea di ricerca fondamentale per la statistica ufficiale, che ha assunto come punto di partenza la multidimensionalità del benessere; esso, infatti, è un concetto complesso e al tempo stesso dinamico. Muta nel tempo, si trasforma nei luoghi, riflette la cultura dei singoli Paesi.
La sfida lanciata dall’Italia della costruzione di un set di indicatori del “benessere oltre il Prodotto Interno Lordo (PIL)” è di grande rilevanza, per il metodo adottato e per i risultati raggiunti.
Il benessere equo e sostenibile non si configura come set di indicatori alternativo al PIL, ma è qualcosa che si affianca al PIL e supera una visione di supremazia della dimensione economica su quella sociale e ambientale.
Le tre dimensioni sono individuate come strategicamente rilevanti e poste sullo stesso piano e, in questo, il BES è una sorta di anticipatore degli indicatori di sviluppo sostenibile.
Il BES è nato in anni di approfondito dibattito internazionale. Il “cosa si misura” influenza il “cosa si fa”1. Il dibattito era concentrato sull’importanza che gli strumenti utilizzati per la misurazione del benessere fossero adeguati, per evitare di indurre a prendere decisioni non congrue a livello delle politiche sulla base dei risultati.
A partire dal 2001 l’Ocse aveva promosso diverse iniziative volte a far lievitare la consapevolezza sul tema della misurazione del progresso sociale: nel giugno del 2007 veniva adottata la Dichiarazione di Istanbul dalla Commissione europea, dall’Ocse, dall’Organizzazione della conferenza islamica, dalle Nazioni Unite, dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) e dalla Banca mondiale. È la prima dichiarazione internazionale sulla necessità di “intraprendere la misurazione del progresso sociale in ogni Paese, andando oltre le misure economiche convenzionali come il PIL pro capite”. A questa si aggiunse subito dopo il Rapporto finale della Commissione sulla misurazione della performance economica e del progresso sociale, la cosiddetta Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi2 che sottolineava come fosse necessario uno “spostamento dell’enfasi dalla misurazione della produzione economica a quella del benessere delle persone”.
È in questo contesto che nasce e si sviluppa l’esperienza del BES. Non si tratta di un sistema di indicatori fisso e inamovibile, ma di un sistema flessibile che per sua natura deve aggiornarsi continuamente sulla base dell’emergere di nuove esigenze, così come avviene nella realtà.
Il lavoro metodologico e tematico per disporre di un quadro sempre più completo e aggiornato sulla qualità della vita dei cittadini è assai complesso. Ma l’arricchimento che se ne ricava, in termini di pertinenza delle informazioni, è elevato.
Il metodo della condivisione alla base della costruzione del sistema di indicatori BES
Nell’esperienza di Istat, il metodo adottato per la costruzione del sistema di indicatori BES è stato quello della condivisione con la società civile e con la comunità scientifica del processo di selezione degli indicatori stessi. Primo step è stato definire il set di domini del benessere, le sue dimensioni fondamentali. Il secondo ha invece riguardato la scelta dell’insieme degli indicatori più significativi. Il processo avviato è stato di ampia discussione. Il caso italiano è assolutamente anomalo in questo senso sul piano internazionale. Ha inaugurato un nuovo modo di costruire indicatori rilevanti per le politiche. La condivisione è stata scelta come strumento fondamentale per disporre di un insieme di indicatori basato scientificamente, ma in cui tutti possano riconoscersi. Non calati dall’alto, e neppure costruiti solo dall’Istat con, al massimo, il contributo della comunità scientifica. Domini e indicatori definiti insieme alla società civile. Per questo la discussione si è avviata prima nel comitato Cnel-Istat (che comprendeva sindacati, associazioni di categoria, ecologisti, consumatori, volontariato, commissioni femminili regionali con ampia rappresentanza della società civile) che doveva definire i domini del benessere. Per poi tornare alla commissione scientifica incardinata presso l’Istat, che doveva selezionare gli indicatori e poi riverificarli con il comitato.
Il processo di condivisione è stato il punto di forza della costruzione del BES e non si è fermato qui. Una indagine su 50.000 individui è stata lanciata tra i cittadini per verificare quali fossero secondo loro gli ingredienti fondamentali del benessere. Ciò è avvenuto introducendo un modulo all’interno dell’indagine multiscopo “Aspetti della vita quotidiana” dell’Istat. Parallelamente è stata condotta una consultazione qualitativa con il fine di raccogliere ulteriori suggerimenti da parte dei cittadini.
Il tutto ha permesso di configurare 12 domini e 134 indicatori che hanno creato le condizioni per comprendere, anno dopo anno, che cosa stava succedendo nel Paese, attraverso le diverse dimensioni del benessere, quali erano i suoi punti di forza e quali di debolezza; quale era, altresì, il livello di qualità della vita raggiunto dalla popolazione.
Il processo di condivisione rende il benessere equo e sostenibile particolarmente rilevante e potente, ed è stato unico nel panorama internazionale. Consultazioni con i cittadini sono avvenute anche in altri Paesi, ma non su indagini campionarie di tale ampiezza e soprattutto non si sono mai combinate con una discussione così articolata, sia con la comunità scientifica, sia con la società civile. Nel 2016, il riconoscimento dell’importanza del BES avviene anche tramite la selezione di 12 indicatori, uno per dominio, destinati a venire inseriti ogni anno nel Documento di economia e finanza (Def).
La nuova sfida del BES all’indomani della pandemia
Il nostro Paese si è trovato al centro di tre criticità fondamentali: la crisi sanitaria, la crisi climatica e la rivoluzione tecnologica.
L’arrivo della pandemia ha rappresentato l’occasione per una riflessione sul framework del BES, per individuare se fosse necessario integrare indicatori rilevanti per il benessere dal punto di vista della nuova situazione venutasi a creare.
Un set integrativo di indicatori è stato delineato in coerenza con le linee fondamentali del programma #Next Generation EU. Si è risposto così alla esigenza di arricchire le informazioni disponibili sui servizi di tipo sanitario, sulla digitalizzazione (a livello individuale e familiare, di imprese e di PA), sul capitale umano (sia dal lato della formazione, sia dal lato del lavoro) e sul cambiamento climatico. Anche la tempestività negli aggiornamenti è stata un elemento di innovazione, con lo studio della possibilità di sostituire alcuni indicatori aggiornabili con frequenza pluriennale, con altri a cadenza annuale; ad esempio, per alcune misure sulla percezione di sicurezza, sulla vulnerabilità economica delle famiglie e sull’asimmetria del lavoro familiare. Inoltre, con l’obiettivo di fornire un quadro del benessere ai tempi del Covid il più aggiornato possibile, le analisi e il set di indicatori BES sono stati integrati nel corrispondente Rapporto annuale con stime, per il 2020, basate sui dati trimestrali dell’indagine sulle “Forze di lavoro” e con stime 2020 provvisorie dell’indagine “Aspetti della vita quotidiana”. Le analisi presentate nel Rapporto BES 2020 sono state arricchite anche con dati aggiuntivi relativi ai primi mesi dell’anno; è il caso, ad esempio, degli indicatori di mortalità per il dominio salute, di indicatori sul clima di fiducia dei consumatori per il dominio benessere economico, del numero di omicidi e di reati predatori per il dominio sicurezza e della qualità dell’aria nel dominio ambiente. Insomma, il sistema di indicatori del benessere si presenta sempre più ricco e aggiornato dal punto di vista della tempestività dell’informazione.
Le profonde trasformazioni che hanno caratterizzato la società italiana nell’ultimo decennio e il diffondersi della pandemia da Covid-19, con l’eccezionalità di un periodo cui nessuno era preparato, che ha fatto emergere nuovi bisogni e acuito le disuguaglianze, hanno reso necessario un lavoro di arricchimento del quadro concettuale del BES con l’inserimento di 33 nuovi indicatori per un totale di 152 nel complesso.
Le criticità del benessere dieci anni dopo il varo del BES
A dieci anni di distanza le criticità del benessere dei cittadini sono evidenti. Dal punto di vista della salute in 12 mesi i progressi raggiunti in un decennio sono stati annullati. Completamente nel Nord e parzialmente nelle altre aree del Paese. Ciò si è accompagnato a una particolare diminuzione di posti letto negli ospedali e nei reparti a elevata intensità di attività assistenziale, oltre che a una carenza molto accentuata di personale infermieristico, pari circa alla metà di quello della Germania, in rapporto al numero di abitanti. Gli effetti della pandemia emergono nella crescente parte di popolazione che esprime segnali di difficoltà nell’accesso alle cure. Nel 2020 un cittadino su dieci dichiara di aver rinunciato, negli ultimi 12 mesi, a visite o accertamenti, pur avendone bisogno, per motivi legati a difficoltà di accesso. In aumento di oltre il 40% rispetto al 2019. Più colpiti gli anziani di 75 anni e più: il 14,7% ha dovuto rinunciare ad almeno una prestazione sanitaria di cui aveva bisogno.
L’Italia si è allontanata dall’Europa per tutti gli indicatori di istruzione e anche del lavoro. Rispetto alla Ue27 siamo al di sotto di 16 punti per la percentuale di diplomati e di 14 per quella dei laureati. Le donne hanno una probabilità più alta di laurearsi dei maschi italiani, ma molto più bassa rispetto alle donne europee. È ancora forte la preferenza per le discipline non scientifiche per gli uomini e ancor più per le donne.
Aumenta il divario con l’Europa anche per l’incidenza di giovani che non studiano e non lavorano, i così detti NEET, si eleva da 6 punti a 10 in più. Nel secondo trimestre 2020, il 23,9% dei nostri giovani si è trovato in questa condizione, 3 punti in più rispetto al 2010.
Siamo indietro anche rispetto alla presenza di bimbi al nido. A fronte di un obiettivo europeo per il 2010 del 33%, l’Italia nove anni dopo si colloca al 27%. Con una particolare criticità nel Mezzogiorno e una bassa percentuale di copertura di nidi pubblici.
Siamo penultimi in Europa quanto a occupazione femminile. E ultimi per le donne da 25
a 34 anni.
Forti le criticità che emergono in relazione alla qualità del lavoro nel nostro Paese Nell’ultimo decennio la quota di occupati impegnati in lavori part-time, non per loro libera scelta, aumenta sensibilmente; così come cresce, ritornando a valori che erano propri del 2010, la quota di lavoratori con una bassa paga (retribuzione oraria inferiore ai due terzi di quella mediana).
Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni la distribuzione del carico domestico continua a penalizzare le donne, su cui ricade la gran parte del lavoro in casa e di cura, specie nel Mezzogiorno, dove le donne con figli che lavorano hanno un sovraccarico maggiore. A dieci anni di distanza si è aggravata la situazione relativa alla povertà assoluta, più che raddoppiata. Migliora il livello di digitalizzazione della popolazione, ma non quanto servirebbe per raggiungere l’Europa. Gli anziani presentano 80 punti in meno di utilizzo di Internet rispetto ai giovani. Cresce il peso dei lavoratori della conoscenza, ma aumenta la distanza dall’Europa, siamo a -6 punti. Sono bassi gli investimenti in ricerca e sviluppo e lontani dall’obiettivo dell’1,53%. Avanzamenti si registrano in termini di maggiore presenza delle donne nei luoghi decisionali, in particolare nei consigli di amministrazioni (38,6% nel 2020). Mentre è ancora fortemente minoritaria la loro presenza nei Consigli regionali (22%) e in altre istituzioni (19%).
Le restrizioni durante la pandemia spiegano la riduzione della partecipazione culturale fuori casa (di 5 punti), e il maggiore investimento in attività che è stato possibile svolgere in casa. È infatti aumentata la quota di lettori. Grazie ai minori sconfinamenti della media annuale di PM2,5 rispetto ai valori di riferimento dell’OMS, si registra un lieve miglioramento della qualità dell’aria: ciononostante, i valori registrati restano molto critici, poiché in più dell’80% delle misure effettuate permangono su livelli molto elevati. Diversa la situazione sul fronte dei rifiuti, che fa riscontrare netti miglioramenti, con la riduzione sia della produzione di rifiuti urbani, sia di quelli smaltiti in discarica. Tale percentuale resta tuttavia lontana dal target Ue del 10% entro il 2035.
Segnali preoccupanti, anche per gli effetti sui cambiamenti climatici, provengono dagli indicatori di consumo di suolo e abusivismo edilizio, cresciuti nell’ultimo decennio. Anche i dati relativi agli eventi estremi meteo climatici sono preoccupanti con riferimento ai vari indicatori considerati. Risultano infatti in aumento l’intensità dei giorni di caldo (negli ultimi dieci anni risulta sempre maggiore rispetto alla mediana del periodo 1981-2010), il numero di periodi prolungati con scarsità di pioggia (con conseguenti difficoltà di approvvigionamento idrico) e la frequenza di fenomeni opposti, cioè intense e localizzate precipitazioni, spesso associate a disastri causati da alluvioni o frane.
Il BES si conferma una bussola fondamentale per società civile e decisori politici. La sua costruzione condivisa ne garantisce la qualità e il suo massimo utilizzo potrà giovare al futuro del Paese, specie per monitorare i tempi e i risultati dell’auspicata nuova “ricostruzione”.
NOTE
1 J.E. Stiglitz et al., Report of the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress (CMEPSP), 1/2009, https://ec.europa.eu/eurostat/documents/8131721/8131772/Stiglitz-Sen-Fitoussi-Commission-report.pdf
2 Ibidem.