Il fenomeno della pandemia, ancora in pieno sviluppo, ha modificato il nostro rapporto con la mobilità. Un processo destinato a proseguire e a suggerire alle amministrazioni pubbliche soluzioni adeguate e innovative per migliorare la vita delle persone. Come si evince da una prima analisi dei rapporti usciti recentemente. E che non riguardano solo l’Italia. Ad esempio, si andrà verso una riqualificazione degli spazi pubblici per favorire la mobilità attiva con ulteriori limiti di velocità per autoveicoli e motocicli. Non verrà dimenticato il ricorso alla digitalizzazione per servizi a distanza. Così come la pratica del lavoro a distanza che proseguirà favorendo un decongestionamento del traffico urbano. Ma, in generale, vale un criterio: che non si perseguano visioni ideologiche che non tengano affatto conto delle differenze. Perché una grande città presenta esigenze assai diverse da quelle di realtà più contenute.
A oggi (novembre 2021, ndr), l’andamento della pandemia dovuta al Covid-19 è ancora carico di incertezza: nonostante l’industria farmaceutica abbia messo a disposizione i vaccini con tempi più brevi di quanto si potesse ipotizzare all’inizio dell’infezione e sebbene gran parte della popolazione italiana abbia aderito alla proposta di una vaccinazione di massa, l’andamento del contagio crea preoccupazione, accresciuta dalla constatazione della grave situazione che si riscontra in altri Paesi europei e del mondo. Questa premessa è necessaria per chiarire che ci apprestiamo a trattare di un fenomeno in pieno sviluppo, la cui lettura non può che essere caratterizzata da una estrema incertezza.
Come questo fenomeno ha cambiato e cambierà la mobilità, in particolare nelle città? Per quanto riguarda la prima parte della domanda – cos’è avvenuto dall’inizio della pandemia – possiamo contare ormai su una serie di osservazioni e su alcuni studi ancora preliminari, dato il breve tempo intercorso, infatti non sono ancora passati due anni dalle prime drastiche norme di contenimento dei contatti sociali che hanno inevitabilmente inciso fortemente sulla mobilità.
Circa la seconda parte della domanda, che riguarda le prospettive, dobbiamo ammettere che nessuno ha certezze e che dobbiamo limitarci a condividere una serie di riflessioni e di ragionevoli ipotesi. Tuttavia, vorremmo da subito proporre un punto di vista particolare: il futuro non sarà il frutto deterministico degli eventi che stiamo vivendo ma dipenderà in buona parte dalle decisioni che prenderemo.
La pandemia ha prodotto una vera e propria rottura di continuità nelle dinamiche sociali, accelerando, oltre ogni previsione, alcuni fenomeni e frenandone altri: ci sono quindi condizioni di discontinuità che possono consentire di modificare gli attuali assetti, tra i quali – senza dubbio – si può annoverare la domanda di mobilità, sia come intensità sia come modalità.
Conseguenze della pandemia in Italia
A metà novembre 2021 è stato presentato il 18° Rapporto sulla mobilità degli italiani prodotto dall’ISFORT (Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti)1: si tratta di una vasta indagine campionaria sulla mobilità, giunta alla 21° edizione annuale, effettuata attraverso interviste telefoniche CATI e CAWI su un campione statisticamente rappresentativo della popolazione italiana tra i 14 e gli 80 anni. L’indagine rileva in modo dettagliato e sistematico tutti gli spostamenti effettuati dall’intervistato nel giorno precedente l’intervista, a eccezione degli spostamenti a piedi che hanno richiesto meno di 5 minuti di tempo, i quali sono rilevati ma non descritti.
Possediamo, quindi, una fonte statistica affidabile che ci consente di descrivere e misurare gli effetti che la pandemia ha prodotto in questa sua prima fase. Lo studio sintetizza in quattro messaggi i principali effetti:
1. La forte flessione dei volumi di mobilità
2. La concentrazione spaziale della domanda e il ricentraggio della domanda sulla prossimità
3. La riduzione del peso della mobilità per lavoro e studio a vantaggio della gestione familiare
4. Il grande sviluppo della mobilità attiva e la crisi della mobilità collettiva.
Esaminiamoli brevemente, rimandando al Rapporto per una più dettagliata analisi.
Nel 2020, soprattutto a causa dei prolungati periodi di lockdown, il numero di spostamenti nei giorni feriali si è ridotto del 22,3% e ancora maggiore è la riduzione delle distanze percorse (passeggeri/chilometro), – 39,8%, a causa della maggiore contrazione dei viaggi più lunghi. Ancora maggiore è stata la riduzione nei giorni festivi (-31,1%), dato omogeneo per numero di spostamenti e distanze percorse. Si tratta, ovviamente, di un dato medio che sintetizza situazioni molto diverse tra periodi di chiusura e non: le informazioni che provengono dalla rete autostradale e ANAS, che permettono una rilevazione continua nel tempo dell’intensità dei flussi, indicano che nel periodo del primo lockdown i flussi si sono ridotti fino all’80% per poi risalire progressivamente da maggio ad agosto, recuperando in pieno e anche superando i livelli pre-Covid di inizio anno, per poi ridiscendere dalla fine dell’estate sino alla fine dell’anno, seguendo quindi il profilo della curva dei contagi e le conseguenti restrizioni.
Gli spostamenti per recarsi al lavoro e a scuola si sono quindi notevolmente ridotti, mentre sono aumentati gli spostamenti attorno ai luoghi di residenza, prevalentemente dovuti a motivi di gestione familiare:
il modello di mobilità della popolazione si è quindi caratterizzato per un sensibile “ricentraggio” sulle brevi distanze; la lunghezza media degli spostamenti è scesa a 8,7 km dagli 11,2 km del 2019 (quella della sola mobilità urbana da 5,7 a 3,6 km) e di conseguenza il peso degli spostamenti di corto raggio (fino a 10 km) è cresciuto all’81,4% (75% nel 2019), mentre i viaggi di oltre 50 km sono diminuiti all’1,8% del totale (erano il 2,6% nel 2019).
photo © Tommaso Prinetti
Oltre la drastica riduzione del volume dei flussi, il dato che maggiormente emerge è il profondo cambiamento nelle scelte dei mezzi di trasporto utilizzati: il trasporto pubblico ha visto dimezzare la quota modale (dal 10,8% al 5,4%) e perdere nel corso dell’anno oltre il 50% dei passeggeri; inoltre, sono crollati i viaggi intermodali, dal 6,5% all’1,7 degli spostamenti motorizzati: molti di coloro che utilizzavano l’auto fino a un parcheggio di interscambio per poi prendere i mezzi pubblici hanno preferito continuare fino a destinazione con l’auto. Oltre alla riduzione generale della domanda, hanno pesato le regole del distanziamento sociale ma, soprattutto, la paura del contagio, paura più che giustificata visto il livello inaccettabile di affollamento esistente sui mezzi nelle ore di punta. Quello che ISFORT ha chiamato il “ricentraggio” degli spostamenti sulla breve distanza ha favorito la mobilità attiva e in particolare gli spostamenti a piedi, il cui peso è cresciuto dal 20,8% del 2019 al 29% del 2020 e in bicicletta (dal 3,3% al 3,8%). L’automobile ha mantenuto la sua posizione dominante nella scelta degli italiani, riducendo lo share modale di soli 2,5 punti (dal 62,5% al 59%).
Se le chiusure obbligatorie delle attività scolastiche e lavorative sono state determinanti nel primo periodo della pandemia, la repentina diffusione dei servizi di comunicazione a distanza, per la didattica, il lavoro ma anche per le relazioni sociali e amicali, hanno consentito di mantenere bassa la necessità di spostarsi anche quando le restrizioni sono state allentate o annullate: è questo il fenomeno da osservare e indagare con maggiore attenzione perché destinato a condizionare in modo decisivo gli scenari futuri.
Un rapido sguardo sugli altri Paesi
Uno studio commissionato dal Parlamento Europeo, COVID-19 and urban mobility: impacts and perspectives - Rapid-response briefing2, conclude che “l’uso del trasporto pubblico e dei servizi di mobilità condivisa è diminuito drasticamente durante e subito dopo la serrata, mentre i cittadini preferiscono i veicoli privati come le automobili e le biciclette, ma anche gli spostamenti a piedi”. Lo studio utilizza i dati di Google Covid-19 Community Mobility Reports e i Mobility Trends Reports di Apple, originati dalle informazioni GPS degli smartphone, che danno un’indicazione precisa e confrontabile dei comportamenti: in tutto il mondo (62 Paesi e 89 città incluse nell’analisi): il trasporto pubblico ha raggiunto la punta minima in aprile 2020 con una riduzione del 76%, mentre il calo dell’utilizzo dell’auto ha raggiunto nello stesso periodo una riduzione del 65% (undici punti percentuali in meno) e gli spostamenti a piedi del 67%.
Lo studio fa notare che la diminuzione dell’utilizzo del trasporto pubblico è stata maggiore nei Paesi ad alto reddito, dove il servizio offerto è di migliore qualità: prova che l’utilizzo del trasporto pubblico sia stato nella maggior parte dei casi una scelta obbligata, mentre la preferenza sarebbe andata verso forme di trasporto individuale, con propensione per la mobilità attiva dove le distanze lo hanno permesso.
Su questa linea si muovono le molte indagini effettuate dalle autorità dei trasporti nazionali. Come esempio, riportiamo quanto l’Agenzia svedese dei trasporti scrive a conclusione di una indagine finalizzata a sondare: “Se, come e in che misura la pandemia cambierà probabilmente il sistema dei trasporti”. Partendo dalla osservazione che le tendenze consolidate in atto prima della pandemia erano; a) il movimento verso un sistema di trasporto sostenibile, b) un sistema di trasporto più digitalizzato e c) un aumento del trasporto pubblico, conclude: “Sembra che gli sforzi verso un sistema di trasporto più sostenibile stiano guadagnando nuovo slancio, che la digitalizzazione del sistema di trasporto stia accelerando ulteriormente, ma anche che la diminuita propensione delle persone a viaggiare sui mezzi pubblici rischi di rallentare la tendenza verso una maggiore quota di viaggi pubblici”.
photo © Tommaso Prinetti
Anche in Germania, l’Automobil Club Tedesco ha svolto un’indagine campionaria per rilevare i comportamenti di mobilità e nello stesso tempo per gettare lo sguardo sul futuro: una persona su due trascorre più tempo a casa rispetto a prima della pandemia e l’uso dei trasporti collettivi, sulla breve e lunga distanza, è calato significativamente: il 33% degli intervistati viaggia meno o non usa più l’autobus, il tram o il treno; il 29% fa lo stesso per la S-Bahn e la U-Bahn. Il 21% degli intervistati ha ancora un abbonamento per il trasporto pubblico, ma il 5% ha già cancellato i propri abbonamenti durante la pandemia, e il 3% sta progettando di farlo. C’è, però, anche un 3% di persone che pensa di riattivare il suo abbonamento. Le biciclette sono usate più spesso del 22% rispetto a prima della crisi, cifra che è aumentata costantemente da marzo 2020 (8%) a novembre 2020 (13%). La percentuale di non ciclisti è scesa dal 33% al 21%. Il 54% di tutti gli intervistati ha detto che avrebbe usato la sua auto tanto spesso quanto prima del Coronavirus, il 20% più spesso.
Come cambierà la mobilità in futuro?
Unanime è la considerazione che la pandemia abbia attivato o comunque accelerato processi di trasformazione tali da rendere il futuro senza dubbio diverso dal passato: accanto a scelte che contrastano con le politiche tese a ridurre l’impatto ambientale e climatico della mobilità, come il ritorno all’auto privata, con la pandemia si sono sviluppate dinamiche che, se opportunamente incentivate e accompagnate, potranno migliorare sensibilmente la vita nelle città.
Iniziamo dal fenomeno che può portare i maggiori benefici: la crescita delle attività che possono essere effettuate a distanza e la conseguente riduzione della necessità di spostarsi. Il lockdown ha infatti innescato una rapida diffusione dei servizi di videocomunicazione e di condivisione delle informazioni, elementi essenziali per consentire di svolgere in modo efficace attività di lavoro, di formazione e altre attività sociali a distanza: se da un lato è unanime la valutazione che esse non sostituiranno mai integralmente la prossimità fisica, e quindi la necessità di spostamento, è anche molto alta la propensione tra coloro che le hanno sperimentate di continuare a utilizzarle, almeno per una parte del tempo. Anche la digitalizzazione dei servizi pubblici, in primis quelli legati alla salute, apre la prospettiva di una significativa riduzione della necessità di spostamento.
photo © Denis Nevozhai_Unsplash
Queste tendenze, se adeguatamente accompagnate, possono portare a una diversa distribuzione geografica delle attività, ridando ruolo e vita alle città che fanno parte delle aree metropolitane: la pandemia ha permesso a molte persone, soprattutto ai pendolari delle periferie e delle città satellite, di riscoprire una dimensione più umana del vivere alla quale vorrebbero ora non rinunciare. Questa richiesta potrebbe andare incontro alla esigenza di limitare le emissioni di CO2, che si ottiene molto più efficacemente avvicinando i luoghi di lavoro piuttosto che producendo auto meno inquinanti. Ad esempio, l’indagine tedesca rileva che di tutti coloro che potrebbero lavorare a distanza – cioè il 53% degli occupati – più di due terzi preferirebbero farlo più spesso e più di un quarto si aspetta che la quota del proprio lavoro a distanza continui a crescere.
Il secondo fronte è dove la pandemia ha accelerato i processi di diffusione delle applicazioni digitali in gran parte della popolazione. Ciò crea un contesto più favorevole per lo sviluppo dei servizi di mobilità (MAAS), che offrono soluzioni integrate di selezione, acquisto e utilizzo dei servizi di trasporto pubblico, collettivi (di linea e a chiamata), in condivisione (sharing e pooling) e individuali (auto con conducente nelle diverse forme che, auspicabilmente, potranno essere introdotte anche in Italia). È questo il fronte più sfidante per il trasporto pubblico locale, che deve vincere la sfida di offrire la possibilità di viaggiare in condizioni confortevoli e soprattutto di non eccessivo affollamento. Questi obiettivi non potranno essere raggiunti solo con l’utilizzo della tecnica: in sinergia con l’obiettivo di ridurre gli spostamenti occorre affrontare con coraggio il tema del prezzo richiesto per utilizzare i trasporti pubblici, oggi ampiamente sotto la metà del costo di produzione, con evidenti fenomeni di anomala induzione della domanda.
Un terzo fronte, specifico per le città, è la riqualificazione degli spazi pubblici, strade e marciapiedi in primis, a favore della “mobilità attiva”, cioè non motorizzata, sviluppando piani di mobilità che cambiano le priorità d’uso dello spazio pubblico riservando spazi al transito di ciclisti e pedoni e imponendo stretti limiti di velocità per le auto. Progetti in questa direzione sono presenti in tutte le grandi città occidentali e sono stati accelerati con la pandemia, come è avvenuto a Milano con il progetto Open Streets.
Importante, però, che queste politiche, specifiche per i centri densamente abitati delle metropoli, non divengano un paradigma ideologicamente esteso anche alle aree a bassa densità, dove l’utilizzo dell’auto rimane indispensabile per non rimanere nell’assoluto isolamento.
NOTE
1. https://www.isfort.it/2021/11/12/18-rapporto-audimob-sulla-mobilita-degli-italiani/
2. https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2020/652213/IPOL_IDA%282020%29652213_EN.pdf