Trimestrale di cultura civile

I giovani e la città: un rapporto da ricostruire

  • GEN 2022
  • Alessandro Rosina

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La vicenda pandemica ha reso ancor più evidente la necessità di promuovere processi di cambiamento e sviluppo delle realtà metropolitane allo scopo di offrire soluzioni concrete alle nuove domande della generazione più giovane. Attratta da un’esperienza di ben essere. Vale a dire: la possibilità di avviare percorsi di vita in luoghi finalmente inclusivi e sostenibili. Una sfida caratterizzante i decenni centrali di questo secolo.

Attrattività e qualità

Nel declinare il rapporto tra città e giovani nel contesto evolutivo italiano post pandemico, è utile mettere assieme tre elementi. Il primo è di tipo demografico e riguarda la domanda di giovani nei processi di cambiamento e sviluppo delle realtà metropolitane. Il secondo corrisponde all’impatto che ha avuto l’emergenza sanitaria. Il terzo ha a che fare con il tipo di offerta che le nuove generazioni sono portate a esprimere in coerenza con le sfide del proprio tempo e con la novità di cui sono portatrici.

Partiamo dal primo elemento. L’Italia sta vivendo un inedito e profondo processo di “degiovanimento”, ovvero di riduzione strutturale della presenza quantitativa di giovani nella popolazione e nella società. Tale riduzione quantitativa si associa, paradossalmente, anche a un disinvestimento qualitativo pubblico, ovvero a una carenza di spazi, strumenti e opportunità, che impoveriscono i percorsi di vita dei giovani e indeboliscono il loro ruolo nei processi di cambiamento e produzione di benessere. Sulle voci che riguardano la formazione, l’orientamento, i servizi per l’impiego, le politiche abitative, ricerca, sviluppo e innovazione, da troppo tempo l’incidenza sul prodotto interno lordo risulta da decenni più bassa rispetto alla media europea. La conseguenza è un’alta percentuale di NEET (i giovani che non studiano e non lavorano), una lunga dipendenza economica dalla famiglia di origine, un’età al primo figlio che risulta mediamente la più alta in Europa. Ma questi squilibri generazionali sono andati anche sempre più a interagire con altre diseguaglianze territoriali (soprattutto con accentuazione dello svantaggio del Sud e delle periferie delle grandi città) e sociali (con conseguente bassa mobilità sociale).

Le città tendendo, inoltre, a presentare livelli di fecondità più bassa rispetto al resto dei territori nazionali, sono realtà dove è maggiormente presente la popolazione anziana. Questo significa che in Italia la riduzione quantitativa dei giovani nei centri urbani come conseguenza della bassa natalità e l’aumento degli squilibri tra generazioni tendono a essere fenomeni particolarmente accentuati. Maggiore è, quindi, la necessità di essere attrattivi rispetto ai flussi esterni. In caso contrario i giovani rischiano di trovarsi frenati nelle potenzialità di sviluppo e di non alimentare processi di innovazione sociale e culturale.

Il contesto in cui le scelte di vita e di lavoro vengono collocate risulta sempre più complesso
e in continuo mutamento, con ricadute sul concetto di abitante e sui modelli dell’abitare. La popolazione che rende dinamica e vitale una città, partecipando in vario modo al suo sviluppo
culturale ed economico, è sempre meno solo quella formalmente residente all’interno dei confini amministrativi. La componente degli alloggiati ma non residenti (compresi gli studenti “fuori sede”) e, più in generale, dei city users era già molto consistente, nelle grandi città più dinamiche, prima della pandemia, andando ad aumentare soprattutto la componente giovane-adulta. Nel new normal i flussi diventeranno ancora più rilevanti rispetto allo stock della popolazione, diventa quindi importante tenerne esplicitamente conto nel governo delle politiche sociali e di sviluppo.

La sfida a essere attrattivi mette al centro, in particolare, la qualità migliorando opportunità e servizi. Questo ha poi ricadute positive su tutti, compresi gli abitanti stessi della città. Non vanno però sottovalutate le possibili ricadute negative della “gentrificazione”. Un esempio è l’aumento del costo delle abitazioni: un tema molto sensibile sia per i giovani (studenti e lavoratori) attratti dalla città, sia per l’accesso alla casa da parte delle giovani coppie. Da un lato c’è quello che possono fare le leggi nazionali rispetto alle agevolazioni su affitto e acquisto, d’altro lato quello che si può fare sul territorio combinando politiche di sviluppo urbanistico e politiche sociali mettendo assieme pubblico, privato e Terzo settore in coerenza con l’approccio del welfare comunitario. Le città europee più dinamiche stanno, in particolare, fortemente puntando sul social housing che risponde alla domanda di abitazioni accessibili ma puntando sulla qualità: favorendo nel contempo anche integrazione, utilizzo di spazi e servizi comuni, azioni di riqualificazione urbana, risparmio energetico.

Un’inchiesta de Il Sole 24 Ore (pubblicata il 28 giugno 2021) ha messo a confronto le varie città metropolitane e province italiane considerando un sistema di indicatori di benessere su tre fasce d’età: giovani, adulti e anziani. Milano e Roma appaiono solo nella top ten degli over 65, trainate dagli importi medi delle pensioni. Riguardo ai bambini, invece, si piazzano rispettivamente 42esima e 18esima, penalizzate dal ridotto spazio abitativo. La capitale italiana e il capoluogo lombardo sprofondano al 76esimo e 106esimo posto per i giovani, in particolare per le difficoltà di accesso alla casa.

Fragilità e protagonismo

Un secondo aspetto rilevante da prendere in considerazione nel rapporto tra giovani e città è l’impatto che ha prodotto l’emergenza sanitaria sui giovani. Se il virus ha colpito in misura maggiore la salute fisica degli anziani, le ricadute indirette sul disagio economico e sulla salute mentale sono state particolarmente intense su tardo adolescenti e giovani, esponendoli a un deterioramento del benessere personale.

Le crisi economiche tendono a investire maggiormente anche l’occupazione delle nuove generazioni. Le evidenze disponibili mostrano come le misure messe in campo per contenere la diffusione di Covid-19 abbiano colpito soprattutto i lavoratori con contratti a tempo determinato e autonomi, dove maggiore è la presenza di giovani. Sono, inoltre, aumentate le difficoltà nel trovare lavoro per chi era alla ricerca del primo impiego.

I dati dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo raccolti in due indagini ad hoc condotte a fine marzo e a fine ottobre 2020 mostrano come gli under 35 italiani siano tra i più preoccupati in Europa rispetto all’impatto della pandemia sui propri percorsi lavorativi e maggiormente vedano a rischio i propri progetti di vita.

La pandemia ha, inoltre, aumentato l’incertezza nei confronti del futuro, soprattutto nei contesti più vulnerabili, amplificando le diseguaglianze generazionali e sociali. In generale, se non si fa in modo che all’aumento della complessità corrisponda una maggiore capacità dei giovani di leggere la realtà in cui vivono, farne esperienza positiva, essere orientati a riconoscere le opportunità da cogliere, ma anche messi nelle condizione di crearne nuove, il rischio è che l’incertezza sfugga dalla capacità di controllo e generi insicurezza. La crescente insicurezza porta i giovani a schierarsi in difesa, a collocarsi ai margini oppure ad andare altrove, anziché diventare protagonisti positivi nel trasformare il cambiamento in miglioramento, coniugandolo alle potenzialità del territorio con le grandi sfide del mondo in cui vivono.

Il terzo aspetto riguarda, allora, le specificità delle nuove generazioni, da riconoscere sia in termini di fragilità che di potenzialità.

Ancor più che in passato, i giovani (ipercontrollati, spesso iperprotetti e su cui pesano molte aspettative, in una realtà con coordinate in continuo mutamento, soprattutto nelle grandi città), hanno l’esigenza di sperimentarsi, mettersi alla prova in ambienti meno istituzionali e formali, dove provare, sbagliare, rimettersi in gioco, relazionarsi con gli altri, prendere degli impegni e valutare la capacità di portarli avanti. Questo può avvenire più facilmente all’interno di contesti informali (associazioni, oratori, sport, volontariato) che possono diventare formidabili palestre di potenziamento del “fare con gli altri”, del fare esperienza di sé oltre a sé, del riconoscersi come valore in grado di generare valore condiviso.

La necessità di relazioni autentiche evidenzia anche uno degli aspetti deboli della Rete e dei social network, dove si offre un contesto di interazione con gli altri che difficilmente però è spazio di vera relazione e sincero ascolto. Questa fame di relazioni vere rimane spesso inappagata e ha bisogno di trovare espressione piena in luoghi concreti di incontro, confronto, scambio di valore.

Le ricerche su volontariato e servizio civile mostrano che quello che le nuove generazioni apprezzano particolarmente è la possibilità di combinare in modo virtuoso il sentirsi attivi in progetti concreti su cui misurare la propria capacità di fare e ottenere risultati.

In particolare, è per loro molto importante confrontarsi con coetanei nelle stesse condizioni sia per sentire che i cambiamenti che li riguardano (e corrispondenti aspettative, timori, sensazioni) sono un’esperienza condivisa, sia per arricchire le competenze sociali e relazionali. I giovani sono in relazione con i pari certamente anche a scuola e nei centri sportivi; in tali contesti però il riferimento principale è sempre un adulto. A fronte di una diminuzione demografica di fratelli e cugini, il confronto con chi si trova in una posizione intermedia tra essi e il mondo degli adulti – potendo quindi fornire una prospettiva generazionalmente prossima di interpretazione della realtà e dei suoi mutamenti – lo trovano quasi esclusivamente nell’oratorio e nelle esperienze di autonomia create dal basso. Esperienze che aiutano ad adottare un doppio sguardo: non solo il proprio sul mondo, ma anche quello delle persone simili a sé ma oltre a sé. Per differenza tra i due sguardi possono prendere consapevolezza del proprio processo di crescita e del valore che produce il proprio protagonismo positivo.

Diversità e valore

La pandemia da Covid-19 ha, quindi, certamente prodotto un forte impatto dal punto di vista economico e sociale, oltre che direttamente sulle condizioni di salute, determinando una discontinuità anche sulla vita quotidiana, su come vengono intese e vissute le relazioni sociali, sullo stato emotivo, sulle modalità di lavoro e formazione. Oltre alle ferite sociali lasciate dalla pandemia emergono però anche segnali incoraggianti. Sempre i dati dell’Osservatorio mostrano la presenza in molti giovani della voglia di reagire positivamente, di guardare oltre i limiti della normalità passata, assieme a una maggiore propensione a contare su se stessi e sugli altri, a far fronte ai cambiamenti e a riconoscere nuove opportunità. Allo stesso tempo intravedono una necessità di ripensare il modello sociale e di sviluppo delle città all’interno del quale portare nuove sensibilità, come quella della valorizzazione della bio- e della socio-diversità, e nuove competenze, come quelle digitali e interculturali.

Va allora colta la discontinuità della pandemia per iniziare davvero una fase diversa di sviluppo inclusivo e sostenibile, con la consapevolezza che solo il cambiamento che trova il consenso delle nuove generazioni e le mette nelle condizioni di dare il meglio di sé va nella direzione di un futuro collettivo migliore. Sia a livello locale che nazionale.

Ma è soprattutto nei contesti locali che la partecipazione giovanile, con riscontro diretto dell’agire collettivo e miglioramento tangibile del benessere comune, può farsi palestra di una nuova politica in grado di mettere in relazione positiva le scelte di oggi e il benessere, inteso nell’accezione più ampia, di domani. Le città che favoriranno processi di questo tipo saranno quelle meglio in grado di interpretare i percorsi di sviluppo inclusivo e sostenibile nei decenni centrali di questo secolo.

photo © Priscilla Du Preez_Unsplash

Alessandro Rosina è professore ordinario di Demografia e Statistica sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, dove dirige inoltre il “Center for Applied Statistics in Business and Economics” (Laboratorio di statistica applicata alle decisioni economico aziendali).

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