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ARTICOLO | Intervento di Giorgio Vittadini su la Repubblica

Restituire un senso al lavoro
è la prima urgenza del Paese

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La crisi dell’impiego affligge soprattutto i giovani: senza un dignitoso percorso professionale non possono affrontare la vita con speranza. Occorre un’alternativa sia al neo-liberismo sia all’assistenzialismo

Quella del lavoro rimane la principale emergenza del Paese, non solo perché i lavori poveri, precari e non dignitosi hanno ancora percentuali tra le più elevate nei paesi Ocse ed europei, ma soprattutto perché il problema coinvolge in gran parte i giovani. La difficoltà a inserirsi in un percorso professionale, per un giovane significa l’impossibilità a realizzarsi e ad affrontare la vita con speranza.

Il tasso di disoccupazione dei ragazzi (15-24 anni) è salito al 21,7% con un aumento di 0,9 punti dall’anno scorso; i Neet (giovani dai 15 ai 19 anni che non studiano e non lavorano) sono in calo, ma sopra la media Ue di oltre 7 punti, peggio di noi solo la Romania. Il 61,7% dei giovani lavora a tempo determinato (37 punti sopra la media Ocse), dietro di noi solo Spagna e Slovenia.

In sintesi, crisi del lavoro per i più significa sradicamento, e solo per pochi privilegiati è una vera occasione. Ma non basta. Secondo il rapporto Istat, in Italia la trasmissione delle condizioni di vita sfavorevoli tra genitori e figli è particolarmente forte e aumenta nel nostro paese più che altrove in Europa. In altre parole, il lavoro, anziché strumento di emancipazione ed eguaglianza, sta aumentando le diseguaglianze.

 

Le interviste di Giorgio Vittadini

al Meeting di Rimini

Le vere priorità del Paese

 

Vivere in condizioni di povertà da piccoli ha effetti a catena fortemente negativi: uno studio dell’Ocse ha evidenziato che già a 5 anni, provenire da contesti familiari con uno status socio-economico più elevato si traduce in un vantaggio di 12 mesi nei livelli di alfabetizzazione, ovvero nelle capacità di lettura e scrittura che un bambino acquisisce nell’età pre-scolare (tra i 2 e i 5 anni).

Fino qui la situazione letta attraverso i dati. Dal punto di vista soggettivo, il lavoro sta anche subendo una trasformazione culturale. Viene sempre più vissuto infatti solo come un obbligo “funzionale” alla sopravvivenza e non più anche come un ambito di crescita, apprendimento, espressione di se stessi, appartenenza a una comunità. Perché? Con la crescita dell’individualismo e la perdita del senso della collettività, l’energia e la volontà tipiche della giovinezza sono armi spuntate. Viene meno la comunicazione di un senso ultimo per cui mettersi in gioco. E si vive sulla difensiva.

Il lavoro, che aveva dato senso alla vita delle vecchie generazioni, non ha più lo stesso significato per le nuove. Fenomeni come “burnout” (esaurimento), “great resignation” (grandi dimissioni), “yolo” (you only live once), “quiet quitting” (difesa dal lavoro facendo lo stretto necessario), mettono in luce un cambio di mentalità dei lavoratori che, dove possono, cercano di opporsi alla tendenza delle aziende a ridurli a “risorse umane”, ingranaggi della produttività, anziché persone nella loro integralità.

 

Il senso del lavoro oggi
alla prova dei cambiamenti

 

 

Il lavoro è la partita decisiva che riguarda la dignità degli esserei umani.  Il lavoro è espressione di dignità. È il desiderio di trasformare e rendere migliore la realtà a beneficio di tutti, di esprimere se stessi, di mantenere sé e i propri cari. Dignità che è avere un giusto salario e condizioni di lavoro che si concilino con la famiglia, gli amici, e gli altri interessi.

Ma anche il pensiero economico deve cambiare. Ci sono due mentalità contrapposte. La prima è quella neo-liberista: ciò che interessa sono il Pil, gli utili e i dividendi, e il lavoro e la sua qualità vengono in subordine. Ma il bisogno di mantenersi non può essere sottoposto al ricatto del mercato. La seconda è quella statalista e assistenzialista, che non affronta veramente il bisogno di tutti di avere un’occupazione. Ai nostri giovani dovremmo sapere lasciare in eredità una terzia via allo sviluppo: quella che comprende obiettivi di piena occupazione.

*Per gentile concessione de la Repubblica

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