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Democrazia: l'amica fragile

Globalizzazione del capitalismo e populismi sembrano mettere in difficoltà le democrazie di tutto il mondo, in Europa come negli Usa. Un modello a fine corsa o sempre da riformare? Un deficit di politica da colmare?
La debolezza dei legami sociali e la disintermediazione, il ruolo della comunicazione, l'incidenza dei sistemi sovranazionali, la crisi demografica, il contributo della cultura sussidiaria: sono alcuni dei temi affrontati nel numero.

Fragile, ma amica. La democrazia è amica della nostra libertà. La fragilità è, per questo, nella sua stessa natura. Perciò è semper reformanda di fronte ai cambiamenti che la interpellano e la possono mettere in crisi. Lo spiega approfonditamente l’editoriale di Lorenza Violini , mentre l’”Anteprima” di Evandro Botto compone in un grande affresco le sfaccettature della “democrazia inceppata” e i punti di forza per una possibile ripresa, offrendo una lettura d’insieme dei contributi presenti nella rivista.

Dopo l’ottimismo successivo alla caduta del Muro di Berlino, il mondo del ventunesimo secolo ha visto ridursi il numero dei Paesi a regime democratico e nuove difficoltà per le democrazie in tutti i continenti. Una panoramica ragionata e documentata è offerta nella sezione “Scenari” da Luca Farè. Un’indagine sulle radici della crisi della democrazia non può prescindere dalla dimensione antropologica: l’”io democratizzato” è oggi per Mikel Azurmendi l’individuo narcisista e isolato, frutto della vittoria di Nietzsche ed eredi sulla concezione classico-cristiana di persona. Culla di questa originaria “buona” concezione della democrazia è certamente l’Europa, la quale è chiamata a difenderla rilanciandosi come protagonista di un nuovo multilateralismo a livello mondiale. Così Emma Bonino nell’intervista a Manes. Un altro elemento positivo di contrasto all’individualismo è segnalato dalla politologa Nadia Urbinati: ed è la scoperta di una “solidarietà conveniente” accaduta nei tempi difficili della pandemia. La relazione sostiene la democrazia; la rete può essere invece una minaccia se diviene focolaio di creduloneria o di scetticismo. Carlo Pelanda considera la crisi della democrazia legata alla crisi dei due modelli occidentali, quello europeo (welfare e assistenzialismo) e quello americano (opportunità di successo, ma non per tutti). In un’economia sempre più trainata dalla conoscenza, occorre puntare sull’incremento delle conoscenze e delle capacità di ciascuno, insieme a una coscienza dei valori democratici.

Nella seconda parte della rivista, “Lo stato delle cose”, si analizza lo stato della democrazia in singoli differenti contesti: Stati Uniti (contributo di Federico Rampini e Michel Sandel), America latina e Brasile (intervista di Carlo Dignola a Scott Mainwaring), Ungheria e Polonia (Wojciek Sadurski), Paesi arabi (Wael Farouk). E si focalizza l’attenzione sul tema cruciale del rapporto democrazia-informazione, già toccato dalla Urbinati. Per Mike Caulfiled, intervistato da Martina Saltamacchia, al dilagare dell’informazione ingannevole occorre contrapporre un’educazione all’uso consapevole della tecnologia comunicativa. Gianluigi Da Rold analizza il rapporto informazione-potere, mostrando come un’informazione asservita erode o distrugge la democrazia, dai totalitarismi del Novecento, all’attuale “apoteosi della folla solitaria (dei social), cresciuta nella non-partecipazione”, complice inconsapevole di stereotipi, pregiudizi e manipolazioni pilotate.

Lo stesso Da Rold intervista poi Lucio Caracciolo, direttore di “Limes”, il quale analizza le attuali dinamiche geopolitiche, i nuovi ruoli e i nuovi equilibri che si stanno ridisegnando tra le potenze mondiali (Usa, Cina, ma anche Russia e Turchia) mettendo in luce le possibili ricadute sul futuro dell’Europa.

Del “caso Italia” si occupano Ugo Finetti e Stefano Mangiameli. Il primo vede le cause delle criticità attuali in tre successive campagne contro la democrazia parlamentare: quella sessantottina-rivoluzionaria negli anni ’70, quella giustizialista negli anni ’90, quella anti-casta nell’ultimo decennio. Oggi a fronte della “Repubblica dei social” è quanto mai necessaria la ripresa dei corpi intermedi, luoghi di incontro tra le persone e di interlocuzione con le istituzioni.

Crisi della politica e crisi della giustizia sono strettamente interconnesse: è la tesi che Stefano Mangiameli documenta nel suo contributo, nel quale propone una riorganizzazione che preveda un “ordinamento multilivello” che proceda dal basso e si orienti verso il principio di “leale collaborazione”.

Questo introduce nel discorso la “cultura della sussidiarietà”, fil-rouge della terza parte della rivista, “Focus”. Per Antonio D’Atena sta nella cultura della sussidiarietà, incarnata in una “democrazia della prossimità”, la possibilità di equilibrio tra democrazia e Stato di diritto, tra decisione maggioritaria e tutela dei diritti fondamentali. “Patti di collaborazione” con l’amministrazione pubblica nella cura del bene comune: è una formula indicata da Gregorio Arena. Il filosofo Massimo Borghesi offre una riflessione di ampio respiro sugli ultimi decenni. La democrazia, sia nella versione relativistica sia nella versione teo-con, finiscono per arretrare di fronte all’economia, concepita come la vera forza di progresso e di unificazione. In realtà ha creato divisioni e crisi, come quella del 2008 che continua a pesare. Ha incentivato individualismi. Populismo e sovranismi dilagano, altro che unificazione. E dunque? Ritrovare il primato della politica sull’economia insieme a un’idea dinamica ed efficace di bene comune. Il carburante della solidarietà non manca in Europa: sembrava impossibile e invece lo si è visto ridestato dalla pandemia. Francesco Occhetta torna sulla cultura della sussidiarietà, la quale permette l’interclassismo che solo permette la riduzione delle diseguaglianze tra le classi e una società aperta ed inclusiva.

I legami tra democrazia, demografia e economia sono oggetto del saggio finale di Luigi Campiglio. In esso spicca un punto di attenzione cruciale, e riguarda i giovani e il paradosso di tante politiche. È paradossale, per Campiglio, che politiche che richiedono sacrifici, presentate dai decisori politici come necessarie per il futuro dei nostri figli finisca per richiedere sacrifici proprio alle giovani famiglie di quei figli”.

Dunque un’“amica fragile”, la democrazia – come scrive Botto – ma un’amica “che con il concorso costruttivo e collaborativo di ognuno di noi, individui e comunità, sa sfoderare sempre di nuovo un insospettato vigore”.

 

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