La terza edizione della Scuola di politica “Conoscere per decidere”, promossa da Fondazione per la Sussidiarietà, Società Umanitaria di Milano e Fondazione Leonardo Civiltà delle Macchine, doveva necessariamente prendere le mosse dal contesto sconvolgente generato dalla pandemia. Infatti per l’intero edificio della nostra vita pubblica (oltre che privata), quindi per il nostro “contratto sociale” e la nostra stessa democrazia il virus ha costituito sia un inedito severo banco di prova, sia una efficace cartina di tornasole della validità o meno dei modi di vivere, degli assetti istituzionali e dei modelli di sviluppo su cui ci siamo sin qui basati.
Nelle prime due lezioni sono stati affrontati i problemi del rapporto cittadino-corpi intermedi-rappresentanza politica; poi gli squilibri e le incongruenze nel funzionamento delle istituzioni politiche (Governo, Parlamento, Regioni), cercando di introdurre suggerimenti per la ricerca di soluzioni positive. La terza lezione ha messo in luce le maggiori penalizzazioni subite dalle donne e, anche per questo, dalle famiglie, e la necessità di politiche economiche e sociali che non sottovalutino o ignorino queste dimensioni fondamentali del fenomeno.
PROSSIME TAPPE - Con la prossima lezione, la quarta, e con le successive, la scuola si addentra nei cambiamenti inerenti al lavoro e all’economia: “Smartworking: tra evoluzione del diritto del lavoro e una nuova organizzazione delle aziende e delle città” (9 aprile), “Il digitale al tempo del Covid”, “La pandemia e le nuove interdipendenze globali” (28 maggio).
Ed ecco qualche ulteriore dettaglio delle lezioni già svolte.
CONTRATTO SOCIALE ALLA PROVA. Il via di questa edizione è stato dato dall’incontro inaugurale di giovedì sera 3 dicembre 2020, aperto dai presidenti dei tre enti promotori, rispettivamente Giorgio Vittadini, Alberto Jannuzzelli e Luciano Violante. Quest’ultimo ha focalizzato l’attenzione sul fatto che “lo Stato è intervenuto modificando, con le sue misure, alcuni capisaldi del contratto sociale di una democrazia. Di fatto si vive una realtà drammatica, dove ogni aspetto della vita sociale di una democrazia viene sospesa per necessità".
Nadia Urbinati, professore di Teoria politica alla Columbia University, non ha nascosto un giudizio generale molto severo: “L’altro, l’altra persona, diventa, in un caso come questo, una sorta di nemico e si interrompono le relazioni”. Ma ha messo sul tavolo fenomeni che promettono bene: il ruolo della scienza anche nelle decisioni politiche, l’accorgersi che il dolore ci fa sentire uniti a tutta l’umanità, e il fatto che prendersi cura degli altri, è utile e conveniente, e non solo nobile.
Il giurista Alessandro Pajno, presidente emerito del Consiglio di Stat, ha sottolineato che la pandemia “funziona da cartina di tornasole del nostro sistema pubblico. Per esempio, per quanto riguarda il rapporto tra il centro e le Regioni, rivela l’incompletezza di riforme come quella del Titolo V della Costituzione”. Più ampiamente ci costringere a comprendere la portata del digitale nella formazione delle opinioni, nella comunicazione, nella stessa democrazia.
I - PATTI DI CITTADINANZA, RETE, CORPI INTERMEDI
Democrazia e ruolo dello Stato risentono fortemente degli effetti dei grandi cambiamenti dei tempi recenti, quali la globalizzazione dell’economia, il terrorismo internazionale, la digitalizzazione, i flussi migratori, le problematiche del clima. E, naturalmente, della frammentazione della società, caratterizzata (Baumann) dalla “solitudine del cittadino globale”. È quanto ha ricordato Benedetta Vimercati, ricercatrice di Diritto costituzionale all’Università degli studi di Milano, introducendo la seconda lezione, fissando quindi l’attenzione sul fenomeno dell’indebolimento degli organi rappresentativi e anche dei corpi intermedi, che pure nella nostra architettura costituzionale un caposaldo irrinunciabile.
Sulla necessità di riferirsi a questo fondamento costituzionale ha insistito Marta Tomasi, post-doc researcher dell’Università degli studi di Trento. L’articolo 2 del dettato costituzionale fissa principi “non negoziabili”, quali il principio personalistico (che salda il legame individuo-società) e il principio pluralistico, che equilibra le istituzioni e i centri decisionali. Il presidente Mattarella, nel 2015, ebbe ad affermare che le istituzioni pubbliche, da sole, non esauriscono tutto il bisogno di democrazia: esse devono chiamare a sostegno i cittadini e le associazioni che costituiscono un antidoto di civismo e di solidarietà. Per la Tomasi, questa affermazione indica “quanto sia necessaria l’integrazione tra la democrazia fondata sulla rappresentanza e la democrazia fondata sull’autonomia della società sempre però finalizzata al bene comune”. Di conseguenza, la sfida per i corpi intermedi “sarà quella di passare dalla rappresentanza di, alla rappresentanza per”, dal settorialismo personalistico all’orientamento degli interessi verso il bene comune.
Nando Pagnoncelli, ricercatore sociale e presidente di Ipsos, ha mostrato con dovizia di dati statistici lo scollamento tra dimensione individuale e senso di appartenenza; da un lato la frammentazione identitaria dell’io, dall’altra il rapporto con le organizzazioni, sindacali o datoriali, basato solo sulla fruizione di servizi e non sulla condivisione di una mission. Non è affatto detto, per Pagnoncelli, che il cospicuo e variegato mondo del volontariato (360mila enti, 7 milioni di persone) costituisca un fattore di ricucitura con il mondo della politica, spesso considerato moralmente inferiore. Negli italiani comunque convivono distacco e diffidenza verso la classe politica e con una quota non irrilevante, superiore a un terzo, di persone che per la politica mantengono un interesse. In questo contesto, i corpi intermedi sono interessati da due linee di tendenza divergenti: fiducia crescente dei cittadini verso le associazioni di volontariato e di tutela dei consumatori, calante invece per associazioni datoriali, camere di commercio e fondazioni culturali.
II - GOVERNO, PARLAMENTO, REGIONI. Per questa seconda lezione, intitolata “Governo, Parlamento, Regioni”, gli interventi son stati svolti da Marilisa D’Amico, professoressa ordinaria di diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Milano, e Andrea Simoncini, professore ordinario di diritto costituzionale presso l’università degli studi di Firenze. Nodo centrale, “la messa a dura prova – sono parole di Marilisa D’Amico – del nostro Stato di diritto e di molti degli equilibri già precari del rapporto tra i poteri dello Stato”: fra Stato e Regioni, fra Governo e Parlamento. La nostra Costituzione stabilisce infatti che alcune materie che riguardano le libertà fondamentali dei cittadini possono essere disciplinate solo dalle leggi o da fonti primarie, non da fonti di tipo secondario, quali sono i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.
Secondo Andrea Simoncini, professore ordinario di diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Firenze, l’impatto che la pandemia sta avendo sull’assetto istituzionale è quello di imprimere una forte accelerazione a tendenze già in atto: “un potere dell’esecutivo senza riequilibrio, la marginalizzazione o, meglio, il silenzio del parlamento, l’incapacità delle Regioni di decidere in modo coerente”. Simoncini ha sottolineato che in tutto ciò viviamo un paradosso, quello dell’“accentramento del potere sul governo che tende ad essere sempre più fragile dal punto di vista politico”. Non possono essere i giudici – e qui viene citato il caso Ilva – o gli scienziati, a dover delineare l’equilibrio tra diritti contrastanti, ma la politica.
III - LE DONNE NELLA PANDEMIA - La politica non sembra però prestare la dovuta attenzione a quella che si potrebbe definire una vera e propria “questione femminile” connessa alla pandemia. Le donne – lo ha ricordato in premessa Giada Ragone, ricercatrice di Diritto costituzionale all’Università degli studi di Milano, sono state e sono in prima linea ad affrontare la pandemia e sostenerne il peso. Non solo negli ospedali (dove sono la netta maggioranza del personale sanitario), o nei supermercati (dove sono la quasi totalità degli addetti alle casse), ma nella stessa famiglia. In contrasto con la Costituzione che assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza, esiste una discrim9inazione delle donne e una discriminazione fra le donne stesse. Lo ha ricordato Barbara Curli, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Torino, la quale ha sottolineato una grande differenza sul piano storico tra la Spagnola di un secolo fa e il Covid-19: allora il ruolo crescente della donna in tempo di guerra e poi di epidemia portò a una maggior presenza nel mondo del lavoro e a progressi civili (per esempio il diritto di voto), ora non sembra potersi intravvedere, al momento, niente di analogo.
Chiara Saraceno, professoressa emerita di Sociologia della famiglia, ha rilevato come sulla famiglia si scarichino la più parte degli oneri imposti dalla pandemia e dalle relative decisioni politiche, per esempio la chiusura delle scuole, e dentro la famiglia principalmente sulla donna. La perdita del posto di lavoro riguarda soprattutto le donne (non fu così nella crisi del 2008); anche la rinuncia al lavoro per accudire i figli riguarda quasi solo le donne, dato che il suo stipendio è di norma più basso o deriva da impieghi “informali”. Chiara Saraceno non ha mancato di ricordare la connessione tra perdita di ruolo della donna e povertà della famiglia, se è monoreddito; e ancor più se la famiglia è a monoreddito femminile. Tutto ciò “non è una questione che possa riguardare solo le donne, ma riguarda l’integrazione e il benessere sociale complessivo”. Il decisore politico non può non tenerne conto. Giustissimo, ha concluso la Saraceno, investire sull’ambente e il digitale: non però senza prevedere e considerare che cosa faranno le donne. Occorre investire contestualmente nella riqualificazione e delle infrastrutture sociali.
E questo orizzonte ci introduce allo smartworking, oggetto della prossima lezione.