Con Agenda 2030, piano d’azione firmato da 193 Paesi – compresa l’Italia – nel settembre del 2015, la sostenibilità perde definitivamente la connotazione puramente ambientale per abbracciare anche le dimensioni sociale ed economica.
Entrato nel dibattito politico grazie al rapporto Brundtland del 1987, il concetto di sviluppo sostenibile ha subìto diverse evoluzioni nel corso degli anni. Ma è grazie all’Agenda 2030, piano d’azione firmato da 193 Paesi – compresa l’Italia – nel settembre del 2015, che la sostenibilità perde definitivamente una connotazione puramente ambientale per abbracciare anche le dimensioni sociale ed economica.
La sostenibilità rappresenta, infatti, l’unica prospettiva possibile per migliorare durevolmente il benessere dei cittadini all’interno dei limiti planetari in quanto si basa sul principio di giustizia intergenerazionale, cioè consentire all’attuale generazione di soddisfare i propri bisogni senza pregiudicare l’analogo diritto delle generazioni future. La sostenibilità dello sviluppo è un principio messo sempre più a rischio dall’attuale modello di sviluppo, che continua a sfruttare la Terra estraendo risorse in maniera insostenibile e a restituire rifiuti agli ecosistemi, producendo sprechi e inquinamento. Esso alimenta anche disuguaglianze e povertà, generando “scarti umani”, come dice Papa Francesco, sulla base della medesima cultura che genera gli scarti materiali. L’Agenda 2030 nasce per interrompere questo circolo vizioso. Attraverso una nuova visione del mondo, da realizzare da qui ai prossimi dieci anni, fornisce ai leader politici, al mondo delle imprese e ai singoli cittadini una serie di strumenti per governare quel cambiamento fondamentale del modello di sviluppo senza il quale sarà impossibile garantire un futuro al Pianeta e a noi che lo abitiamo.
Si tratta di un vero e proprio patto tra le nazioni, che prevede il raggiungimento di 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nell’acronimo inglese) articolati in 169 Target: 22 in scadenza nel 2020 e gli altri da realizzare entro il 2030. Una risposta molto concreta al rischio di collasso paventato dagli scienziati, come gli esperti del Club di Roma che già negli anni Settanta avevano avvertito dei rischi connessi all’attuale modello di sviluppo, seguendo il quale il mondo avrebbe infranto i limiti del Pianeta e, intorno al 2030, sperimentato un collasso senza precedenti. Ma l’Agenda 2030 rappresenta una risposta anche a quei milioni di giovani del Fridays for Future che, facendo appello proprio al principio di giustizia intergenerazionale portato all’attenzione del mondo dalla giovane svedese Greta Thunberg, scendono in piazza per chiedere ai governi misure urgenti contro i cambiamenti climatici, denunciando l’indifferenza e l’inefficienza della politica.
I dati messi a disposizione da varie organizzazioni internazionali confermano che le azioni finora messe in campo non sono sufficienti per scongiurare gli effetti del riscaldamento globale, né per rispettare gli impegni presi sottoscrivendo l’Agenda 2030 e i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile. Pur registrando qualche progresso riguardo, ad esempio, alla diffusione delle energie rinnovabili (anche se va ricordato che la transizione energetica procede troppo lentamente e ancora oggi circa l’80% dell’energia nel mondo viene prodotta da combustibili fossili), c’è ancora molta strada da fare. Su alcuni Obiettivi si registrano, infatti, dei peggioramenti: basti pensare alla difficile situazione in cui versa la biodiversità. Due fenomeni su tutti: il 75% del suolo è in condizioni di degrado, mentre nei mari rischiamo di avere, entro il 2050, più plastica che pesci. Senza dimenticare che le emissioni globali di gas serra dopo qualche anno di “stabilità” sono tornate a crescere.
Nel mondo ci sono quasi 800 milioni di poveri e due miliardi di persone costrette a vivere in zone dove c’è carenza di acqua, condizione che determina la diffusione di malattie e morti precoci, soprattutto di bambini. Inoltre, sono circa 821 milioni le persone che soffrono la fame, numero simile alla quota di persone obese, e che ci introduce al concetto di insicurezza alimentare da un lato, alle disuguaglianze e alla mancanza di educazione nutrizionale dall’altro. Secondo la FAO, 41 Paesi nel mondo, di cui 31 in Africa, sono costretti ad affidarsi all’assistenza “esterna” per il cibo a causa di carestie, cause principali dei conflitti che minano la stabilità degli Stati, dovute alla crisi climatica. I fenomeni sono tutti collegati e interconnessi ed è ora che iniziamo a leggerne la complessità per poter indirizzare politiche e investimenti efficaci.
Se poi guardiamo all’istruzione, oltre 214 milioni di bambini e adolescenti nel mondo non frequentano le scuole primarie e medie. Questione che si collega alla lotta alle disuguaglianze: nel 2017, l’82% dell’incremento di ricchezza globale è andato a vantaggio dell’1% più ricco della popolazione, oltre un miliardo di persone vive ancora con meno di 1,25 dollari al giorno e le donne continuano a essere oggetto di violenza e discriminazione.
Passando all’Europa e all’Italia, negli ultimi anni una valutazione sulla distanza dai target degli SDGs viene fornita dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), che riunisce oltre 240 organizzazioni della società civile italiana, ed è nata per far crescere nella società italiana, nei soggetti economici e nelle istituzioni, la cultura della sostenibilità e la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030. Grazie a indicatori compositi, l’ASviS misura il processo di avvicinamento agli Obiettivi di sviluppo sostenibile sia per i singoli paesi UE, sia (per l’Italia) a livello regionale.
Nonostante l’Unione sia il luogo dove esistono le maggiori tutele per i lavoratori e dove vige la normativa ambientale più stringente (va ricordato infatti che è stata la prima area geo-politica ad aver abbracciato il principio di precauzione, inserendolo nel suo Trattato), crescono le disuguaglianze in alcuni Paesi e tra i Paesi, ci sono ancora troppe persone a rischio povertà e la disoccupazione resta un fenomeno diffuso, soprattutto in alcune aree territoriali, e peggiora la qualità degli ecosistemi, specialmente di quelli terrestri.
Anche il nostro Paese si trova in una condizione di non sostenibilità e, anche nei campi dove l’ASviS segnala degli avanzamenti, si è ancora lontani dai Target al 2030, come descritto nel Rapporto ASviS 2018. Più in dettaglio, tra il 2016 e il 2017 l’Italia mostra segni di miglioramento in otto aree: alimentazione e agricoltura sostenibile, salute, educazione, uguaglianza di genere, innovazione, modelli sostenibili di produzione e di consumo, lotta al cambiamento climatico, cooperazione internazionale. Per cinque aree, invece, la situazione peggiora sensibilmente, si tratta di povertà, condizione economica e occupazionale, disuguaglianze, condizioni delle città ed ecosistema terrestre. Mentre per le restanti quattro (acqua e strutture igienico-sanitarie, sistema energetico, condizione dei mari e qualità della governance, pace, giustizia e istituzioni solide) la condizione appare sostanzialmente invariata.
L’elemento positivo è rappresentato dall’interesse crescente della popolazione e delle imprese italiane per scelte a favore della sostenibilità, testimoniato sia dai risultati delle indagini statistiche sia dal successo della terza edizione del Festival dello Sviluppo Sostenibile, che si è svolto dal 21 maggio al 6 giugno 2019 in tutta Italia. Con più di mille eventi la manifestazione è stata capace di stimolare la partecipazione di milioni di persone, diffondendo la cultura legata all’Agenda 2030 nel Paese e rafforzando la consapevolezza su temi di cruciale importanza e complessità. Da Nord a Sud, il Festival, animato da convegni, seminari, workshop, mostre, spettacoli, eventi sportivi, presentazioni di libri e documentari, ha dimostrato che, per costruire un mondo più equo, giusto e inclusivo, oltre a un indirizzo politico a favore della sostenibilità, c’è bisogno che i cittadini partecipino direttamente al cambiamento.