Trimestrale di cultura civile

Il caso della Libera Università di Bolzano

  • AGO 2022
  • Federico Boffa
  • Mirco Tonin

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Due docenti della facoltà di Economia della Free University of Bozen-Bolzano riflettono sull’esperienza di internazionalizzazione della Freie Universität Bozen e su come un ambiente internazionale impatta la didattica e la ricerca condotte nell’ateneo. E lo fanno rispondendo ad alcune domande che ne chiariscono la vocazione e gli impegni che comporta la spiccata propensione ad accogliere studenti da ogni parte del mondo. Con un’avvertenza: non si tratta di tre istituzioni diverse, ma di un’unica università con tre nomi.

Come si manifesta l’internazionalizzazione dell’università a Bolzano?

L’università è trilingue: inglese, italiano, tedesco. Nella maggior parte dei corsi di laurea della nostra facoltà ogni studente frequenta una parte dei corsi, e sostiene i relativi esami, in ognuna delle tre lingue: idealmente, un terzo in inglese, un terzo in italiano e un terzo in tedesco, anche se nella realtà i corsi in inglese tendono a essere sovra rappresentati.

Anche il corpo docente è estremamente internazionalizzato. Nella facoltà di Economia convivono docenti di madrelingua inglese, tedesca e italiana (e finlandese, svedese, russa…), e molti di noi padroneggiano almeno due delle tre lingue a un livello tale da consentirci di insegnare.

Da dove deriva l’intento di internazionalizzazione della facoltà?

La facoltà di Economia è nata con un forte spirito di apertura internazionale per la concomitanza di diversi fattori. Primo, geografico-linguistici: l’Alto Adige/Südtirol è una zona di frontiera fra l’Italia e il mondo di lingua tedesca, nella quale, per ragioni storiche, la popolazione è – o dovrebbe essere – bilingue, parlando italiano e tedesco (e, in alcune zone, ladino).

Secondo, la facoltà di Economia nasce, a inizio degli anni Duemila, sulla base degli obiettivi che si era prefisso il Comitato ordinatore, del quale hanno fatto parte i noti economisti Alan Kirman e Giorgio Basevi, aspirando a essere una “Pompeu Fabra delle Alpi”: una facoltà relativamente piccola, sia come numero di docenti che come numero di studenti, ma con una forte connotazione di ricerca, come – appunto – la più nota università catalana.

La terza ragione è strettamente collegata alla seconda: la facoltà nasce in un momento storico in cui la disciplina economica è fortemente internazionalizzata. Il dibattito economico, come l’economia stessa, trascende la dimensione nazionale e il suo centro è, generalmente, nel mondo anglosassone. I giovani ricercatori spesso fanno esperienze in giro per il mondo, a partire dal dottorato e poi nei primi anni di carriera. Anche successivamente l’attività di disseminazione della ricerca ha un carattere fortemente internazionale: riviste, conferenze, canali di divulgazione della ricerca generalmente vanno al di là della dimensione nazionale.

 

Quali sono i benefici dell’internazionalizzazione?

Numerosi. Intanto, il processo di internazionalizzazione presenta forti economie di scala. Più una facoltà è internazionale, più essa si rivela accogliente nei confronti dei docenti provenienti da altri Paesi, in un circolo virtuoso che tende ad autoalimentarsi. I meccanismi sono svariati. Uno – forse il più banale – è la lingua. Nella nostra facoltà, le riunioni si tengono in lingua inglese. Ma anche nei corridoi o a pranzo si parla generalmente inglese. Questo era originariamente dovuto alla necessità di integrare professori di madrelingua italiana e tedesca, che trovavano più semplice e immediato ricorrere all’inglese sia per la comunicazione ufficiale che per quella ufficiosa. Ma poi, grazie a ciò, molti colleghi, anche non europei, hanno trovato nella facoltà un luogo attraente dove svolgere il loro lavoro.

Comparando le esperienze che alcuni di noi hanno vissuto in altre università, italiane e no, è altresì interessante notare come la lingua nella quale si tengono le discussioni possa anche contribuire a modulare il discorso. Una discussione in una lingua diversa dalla propria lingua madre tende a essere meno connotata da un punto di vista emotivo, e questo può essere un vantaggio in un contesto professionale come quello universitario.

In secondo luogo, avere colleghi che provengono dall’estero permette di confrontarsi costantemente con usanze accademiche diverse. Ad esempio, le nostre università sono abituate a convivere con regole e pratiche spesso farraginose. Purtroppo, o per fortuna se si ama il quieto vivere, la maggior parte delle persone si adattano, magari dopo un iniziale slancio per cercare di cambiare le cose nella direzione di una maggiore flessibilità e di una minore burocratizzazione. Avere un flusso continuo di colleghi che provengono dall’estero, e quindi da esperienze all’interno di ordinamenti diversi dal nostro, contrasta questo accomodamento sull’esistente, e permette di continuare a valutare con occhio critico le soluzioni “tradizionali”, spingendo a innovare.

Infine, l’aspetto forse più evidente: la presenza di colleghi che provengono da istituzioni non italiane, magari di maggior prestigio, porta con sé una dotazione di conoscenze relative all’evoluzione della disciplina economica e l’accesso a network internazionali che rappresentano un patrimonio importante per tutti i colleghi.

E dal punto di vista della didattica?

La posizione geografica e la situazione linguistica favoriscono la presenza di una quota di studenti internazionali relativamente alta. Questo rappresenta per noi una sfida costante, perché in qualche modo ci chiede di modificare il metodo di insegnamento e di adeguarlo alla platea di studenti che abbiamo di fronte. Questo, se in parte è vero sempre, è ancora più vero a fronte di differenze di riferimenti culturali forti, ad esempio fra studenti di cultura tedesca e studenti di cultura italiana. Ci obbliga a evitare di dare per scontata una conoscenza per così dire “implicita”, ad esempio dell’ambiente istituzionale, e questo esercizio di “rendere manifesto” spesso ci mostra a sua volta come quello che viene considerato ovvio spesso non lo sia affatto, almeno per una parte delle persone. Ci obbliga inoltre a pensare in termini che possano essere il più possibile coinvolgenti, per poter fare una didattica che non abbia come target un gruppo omogeneo di studenti, ma che sia comprensibile e attraente per individui con esperienze anche profondamente dissimili. Queste considerazioni hanno conseguenze a tutti i livelli, anche quelli più banali: ad esempio, per vivacizzare la lezione, non si possono fare battute riferite all’Italia, che molti studenti non capirebbero, e occorre riorientarle in una direzione che possa essere apprezzata indipendentemente dalla provenienza geografica.

L’internazionalizzazione, come ogni forma di apertura, oltre a essere una grande opportunità, comporta anche delle sfide. È evidente, ad esempio, che la preparazione pregressa di studenti provenienti da diverse parti dell’Europa e del mondo non sia omogenea. Tuttavia, questo è anche vero fra studenti provenienti da diverse tipologie di scuole superiori dello stesso Paese.

L’ineludibile consapevolezza delle diversità legate alla provenienza nazionale – che l’internazionalizzazione comporta – ci aiuta a cogliere, più in generale, l’importanza di valorizzare le differenze.

La sfida in ultima istanza è quella di creare per gli studenti un ambiente che li accolga, nel quale possano radicarsi e in cui possano vivere un’esperienza completa. E anche quella, sia per noi docenti che per gli studenti, di fare in modo che l’internazionalizzazione e la valorizzazione dei talenti riguardino non solo le istituzioni di istruzione superiore, ma si estendano al territorio e al suo tessuto imprenditoriale e sociale. Rendere il territorio attrattivo per i giovani talenti, nazionali e internazionali, aumenta anche il ritorno, in termini di valore economico, dell’investimento in istruzione superiore: sarebbe infatti un peccato che i giovani formatisi a Bolzano lasciassero il territorio, senza che il loro flusso in uscita sia compensato da un flusso in entrata di giovani formatisi altrove.

Avere una università di respiro internazionale rappresenta certamente una grande opportunità per la comunità. Occorre essere tutti coinvolti per fare in modo che la si sappia cogliere.

 

Federico Boffa è Professore ordinario di Economia applicata presso la facoltà di Economia della Libera Università di Bolzano. Mirco Tonin è Professore ordinario di Politica economica, presso la facoltà di Economia della Libera Università di Bolzano.

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