In un quadro generale in rapidissimo mutamento, amplificato dalla pandemia, in cui varia la popolazione studentesca che si avvia all’università e variano i bisogni — di studio, sociali e più generalmente di vita —, è probabilmente necessario passare dal tradizionale modello assistenziale di “diritto allo studio universitario” a uno che sia in grado di accompagnare gli studenti durante tutto il percorso universitario fino alla realizzazione del “successo” nello studio, cioè fino al compimento di obiettivi a volte non ancora ben definiti all’uscita della scuola secondaria.
Il diritto allo studio in Italia, indicato dalla Costituzione e normato in ultimo, con un percorso accidentato e tortuoso, dal D.lgs. 68/2012, si concretizza essenzialmente nell’erogazione di borse di studio pubbliche e nella esenzione dalle tasse universitarie, e in misura molto più ridotta in interventi di supporto per la ristorazione universitaria, per la residenzialità, per gli strumenti di studio, la mobilità, la salute. Qualcuno parla di “provvidenza per lo studio”, di natura solo finanziaria o, nei casi migliori, infrastrutturale (alloggi, mense, sale studio, biblioteche, laboratori ecc.)1.
Nel 2020/2021 gli enti regionali per il diritto allo studio hanno realizzato oltre 392.000 interventi di varia natura, con un impegno economico complessivo di quasi 767 milioni di euro (2020).
Più del 62% dei fondi è destinato alle borse di studio – nell’a.a. 2020/2021 ne sono state erogate complessivamente, da enti regionali, 244.230 –, con una divisione percentuale peraltro falsata rispetto agli anni accademici precedenti tra borse di studio e altri interventi, grazie a un aumento di Contributi straordinari e di Altri sussidi dovuti a un sostegno aggiuntivo offerto agli studenti legato all’emergenza epidemiologica da Covid-19 (complessivamente circa il 22%).
Il restante 16% circa degli altri interventi ha riguardato per lo più i posti e i contributi alloggio, i contributi per il trasporto, i premi di laurea, seguiti a distanza dai contributi per la mobilità internazionale, dagli interventi a favore di studenti con disabilità e dalle attività di collaborazione a tempo parziale2.
Dai conteggi sono escluse le università non statali che hanno deciso di gestire direttamente gli interventi per il diritto allo studio e che in alcuni casi sono intervenute con fondi propri per garantire a tutti gli studenti aventi diritto (la categoria degli “idonei”: studenti in possesso dei requisiti per l’ottenimento della borsa di studio ma non beneficiari per mancanza di fondi), l’accesso al supporto economico: in Università Cattolica nel 2022, per il dodicesimo anno di seguito, i quasi 700 studenti che non avrebbero potuto accedere alla borsa di studio per mancanza di fondi sono stati coinvolti da una manovra di importo pari a circa 2 milioni di euro3; dal 2011 la Cattolica ha investito, infatti, nel sostegno di giovani bisognosi, fondi per circa 15 milioni di euro complessivi, cui naturalmente vanno aggiunti gli esoneri dalle tasse universitarie per i circa 3000 studenti che annualmente risultano in possesso dei requisiti nelle varie sedi, più del 15% degli studenti beneficiari in atenei non statali sul territorio nazionale4.
Se il sistema di sostegno pare concettualmente analogo a quello di Francia e Germania, ciò che sembra differenziare il diritto allo studio in Italia dagli altri Paesi dell’area Europa vicini al nostro è, innanzitutto, il numero di studenti che ne beneficia: in Italia è coinvolto il 12% degli iscritti universitari a corsi di primo livello, rispetto al 22% della Germania, al 28% della Spagna e al 32,5% della Francia. Peraltro, l’importo della borsa è generalmente erogato all’estero su base mensile e soprattutto in concomitanza con l’avvio dell’anno accademico5; nel nostro Paese si tratta, invece, nel migliore dei casi, di un rimborso di una spesa che comunque deve essere sostenuta in prima battuta dalle famiglie6.
Ma l’esperienza dice anche che in Paesi come Francia e Germania, il cui modello amministrativo è simile al nostro con il sistema CROUS-CNOUS e lo Studentwerk, l’attenzione si concentra ormai da diversi anni anche sull’erogazione di servizi utili a garantire le migliori condizioni per lo studio e per lo sviluppo delle competenze, dalla ristorazione all’accommodation, fino ai servizi di counselling e a quelli di placement e a tutto ciò che attiene alla “student life”.
Il sostegno economico appare insomma chiaramente come una delle leve del sistema, con un orientamento che cerca però di coprire l’intera esperienza universitaria.

La valutazione del DSU
Il diritto allo studio nel nostro Paese appare dunque saldamente ancorato al concetto che fa coincidere il sostegno con alcune specifiche prestazioni, per lo più di tipo assistenziale.
L’approccio per la valutazione delle prestazioni prevede attualmente una lettura quantitativa dei servizi, fin dalla determinazione degli importi della borsa di studio presa in esame dalla normativa che nel 20107 ha introdotto per il diritto allo studio i livelli essenziali di prestazioni (LEP).
Così anche nelle rendicontazioni che descrivono il modello di sostegno pensato per raggiungere l’obiettivo europeo della “strategia di Lisbona”, che auspicava il conseguimento di un titolo di formazione terziaria ad almeno il 40% di tutta la popolazione entro il 2020, da cui gli italiani sono ancora molto lontani (il 29% nel 2020), le analisi prendono avvio dal dato quantitativo (numero di posti offerti, pasti erogati, strutture di ristorazione, ecc.), indispensabile in partenza ma non sufficiente a descrivere in toto i bisogni degli studenti.
A partire da un approccio pedagogico, di recente, anche per la valutazione del diritto allo studio, sta iniziando in realtà a maturare un punto di vista che tenga conto dell’impatto sociale generato: si inizia ad auspicare dunque anche la considerazione dell’incremento, negli studenti assistiti, di quegli aspetti che vengono identificati come “soft skills”, “non cognitive skills” o “character skills”, cioè tratti di personalità formati dall’interazione con l’ambiente, che condizionano l’apprendimento e le abilità lavorative e possono cambiare in maniera significativa nel corso dell’esistenza di un individuo: dalla capacità di prendere iniziative, a quella di pensare per problemi (cioè di far domande), di imparare a lavorare insieme per raggiungere uno scopo comune8.
Si tratta, per esempio, di passare da una valutazione che prenda in considerazione il numero dei posti disponibili nelle strutture residenziali al numero di studenti che hanno avuto la possibilità di acquisire o incrementare le soft skills, oppure di passare dal numero di pasti erogati a valutare come il sistema abbia contribuito a educare lo studente a una giusta consapevolezza nell’alimentazione: è un nuovo approccio, in cui la qualità del servizio erogato integra la quantità e soprattutto garantisce allo studente la possibilità di fruire delle migliori condizioni per il raggiungimento dei propri obiettivi formativi.
I servizi di mercato
Tra gli ambiti di servizio con maggiore impatto economico, la ristorazione universitaria si confronta ormai da anni con il mercato: i principali attori della ristorazione collettiva continuano a discutere di metodi che, anche in questo caso, tengono conto essenzialmente dei dati quantitativi, dal prezzo del pasto al numero di posti disponibili alla grammatura delle singole porzioni9, secondo un modello produttivo che ha sofferto particolarmente dell’emergenza causata dalla pandemia; ma se si inizia a parlare più spesso di personalizzazione dell’offerta10, ancora non si insiste abbastanza sugli aspetti legati alla salute e alla cultura dell’alimentazione, che possono essere oggetto specifico invece del diritto allo studio.
A percentuali superiori al 40% di adulti in eccesso ponderale (tra persone in sovrappeso e obesi11), come quelle attuali nel nostro Paese, è possibile sfuggire solo pensando anche a iniziative che contribuiscano a incrementare la consapevolezza negli utenti, e la scelta di corretti modelli alimentari, con una pianificazione che tenga conto dei bisogni del pubblico ma che sia in grado di accompagnare gli studenti passo passo.
L’altro grande ambito, quello residenziale, registra ormai da tempo un interesse del mercato: in Italia l’offerta complessiva di posti letto ammonta a circa 62.000 unità; la disponibilità di alloggi per studenti copre, dunque, meno dell’8% dei fuori sede: un valore nettamente inferiore rispetto ai modelli francese (23%), tedesco (14%) e spagnolo (11%). Milano è il capoluogo in cui la domanda potenziale è più elevata: l’offerta “istituzionale” di student housing copre solo il 6,8% degli studenti fuorisede; rispetto al tasso di copertura europeo il divario stimato in questo caso è di circa 16mila posti letto. Il PNRR ha stanziato per lo student housing 960 milioni di euro con lo scopo di aumentare l’offerta di posti letto per studenti fuori sede e promuovere un cambio di passo che veda anche un crescente coinvolgimento dei capitali privati e un’accelerazione degli investimenti e delle realizzazioni12. Questa tendenza ha aperto le porte all’ingresso nell’edilizia universitaria dei fondi immobiliari ispirati a modelli esteri, naturalmente volti a una progettazione ottimizzata con particolare riguardo all’incidenza dei costi di gestione del posto letto, che permettano il sorgere di strutture importanti per investimento, numeri e tipologia dei servizi offerti ma forse meno finalizzate allo sviluppo di capacità relazionali e di vita degli ospiti, che costituiscono uno dei valori più apprezzati dagli studenti13.

Modalità di sostegno innovative
Lo sforzo probabilmente necessario è quello di immaginare nuove modalità di sostegno, che coprano tutto il percorso dello studente nell’università, all’ingresso, durante l’attraversamento e in uscita, immaginando le fasi di accoglienza, di supporto-agevolazione e di accompagnamento con una prospettiva diversa, meno concentrata sulla quantità di servizi, strumenti e azioni per l’erogazione di un beneficio (il “diritto”) ma di più sul bisogno specifico legato al momento in cui si trova lo studente, a partire dal passaggio dalla scuola superiore all’università fino all’ingresso nel mondo del lavoro.
Si tratta di accompagnare lo studente a vivere appieno l’esperienza universitaria e agevolarlo per raggiungere il successo — quale che sia — alla fine di questo percorso.
La possibilità di raggiungere, oggi, il grado di formazione adeguato richiede sempre più evidentemente, insomma, un approccio che tenga conto del concetto di “welfare studentesco”, che aiuti la persona nel suo percorso di studi affinché, fin dall’accesso, possa svolgerlo nelle condizioni migliori possibili; in questo senso, gli ambiti di sviluppo possono essere molteplici, dall’offerta di servizi di orientamento a quelli di tutorato e di supporto alla didattica, anche mediante l’utilizzo di tecnologie innovative; da sistemi bibliotecari sempre più accessibili e attenti alle nuove tecnologie, alle agevolazioni per l’acquisto di libri, fino alle opportunità culturali, sportive e di mobilità internazionale e all’assistenza sanitaria e psicologica e a quei “diritti di cittadinanza” cui, di fatto, gli studenti fuori sede accedono con estrema difficoltà.
Che cosa manca
Ma prima di definire che cosa il diritto allo studio riesca a garantire è forse necessario una volta di più chiedersi a chi debbano essere destinati, in un contesto di risorse limitate, il denaro pubblico e il supporto necessario a conseguire il successo nello studio.
Emergono evidenti, dai dati di accesso ai percorsi di studio universitario, le fragilità di chi economicamente e culturalmente proviene da contesti più deboli e come sia essenziale il ruolo delle connessioni e reti informali nella determinazione del successo nel proprio percorso: parenti, amici, conoscenti costituiscono negli ultimi dieci anni la modalità di ricerca preferenziale di un lavoro da parte di più dell’86% dei giovani italiani compresi tra i 25 e i 34 anni; è un valore ben superiore alla media europea (70,7%) e più che doppio rispetto a quella tedesca (40,4%). Tra l’altro, la percentuale più consistente (36%) degli occupati nella stessa fascia di età ha effettivamente avuto successo puntando su questa strategia14. Chi ha invece intrapreso un percorso universitario per acquisire conoscenze e competenze che agevolino l’accesso al mondo del lavoro si trova a percorrere un cammino più lungo, in gran parte dipendente dalle risorse economiche di provenienza per affrontare tirocini professionalizzanti obbligatori post-laurea che consentono unicamente di accedere al concorso di abilitazione alla professione o all’esame di Stato, prove per le quali la grande maggioranza degli studenti frequenta anche corsi specifici di preparazione15.
Del resto, come già rimarcato in precedenza, i tempi di erogazione effettiva delle borse di studio in Italia costringono le famiglie di provenienza a sostenere in anticipo – con tutto ciò che significa – il peso della frequenza all’università.
Manca, drammaticamente e dal principio, la possibilità di sostenere chi è al confine o chi a quel confine non riesce neppure ad avvicinarsi, quegli studenti che per fattore economico, culturale o di provenienza, non si trovano in condizione di aderire – almeno in partenza – al “patto” di merito e reddito necessario a ottenere l’agevolazione e che, dunque, su quel diritto (allo studio) non possono fare conto. Il sistema, per molti anni in grado di incidere positivamente in una società scarsamente istruita, sembra inceppato16.
Il caso dell’Università Cattolica
In occasione del trasferimento di competenze in materia di diritto allo studio seguito alla riforma del titolo V della Costituzione17, l’Università Cattolica ha scelto, tra gli atenei privati, di gestire direttamente il diritto allo studio attraverso EDUCatt, una Fondazione senza fine di lucro creata ad hoc che ha ereditato le competenze dell’ente regionale che lo ha preceduto ma cui sono stati affidati compiti e servizi connessi alla vita dello studente, con l’obiettivo di fare in modo che l’erogazione dei servizi possa contribuire al progetto educativo dell’ateneo stesso. Dopo una fase di transizione, la Fondazione EDUCatt è divenuta pienamente operativa nel 2009: si è trattato di un cambio di prospettiva, che ha significato anche un profondo cambiamento nelle competenze dei lavoratori oltre che un diverso approccio al diritto allo studio e agli strumenti e servizi per il conseguimento del successo formativo.
A una continua attenzione alla gestione delle risorse si è unito un orientamento all’ascolto e all’individuazione dei bisogni degli studenti e della comunità universitaria che hanno portato ad agire secondo processi di rendicontazione puntuale e valutazione continua. In questi termini, EDUCatt sin dal primo anno di attività si è dotata di un proprio bilancio sociale, finalizzato a rendere conto agli stakeholder ma, soprattutto, a valutare la capacità di rispondere alla mission e di interpretare il diritto allo studio seguendo la parabola del bisogno.
Ne è nata da subito l’idea di valutare la capacità di restituzione – cioè quanto l’organizzazione è in grado di creare valore per la comunità universitaria attraverso il proprio operato – e poi gli impatti generati sulla comunità durante tutta la vita universitaria, anche con la costituzione di gruppi di lavoro che si sono progressivamente strutturati e che svolgono oggi una preziosa azione di approfondimento nella valutazione delle performance ma soprattutto nell’interpretazione dei bisogni.
Gli ultimi anni sono stati per EDUCatt di nuovo ricchi di prove importanti, anche nella gestione, in gran parte a causa del protrarsi dell’emergenza causata dalla pandemia. Sono stati anche anni in cui più evidentemente è risultato necessario confrontarsi con il rapido mutamento degli scenari, ripensando i servizi per garantirne la sostenibilità e continuare a supportare gli studenti, rispondendo in maniera diversa ai loro bisogni e a quelli delle famiglie. In questo quadro è risultato urgente, anche per una organizzazione abituata al cambiamento, proseguire nell’analisi e nella revisione dei processi e nel percorso di ottimizzazione e di efficientamento delle risorse, ma soprattutto nella ricerca di nuove modalità di progettare ed erogare le agevolazioni e i servizi agli studenti, per adattarsi in maniera efficace e flessibile al contesto di riferimento.
Note
1. L. Modica, Il ruolo delle istituzioni formative nel diritto allo studio universitario, UNIMI 2040 Discussion Paper n. 5, pp. 60-79.
2. C. Pizzella, MUR DGPBSS – Ufficio VI Servizio Statistico, Il Diritto allo Studio Universitario nell’anno accademico 2020-2021, aprile 2022, ustat.miur.it/media/1221/focus-il-diritto-allo-studio-universitario-nellanno-accademico-2020-2021.pdf
3. https://www.educattepeople.it/2022/06/23/due-milioni-di-euro-per-il-diritto-allo-studio-cosi-la-cattolica-investe-sui-giovani/
4. Rif. Valori nazionali a.a. 2020-2021, fonte: http://ustat.miur.it/dati/didattica/italia/atenei-non-statali
5. F. Laudisa, Come rendere il sistema di “diritto alle competenze” efficace e mirato a diversi tipi di destinatari?, UNIMI 2040, Discussion Paper n. 5, pp. 11-12.
6. M. Ghizzoni, Diritto allo studio universitario e diritto alla formazione superiore: problemi, prospettive, obiettivi, UNIMI 2040, Discussion Paper n. 5, p. 30.
7. Con la legge Gelmini, poi attuata nel 2012 dal D.Lgs. 68.
8. G. Chiosso e O. Grassi, Oltre l’egemonia del cognitivo, in Aa.Vv., Viaggio nelle character skills. Persone, relazioni, valori, il Mulino, Bologna 2021, pp. 23-42.
9. Ristorazione scolastica e universitaria: sano buono, per tutti, Convegno, Milano 10 giugno 2022.
10. Cfr. il Rapporto Osservatorio ristorazione 2021.
11. Ministero della salute, Sovrappeso e obesità, https://www.salute.gov.it/portale/nutrizione/dettaglioContenutiNutrizione.jsp?id=5510&area=nutrizione&menu=croniche
12. CDP Brief, Student housing: quale futuro tra pubblico e privato?, marzo 2022, https://www.cdp.it/resources/cms/documents/CDP_Brief_Student_housing_quale_futuro_tra_pubblico_e_privato.pdf
13. Come emerge dalla valutazione sperimentale degli impatti condotta sul bilancio di Missione EDUCatt con la collaborazione di ALTIS, l’Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica, disponibile nel Report di impatto 2018. Rendicontare, misurare e comunicare gli impatti generati, Milano 2019.
14. Censis, Indagine sull’approccio alla ricerca del lavoro dei giovani in Italia, 2017.
15. Come specifica R. Ghio, Capaci e meritevoli: uno spunto di riflessione sulla meritocrazia nell’istruzione terziaria.
16. È la “trappola della meritocrazia”, come ha provocatoriamente spiegato anche recentemente il filosofo J. Sandel, in Università Cattolica per le celebrazioni del centenario (https://secondotempo.cattolicanews.it/news-il-successo-e-davvero-tutto-merito-nostro) e nel volume La tirannia del merito. Perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti (Feltrinelli, Milano 2021).
17. Operata con la L. cost. 3/2001.