Trimestrale di cultura civile

Quel che non è scontato: non c’è università senza studenti

  • AGO 2022
  • Guglielmo Mina

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Storicamente, l’istituzione universitaria ha nel dialogo fra docenti e studenti una delle sue sorgenti fondamentali. Nel tempo è venuto ad affievolirsi questo nutrimento così decisivo nel percorso di conoscenza e formazione. Ha trovato terreno fertile una crescita del sapere a scartamento ridotto. Di scarsa apertura relazionale. Tale scenario certo non favorisce la crescita di soggetti in grado di affrontare con intelligenza, senso critico e fecondità creativa le sfide che il “salto d’epoca” impone. Sfide a tutti i livelli. La formazione di una classe dirigente all’altezza del cambio di paradigma passa da un’assunzione di responsabilità di tutti i protagonisti. Anche del decisore pubblico. La voce di uno studente che vive l’università.

Fin dalle sue origini, il dialogo e il confronto tra professori e studenti ha rappresentato una sorgente fondamentale della vitalità dell’istituzione universitaria. Lo scambio di argomentazioni che si svolgeva nella cornice delle cosiddette disputationes medievali, coinvolgeva studenti e docenti in una dialettica feconda, capace di maturare risultati scientifici in grado di operare una vera e propria rivoluzione culturale a cavallo tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo. Oltre a ciò, il protagonismo che gli studenti potevano vantare nella nascita delle prime università non era relegato solamente alle attività relative allo sviluppo del sapere, ovvero le lezioni e lo studio, ma si dispiegava anche sul fronte dell’organizzazione e della guida di questa nascente realtà. A Bologna, infatti, furono proprio le associazioni studentesche di mutua previdenza a formare il nucleo di quello che viene considerato il più antico ateneo del mondo. 

Le dimensioni del cercare e comunicare

La traiettoria che ebbe inizio in quel frangente della storia medievale ci consegna oggi una realtà universitaria profondamente mutata: i molteplici paradigmi che nei secoli hanno orientato la nascita e lo sviluppo delle università hanno portato a esiti culturali, giuridici e organizzativi, che segnano oggi le differenze tra i sistemi universitari dei diversi Stati. Eppure, tra le tante suggestioni per il presente che si potrebbero trarre dallo studio di quei primi albori, certamente si può evidenziare un’istanza che oggi, dopo diversi secoli di storia, non sembra più così scontata: non c’è università senza studenti. Se, infatti, molto spesso il dibattito pubblico dentro e fuori dagli atenei si sofferma sul valore dell’università in ragione dei brillanti esiti della ricerca scientifica, ciò che qualifica propriamente il mondo universitario rispetto a ogni altra istituzione scientifica è il fatto che la dimensione del “cercare”, del sondare nuovi orizzonti del sapere, sia strutturalmente intrecciata al “comunicare”, ovvero al condividere i fondamenti e gli esiti di questa ricerca con coloro che si predispongono a imparare. La dinamica della conoscenza, infatti, non si esaurisce appena nella trasmissione di un nucleo rigido di contenuti. Le nozioni condivise, nello svolgersi dell’attività didattica, risuonano secondo sfumature e accenti prima inauditi in coloro che le fanno proprie, moltiplicando le possibilità di sorprendere strade nuove per il progresso del sapere. Non soltanto: il contributo sostanziale intrinseco all’esperienza dell’insegnamento consiste nell’offrire la possibilità a chi impara di avvertire la profondità della propria capacità di comprensione e di critica. Così, se nell’attività di ricerca il fattore innovativo si gioca nello scoprire e considerare nuovi oggetti, nell’attività didattica “innovare” ha a che fare con l’emergere di nuovi soggetti, ovvero di persone che incontrandosi, confrontandosi, conoscendo, maturano una maggiore consapevolezza di sé e del proprio ruolo nel mondo.

È questa relazione essenziale tra attività didattica e ricerca scientifica, che si realizza nella dimensione del rapporto tra docenti e studenti, a fare dell’università una leva centrale e positiva nel progresso della società intera. Questo principio è stato ribadito dal legislatore nell’art. 1 della più importante legge organica di riforma del sistema universitario degli ultimi anni (l. 30 dicembre 2010, n. 240): “Le università sono sede primaria di libera ricerca e di libera formazione nell’ambito dei rispettivi ordinamenti e sono luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze; operano, combinando in modo organico ricerca e didattica, per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica”. 

Il valore profondo del diritto alla rappresentanza

Affinché questo principio non restasse lettera morta, si è tentato di offrirne un’attuazione anche sotto il profilo organizzativo e istituzionale: in tutti gli atenei italiani, infatti, dagli organi di vertice fino alle strutture più capillari è garantito uno spazio alla rappresentanza studentesca. Gli studenti, tramite i loro rappresentanti, possono così costituirsi come parte attiva nei processi decisionali che danno forma alla comunità di cui sono parte. Questa opportunità garantita dal sistema viene troppo spesso interpretata in una prospettiva ridotta: si tende a considerarla come un elemento di garanzia riconosciuto a un gruppo di interesse che, alla stregua di una organizzazione sindacale, deve far valere i propri diritti contro la parte che, altrimenti, tenderebbe a violarli. Certamente, per qualche verso, nel riconoscere agli studenti il diritto ad avere una rappresentanza c’è anche questo, ma occorre cogliere il valore profondo contenuto in questa conformazione istituzionale per sfruttare appieno le opportunità che ne derivano. Gli organi accademici così composti, infatti, possono essere un contesto privilegiato in cui docenti e studenti mettono reciprocamente in dialogo la propria esperienza e, muovendo da note di valore o rilievi critici, possono trovare spunto per costruire insieme. La possibilità di confronto con gli studenti circa i dinamismi interni che regolano l’istituzione universitaria contrasta due possibili tendenze culturali che spesso tendono a insinuarsi nei dibattiti e nelle scelte che orientano i nostri atenei. 

Di queste derive, la prima è quella che concepisce l’università sulla scorta di un modello aziendalistico: l’istituzione deve produrre un’offerta capace di raggiungere il massimo livello di customer satisfaction.

Lo studente, in questi termini, sarebbe poco diverso da un normale cliente, che paga per ottenere un pacchetto di servizi, tra cui il più importante sarebbe quello di recepire un adeguato quantitativo di nozioni. Così, sulla scorta di una considerazione “commerciale” dell’attività didattica, anche la ricerca scientifica sarebbe fortemente indirizzata da obiettivi funzionali alla produzione. Tuttavia, legare con un filo troppo stretto ricerca e PIL rischierebbe di portarci a disertare campi del sapere che rivelano la propria decisività storica in lassi di tempo che sfuggono alla misurazione frenetica degli andamenti trimestrali. 

Il dialogo a singhiozzo negli organi di governo

Per altro verso, invece, se l’università volesse mantenere fede alla propria vocazione formativa senza con ciò interpellare e coinvolgere coloro che sono deputati a rappresentare i destinatari di questa proposta, l’esito, come tante volte già accade, sarebbe quello di considerare la componente studentesca come incapace di esercitare la propria facoltà critica all’interno di un percorso che dovrebbe vederla coinvolta da protagonista. Così, sempre più spesso, soprattutto nell’ambito delle discipline umanistiche, con il pretesto di venire incontro alle esigenze degli studenti, si semplifica l’offerta formativa rendendola omogenea e piatta, portando così gli studenti più ambiziosi a emigrare all’estero e costringendo gli altri a frequentare percorsi che in nulla si discostano dalla scuola secondaria. Nella preoccupazione di assolvere alla propria funzione educativa, si ricadrebbe così in uno sterile paternalismo, che concepisce lo scambio di conoscenze alla stregua di un travaso. Risulta piuttosto evidente come non possa essere soltanto il coinvolgimento degli studenti nel processo democratico di indirizzo degli atenei a tutelarci da queste derive culturali; al tempo stesso, però, è significativo notare il valore simbolico e sostanziale contenuto in questa architettura istituzionale: talvolta il dialogo negli organi di governo procede con intensità e porta frutti positivi, talaltra le incombenze della burocrazia o l’indisponibilità degli interlocutori smorzano le potenzialità del confronto; ma, seppur di gran lunga perfettibile, questo sistema richiama la centralità della relazione tra docenti e studenti per la definizione della natura e degli obiettivi del sistema universitario. Questo principio può restare confinato negli statuti dei nostri atenei, oppure diventare un criterio orientativo delle scelte che anche la politica deve fare per sostenere il sistema universitario italiano nel periodo delicato che stiamo attraversando. 

Le diverse sfide che incombono all’orizzonte, infatti, rendono ancora più preoccupante il dato della flessione improvvisa che ha subito la partecipazione studentesca alla vita dell’università. Da quando nel febbraio del 2020 le aule si sono svuotate, le progressive riaperture non hanno visto un ritorno massiccio della popolazione studentesca. Se, infatti, per quanto riguarda il mondo della scuola si è voluto insistere fin da subito nell’assoluta priorità di tornare in presenza, la maggior parte delle università ha mantenuto per tutti la possibilità di continuare a frequentare lezioni, seminari e laboratori anche a distanza. In molti hanno colto l’opportunità della didattica “mista” per continuare gli studi stando a casa: alcuni per ragioni economiche, altri per mera comodità, altri ancora non sono riusciti a superare forme di disagio psicologico che, nei periodi di chiusura, hanno preso sempre più piede. Molto spesso i docenti sono stati costretti a rivolgersi a sparuti gruppi di studenti che venivano a seguire le lezioni in presenza, e decine di altri che si collegavano senza nemmeno accendere la telecamera dei propri dispositivi. 

Anche la partecipazione democratica alle elezioni dei propri rappresentanti, cui le affluenze tradizionalmente superano di poco il 10% dei votanti, dopo aver registrato un leggero aumento nei periodi di restrizioni più significative che obbligavano a svolgere le votazioni in modalità telematica, hanno subìto, al rientro, un crollo significativo. Le stesse iscrizioni ai corsi di laurea, come notato da Bianchi e Garau, nell’a.a. 2021-2022 hanno segnato un brusco calo dopo nove anni di crescita costante. Questo dato, se rapportato all’andamento demografico, lascerebbe presagire l’inizio di un trend negativo, in un Paese che già si distingue in ambito europeo per le bassissime percentuali di giovani laureati rispetto alla popolazione. 

Non bastano nuove competenze e brillanti invenzioni

Gli studenti sembrano in parte aver mancato all’appuntamento con un nuovo inizio post-pandemico. D’altra parte, in un momento in cui finalmente la spesa pubblica nell’ambito dell’istruzione superiore ha ricominciato a crescere in maniera significativa, il peso dell’attività didattica in sede di distribuzione dei finanziamenti e di progressione di carriera per il personale docente continua a rimanere troppo basso. A oggi il tempo profuso nell’accompagnare gli studenti nel lavoro di tesi o nel preparare lezioni originali e di qualità ha un rilievo del tutto marginale nei punteggi assegnati ai docenti per ottenere buoni posizionamenti nei concorsi. Infatti, aldilà di alcuni parametri quantitativi che misurano il carico didattico dei candidati, l’abilità nell’attività di insegnamento non riceve alcuna considerazione in quanto il parametro centrale che definisce la figura tipica del docente, è quello della produttività scientifica nell’ambito della ricerca. Tuttavia, il contributo che l’università può offrire nel far fronte alle grandi sfide del nostro tempo – la transizione ecologica, la rivoluzione digitale, la capacità di interpretare i profondi mutamenti sociali e culturali che caratterizzano il nostro tempo ecc. – non si risolve unicamente nello sviluppo di nuove competenze o di brillanti invenzioni.

La fonte propulsiva del progresso dell’intera società, infatti, si gioca nella capacità di educare le nuove generazioni a stabilire un rapporto consapevole con la complessità della realtà in cui si trovano immersi: questo può realizzarsi solo nella dimensione di una relazione viva tra studenti e docenti. In questo senso la decisione, pressoché unanime tra i rettori, di riprendere dal prossimo semestre a vivere l’università integralmente in presenza non segna una svolta conservatrice, quanto piuttosto rappresenta la possibilità di ridare slancio ai tratti più propri della vita universitaria. Contemporaneamente, per cogliere l’opportunità di questo inizio, sarà decisivo sfruttare le leve offerte dai fondi europei per formulare politiche di reclutamento che abbassino il rapporto tra il numero di studenti e di docenti; promuovere investimenti nell’ambito dell’edilizia universitaria che rendano i nostri campus realmente in grado di favorire l’incontro e il dialogo tramite un ampliamento di strutture e servizi; investire nelle misure di diritto allo studio in modo da abbattere il più possibile il costo degli studi e sostenere le famiglie in questa congiuntura economica che rende sempre meno scontata la decisione di proseguire il percorso dopo le scuole superiori. La politica, in questo modo, ha l’occasione di collaborare affinché si creino le condizioni per rendere le nostre università teatro di una ricerca e di una didattica orientate da un respiro educativo; che sappiano, cioè, favorire la crescita di soggetti capaci di affrontare in modo intelligente e creativo le sfide epocali che ci troviamo di fronte. Tutto questo, però, non può che cominciare dall’iniziativa quotidiana di chi, studente o docente, accetta di aprirsi all’altro come occasione per diventare più sé stesso. 

Guglielmo Mina, Studente del corso di laurea in Filosofia; Consigliere di amministrazione dell’Università degli Studi di Milano in qualità di rappresentante degli studenti.

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