Trimestrale di cultura civile

Il cobalto della vergogna
che ricarica il Nord Globale

  • MAG 2025
  • Siddharth Kara
  • Martina Saltamacchia

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Nella Repubblica Democratica del Congo c’è quel minerale che fa funzionare tutti i nostri dispositivi elettronici e le macchine a motore elettrico. E quasi i tre quarti dell'approvvigionamento globale provengono da una piccola regione del Paese africano; vengono estratti in condizioni assolutamente orribili, subumane, degradanti, violente per uomini, donne e bambini congolesi che scavano il cobalto dal terreno. Con la complicità di governi e multinazionali tech. Di questa infamia ha scritto Siddharth Kara nel suo libro Rosso cobalto. Come il sangue del Congo alimenta le nostre vite (People, 2023). Uno squarcio di realtà, un pugno nello stomaco, un avvio possibile di consapevolezza. Intervista esclusiva.

Un’indagine. Una forte denuncia. Un’eco in tutto il mondo di una tragedia il cui modo ancora offende. Come le pagine di un libro possono avviare ragionamenti e magari sensibilizzare l’opinione pubblica su una profonda ingiustizia di cui è vittima da anni e anni un Paese africano: la Repubblica Democratica del Congo (“Congo” nel resto del testo, ndr). Il libro si intitola Rosso cobalto. Come il sangue del Congo alimenta le nostre vite (People, 2023). E l’autore è il professor Siddharth Kara. Lo abbiamo raggiunto. Di seguito il dialogo tra preoccupazione e speranza. Un pendolo realistico. Un pendolo che apre a necessari percorsi di responsabilità per uscire dal cul-de-sac di un intollerabile sfruttamento del Nord del mondo.  

Professor Kara, durante le sue ricerche in Congo, qual è stata la realtà che più l'ha colpita e che desiderava far emergere chiaramente nel suo libro?

La cosa più importante da conoscere e comprendere nel Nord globale – in Italia, in tutta Europa, in Nord America – è che nessuno di noi può ‘funzionare’ per 24 ore senza il cobalto. Perché si tratta di un componente fondamentale presente nella maggior parte delle batterie ricaricabili agli ioni di litio che vengono utilizzate in quasi tutti gli smartphone, tablet, laptop, e dispositivi ricaricabili in genere; ma, soprattutto, nella maggior parte dei veicoli elettrici venduti in tutto il mondo. Ma sono proprio gli smartphone, i tablet e i laptop senza cui non possiamo stare per 24 ore. Ecco allora spiegato il motivo per cui, tutti i giorni, ogni persona fa affidamento sul cobalto. Ciò che però non sappiamo è in quali condizioni venga estratta la più parte della fornitura mondiale di cobalto. Quasi i tre quarti dell'approvvigionamento globale provengono da una piccola regione del Congo; e vengono estratti in condizioni assolutamente orribili, subumane, degradanti, violente per uomini, donne e bambini congolesi che scavano il cobalto dal terreno. Ma l’impatto è enorme anche in relazione all'ambiente. Ed è questa storia, raccontata attraverso le voci del popolo congolese, che volevo far emergere nelle pagine di Rosso cobalto: esiste un lato oscuro nel nostro stile di vita basato sulla ricarica che rappresenta uno dei volti più terribili della violenza sulle persone, sulla negazione dei loro diritti. E una delle pagine più lugubri della distruzione ambientale oggi nel mondo.

Lei descrive una situazione in cui le persone non sono messe nelle condizioni di poter scegliere, in quanto costrette a un lavoro così pericoloso e sotto continua minaccia, mentre noi continuiamo ad avanzare dal punto di vista tecnologico con un'indifferenza quasi totale rispetto al costo umano. Quali passi concreti possiamo fare, individualmente e collettivamente, per rompere l’indifferenza rispetto allo sfruttamento dei lavoratori congolesi?

La prima cosa è diffondere la verità. Nessuno di noi, come individui, può scendere in Congo e risolvere il problema. Non può essere una nostra responsabilità diretta. La responsabilità a risolvere questa situazione è delle aziende che operano nel settore delle tecnologie e dei veicoli elettrici che vendono questi prodotti e che dipendono dal cobalto estratto in condizioni violente e degradanti. Ma fino a questo momento si sono rifiutate di assumersi una reale responsabilità per le loro catene di approvvigionamento minerario. Ci sono però cose importanti che tutti noi come cittadini comuni possiamo fare. Innanzitutto, amplificare la verità. Il mondo non può affrontare un orrore di cui non conosce l’esistenza. Lo scopo di Rosso cobalto è quello di contribuire a far luce su questa oscurità, portando nel mondo le voci dei congolesi, la cui sofferenza permette a noi di vivere la comodità e i servizi che passano attraverso i nostri dispositivi elettronici. E poi tocca a noi prendere quelle voci e diffonderle il più possibile. È così che può maturare una consapevolezza diffusa e quindi un cambiamento, in materia di diritti umani, di quello stato insopportabile delle cose. Dunque: prima viene rivelato un orrore; poi le persone ne diffondono la consapevolezza e questo attiva una comunità di sensibilizzazione che si organizza per affrontare l'ingiustizia, anche con l’impegno in prima fila dei leader. E in questo modo si ottiene un risultato e il progresso avanza. E se c’è una battuta d’arresto? Beh, bisogna continuare la lotta. Con la prima grande tragedia del Congo, che si è svolta sotto il regime di Leopoldo ed è narrata nel libro “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad, è successo proprio così. Alcuni hanno portato alla luce la verità su ciò che stava accadendo e questo ha attivato la coscienza in nuovi leader per affrontare quell’orrore. Alla fine, si è ottenuta una vittoria importante: non è stata completa, non è stata permanente, ma è stato un progresso, soprattutto considerando che parliamo dell'inizio del XX secolo.

Che ruolo hanno i consumatori nella catena dello sfruttamento legato ai dispositivi elettronici e veicoli elettrici?

Le aziende tecnologiche e automobilistiche pensano solo a una cosa: aumentare il valore per gli azionisti. E come lo fanno? Guadagnando di più. E come guadagnano di più? Facendoci comprare i loro prodotti. Dobbiamo chiederci: solo perché Apple, Samsung, Nokia e altre aziende ci dicono di cambiare i nostri dispositivi ogni anno, dobbiamo davvero farlo? Perché ogni volta che prendiamo un nuovo telefono o un nuovo tablet, stiamo contribuendo a questa catena di sfruttamento. Lo stesso vale per l'acquisto di un'auto elettrica. Ci viene detto che è per salvare l’ambiente e il nostro futuro verde, ma c’è una verità più profonda e una grande ipocrisia. Come possiamo salvare il nostro ambiente distruggendo quello dell’Africa? Come possiamo lasciare un pianeta più verde ai nostri figli sacrificando la vita dei bambini africani? Questa è la verità sulla transizione ai veicoli elettrici, per come è condotta oggi. Nessuna delle aziende che ci vende queste auto sta facendo seri sforzi per affrontare le condizioni di sfruttamento delle persone in cui vengono estratti cobalto, litio, nichel e altri metalli.

I governi occidentali stanno spingendo molto sulla transizione ai veicoli elettrici. Ritiene che siano consapevoli del costo umano e ambientale di questa transizione?

I governi occidentali hanno imposto un obiettivo da perseguire sui veicoli elettrici in Europa e Nord America, dicendo che entro il 2030 o il 2035 una certa percentuale o la totalità delle auto dovrà essere elettrica. Ma senza chiedersi se per raggiungere questo obiettivo si creeranno danni collaterali. Insomma, non hanno minimamente affrontato la questione. Queste politiche sulla transizione EV avrebbero dovuto essere accompagnate da altre politiche per evitare che causassero enormi violenze nel Sud globale, come ad esempio in Congo con l’estrazione del cobalto. Le aziende, se avessero avuto a cuore la vita delle persone in Africa, avrebbero già fatto qualcosa. Invece nulla. Perché esse non vedono quelle persone e quel Continente come uguali. Vogliono solo prendere le risorse nel modo più economico possibile. Ciò significa che le multinazionali dovranno essere costrette, attraverso la politica o l'attivismo dei cittadini, ad assumersi finalmente la responsabilità. E questo può avvenire rapidamente solo se crescerà nel Nord del mondo una diffusa indignazione e quindi un rifiuto a contribuire a questa inaccettabile forma di violenza. Quando compriamo uno smartphone o un tablet, oggi non pensiamo che ‘mentre ricarico il mio dispositivo, un bambino in Congo sta morendo’. Ma questa connessione tra noi e loro è stata imposta dai brand globali del tech che non considerano il popolo congolese alla pari dei loro lavoratori di Cupertino, Seul o Austin.

Alla luce della sua esperienza diretta, esistono oggi reali segnali di cambiamento positivo in Congo, o stiamo assistendo alla continua evoluzione del neocolonialismo in nuove forme di sfruttamento e controllo?

Credo che questo sia l'ultimo capitolo di una lunga storia di depredazione e saccheggio dell'Africa e, in particolare, del Congo. Non è un incidente isolato, fa parte di una storia molto più lunga che risale a secoli fa. Ma ho speranza. Centrotrenta, centoquaranta anni fa, quando non c'erano smartphone né e-mail né video, niente di tutto ciò, le persone riuscivano a entrare nel cuore dell'Africa, raccogliere prove, diffondere consapevolezza, creare campagne di pressione e ottenere qualche vittoria, tanto che Leopoldo dovette cedere la sua colonia personale allo stato belga. E quella è stata una vittoria almeno parziale: benché sotto lo stato belga le vite delle persone congolesi medie non sono migliorate molto, questo fatto era parte di un processo che poi ha portato all'indipendenza. E se le persone sono riusciti a ottenerla in quel periodo e in quelle circostanze, immagini cosa possiamo fare oggi, che siamo nelle condizioni di poter raccogliere prove e diffondere consapevolezza con i nostri device. Quindi sono ottimista. Sono anche ottimista che le voci congolesi vengano ascoltate, e questo aiuta a forgiare quel tessuto connettivo tra noi e loro così cruciale per l’avvio di collaborazioni virtuose e fraterne. Non stiamo parlando di una soluzione esterna imposta ai congolesi: tocca a loro essere protagonisti e così guidare gli sforzi per risolvere questi problemi. Ma ciò richiede relazioni che devono essere costruite. La gente in Congo sa che la loro voce viene ascoltata, e per questo è speranzosa per il loro futuro, nonostante tutte le enormi sfide che affronta, tra cui non ultima la situazione nell'est del Congo. Ma è così che accade il cambiamento: prima si inonda il mondo di verità e poi l'inevitabile avverrà.

In questo percorso verso l'empowerment delle comunità locali congolesi, vede segnali concreti di miglioramento, soprattutto considerando l’attuale contesto geopolitico e le recenti iniziative internazionali?

Stiamo vivendo un periodo decisamente interessante, con l'attuale amministrazione negli Stati Uniti che sta riducendo gli impegni di aiuto estero. Dovremo vedere come si sviluppa la situazione e quale ruolo avrà l'Europa, se colmerà il divario oppure no. Ma negli ultimi anni, da quando è uscito Rosso cobalto e altri giornalisti hanno lavorato su questo tema, si sono moltiplicati i cercatori di verità che hanno diffuso consapevolezza nel mondo. Le conversazioni che si stanno facendo nei circoli, alle Nazioni Unite, sui diritti umani, e gli sforzi per creare legami con la società civile congolese sono aumentati notevolmente. Certo, ci vuole tempo. Anche il semplice processo di portare in Congo importi significativi di denaro attraverso le Ong è una sfida. Eppure, si va avanti. Le mani tese si stanno incontrando. Il popolo congolese, tra mille difficoltà, si sta esprimendo, e questo è un veicolo fondamentale per cementare relazioni che promuovano soluzioni e collaborazioni.

In che misura la corruzione all’interno delle istituzioni congolesi contribuisce al perpetuarsi di queste pratiche predatrici nello sfruttamento minerario?

La corruzione rimane il problema principale. Ed è così fin dall'indipendenza, e sarà sempre una barriera per una soluzione duratura. Il Congo ha disperatamente bisogno di una leadership più forte, di istituzioni democratiche più trasparenti, di una stampa libera, della possibilità di dissentire, e che le risorse non vengano saccheggiate dalla cleptocrazia nel loro cammino verso le aziende tech. Questo è un dramma che il Congo dovrà affrontare internamente. Ci sono modi per sostenere gli sforzi di anticorruzione. Credo che il presidente Tshisekedi abbia fatto alcuni sforzi genuini per affrontare la corruzione e la mancanza di trasparenza. Ma questo è un deficit che il Paese ha fin dall'indipendenza. Una cattiva governance e un’elevata corruzione sono problemi enormi. E in un Paese devastato dalla guerra e assai impoverito, la cattiva governance e l’alta corruzione hanno buon gioco. Il Congo non troverà un futuro pacifico e sostenibile senza una leadership autorevole e virtuosa che finalmente affronti seriamente la piaga della corruzione.

Questo processo di riforma delle istituzioni congolesi può avvenire solo dall’interno o anche tramite pressioni internazionali efficaci?

Può avvenire anche con il contributo di soggetti esterni. Faccio un esempio: i soldi sono ciò che porta alla corruzione. Ma i soldi possono anche aiutare a risolvere la piaga della corruzione. Supponiamo che i cinque maggiori acquirenti dei minerali del Congo decidano di unirsi e dire: ‘Ok, davvero non possiamo continuare a fare affari qui, acquistando i vostri minerali, finché non istituiremo il seguente piano in 20 punti per sradicare la corruzione’. Oggi c'è troppo denaro che balla. Le cose funzionano così fin dai tempi dell’indipendenza: ecco un po' di soldi, guarda da un'altra parte. Ecco dei soldi, Joseph Mobutu (ex presidente e dittatore al potere dal 1965 al 1997, e che nel 1971 fece cambiare il nome dello Stato da Congo in Zaire, ndr), per favore guarda da un'altra parte. Arricchisciti nel frattempo. Ecco dei soldi, Laurent-Désiré Kabila (presidente della Repubblica Democratica del Congo dal 1997 allorché riuscì a rovesciare il regime di Mobutu, assassinato nel 2001, ndr) sentiti libero di arricchirti, ma per favore guarda da un'altra parte. E poi Joseph Kabila (presidente, figlio di Laurent-Désiré, rimasto al potere fino al 2019, ndr). E così è stata la formula fino a questo momento, ma le stesse risorse possono essere usate per scopi più nobili. Ora, sarà la Cina il leader morale che vi riuscirà? Improbabile. Potrebbero esserlo l'Europa occidentale e il Nord America? Forse, ma gli eventi recenti lo rendono un po' più difficile. Una cosa è certa: l'economia di mercato può risolvere molti problemi se l’utilizzo delle risorse viene indirizzato nella direzione giusta.

Allargando lo sguardo alla regione, quali attori locali o internazionali ritiene possano realmente contribuire a invertire la dinamica predatoria delle risorse africane e a rendere possibile quel cambiamento a cui faceva riferimento?

In questa fase storica, nel Continente, stanno accadendo fenomeni molto interessanti. I minerali sono il futuro: nichel, cobalto, rame, tantalio, tungsteno, oro. Come noto, l'Africa è dotata di enormi riserve di questi minerali e nei prossimi decenni la domanda è destinata ad aumentare. Ma allora, è possibile creare sistemi affinché le persone dei vari paesi africani beneficino di tali risorse, invece di essere depredate? Finora, tutto il beneficio economico è andato all'élite, alle aziende e ai governi del Nord Globale. Ma questa dinamica deve cambiare. Ci sono stati sviluppi apprezzabili nel Sahel, dove alcuni paesi hanno espulso il proprio personale ex coloniale. Come il Burkina Faso, che ha allontanato i francesi e nazionalizzato molte industrie minerarie, con il governo locale che dice di volere che sia il popolo a beneficiare delle risorse. Ora, se questo succederà o meno, sarà il tempo a dirlo. Ma quel che si nota è un risveglio o un tentativo affinché il lavoro e le risorse dei paesi vadano a beneficio dei loro popoli, finalmente in contrasto con la dinamica post-coloniale che fin qui continua a prosciugare valore dal continente. Se ciò è genuino e si diffonde, il futuro del continente potrebbe essere molto più luminoso che in passato. Il contrappunto a questi timidi ma significativi passi in avanti è che in alcune parti del Continente permane una diffusa instabilità e molta violenza, il che ci riporta, per esempio, all'Est del Congo. È semplicemente impossibile che quei minerali nell'Est del Congo vadano a beneficio della popolazione locale, se un paese straniero, il vicino Ruanda, sostiene una milizia per invadere l'Est del Congo e prendere il controllo dei territori minerari, drenando il valore per il proprio di beneficio. Questo non aiuta. E così il Congo è impossibilitato a reagire. Anche se è un paese molto più grande, è povero e devastato dalla guerra e quindi ha bisogno di aiuto esterno per affrontare l’invasione del Ruanda nell'Est del Congo. E l’offensiva riguarda propri i minerali, non c'entra nulla con la difesa o la protezione delle minoranze Tutsi: tutto succede per i minerali. E la cosa è nota a tutti. Ma, dico, potrebbe esserci una forza di pace delle Nazioni Unite, una vera forza di sicurezza efficace schierata a difesa di quella parte del paese per salvaguardare le miniere e aiutare a farle funzionare in un modo che avvantaggi il popolo congolese? Finché questo non accadrà, è molto difficile per il Continente o per certi paesi come il Congo perseguire un futuro di segno positivo. Questa era la visione originale, la stessa di Patrice Lumumba (primo presidente del Consiglio della Repubblica Democratica del Congo nel 1960, ucciso l’anno seguente, ndr): è il nostro popolo che dovrebbe beneficiare delle nostre risorse. E quel sogno, dopo 65 anni, rimane completamente irrealizzato. Ma dobbiamo vivere nella speranza. Alimentata non solo da un enorme sforzo interno, ma anche dal contributo di leadership esterne responsabili.

Siddharth Kara è uno scrittore americano finalista del Premio Pulitzer, Professore Associato all'Università di Nottingham e docente in Global Poverty and Practice presso l'Università della California, Berkeley.
Martina Saltamacchia è Distinguished Associate Professor di Storia medievale all’Università del Nebraska-Omaha, dove dirige Medieval/Renaissance Studies e il programma Master in Storia. È autrice di due libri e numerosi articoli sul Duomo di Milano e i suoi donatori.

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