Trimestrale di cultura civile

La danza è educazione, comunicazione,
comunione, comunità

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Germaine Acogny è la ballerina e coreografa nera più celebre del mondo. Ha portato la bellezza e l’originalità della cultura del suo Continente in ogni angolo del pianeta. Definisce la sua danza “interiore” perché viene “dal mio mondo interno”. E “la danza del Benin, dove io sono nata, non è quella del Senegal, un bel paese democratico, dove vivo e ho una scuola oggi. Si può arrivare a vedere queste differenze e tuttavia conservare la specificità africana. Penso che portare la danza nelle scuole possa aiutare ragazzi e ragazze a vivere in modo migliore tanti problemi. In Africa ci sono molti stupri e violenze. Attraverso la danza si può affrontare meglio il corpo ed educarlo affinché si fermi anche la violenza degli uomini sulle donne”. Intervista esclusiva.

Germaine Acogny è considerata la “madre della danza africana contemporanea”. È la ballerina e coreografa nera più famosa del mondo. E a ottant’anni compiuti, continua a girarlo. Quest’anno ha ricevuto a Percoto (Udine) il Premio Nonino “Maestra del nostro tempo”: al momento della consegna ha ridotto al minimo le parole del discorso di prammatica, e ha voluto invece, lasciando un po’ di stucco il pubblico, proprio danzare.

La sua arte – recita la motivazione del Premio, letta dal filosofo Mauro Ceruti - “esprime le voci più arcane della Terra. Terra la cui salvaguardia e la cui cura sono sempre state le ragioni del Premio Nonino. Germaine Acogny ha portato l’Africa, genitrice ancestrale della nostra genia, in tutto il mondo con spettacoli e fondando scuole. Ma quando danza sulla battigia o tra gli alberi delle foreste, il suo corpo diventa preghiera. Il poeta mistico persiano Rumi scrisse: ‘Colui che conosce il potere della danza vive in Dio. La danza è gioia divina e Germaine Acogny è la danza’”.

Nata nel 1944 in Benin, a dieci anni si è trasferita a Dakar, in Senegal, uno dei paesi più democratici d’Africa. Ha frequentato una scuola cattolica ma nel 1962 ha deciso di andare a Parigi per studiare danza moderna e balletto classico all’École Simon–Siégel, improntata naturalmente su una formazione occidentale. E lei non era certo la donna minuta bianca, prototipo della ballerina europea o russa.

Così ha iniziato a cercare una propria strada: "Ho preso i miei piedi piatti, il mio grande fondoschiena e i fianchi da donna africana, il mio alto corpo da africana occidentale e ho messo questo al centro".

Nel 1968, all’età di 24 anni fondò la sua prima scuola di danza a Dakar. Tra il 1977 e il 1982 è stata direttrice artistica del Mudra Afrique, scuola creata nella capitale senegalese dal coreografo francese Maurice Béjart e dal presidente (dal 1960 al 1980) e poeta Léopold Sédar Senghor, che voleva fare del Senegal l’"Antica Grecia" dell’Africa, promuovendo letteratura e altre arti classiche. È stato presidente del Senegal dal 1960 al 1980. “Senghor venne a trovarmi – ha raccontato Acogny - perché non aveva una struttura per la danza contemporanea e voleva presentarmi a Béjart - direttore del Ballet du XXe siècle e della scuola di danza Mudra di Bruxelles, nds - Anche Béjart aveva sangue senegalese ed era amico di Senghor. Maurice vide che avevo qualcosa di nuovo da offrire e alla fine scelse di fondare Mudra Afrique in Senegal con me come direttore artistico”.

Quando quella scuola ha chiuso, Acogny si è trasferita a Bruxelles per organizzare per la compagnia di Béjart workshop internazionali di danza africana. Ha lavorato per un videoclip del musicista inglese Peter Gabriel. Nel 1995 ha deciso di tornare in Senegal con l’obiettivo di creare, con il marito Helmut Vogt un centro internazionale di danze africane tradizionali e contemporanee: l’Ecole des Sables di Toubab Dialo è stata completata nel 2004 e oggi è affidata a suo figlio Patrick.

Nel ‘21 Germaine Acogny ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera della Biennale di Venezia. È stata nominata Cavaliere sia in Senegal che in Francia e ha ricevuto molti premi, compreso un Bessie Award a New York. Il periodico Jeune Afrique l’ha inclusa tra le 50 personalità africane più influenti del mondo.

La sua non è stata però solo una ricca esperienza tra le forme di danza tradizionali africane e le metodologie della danza moderna europea e americana, ma anche una continua ricerca di autentiche voci in grado di esprimere cultura, politica, identità africane.

 Germaine, perché lei, a Udine, ha definito la sua come una “danza interiore”?

Perché quello che lei ha visto, quello che ha sentito viene da me, dal mio mondo interno. Ho voluto dedicare quel momento a Benito Nonino, morto nel 2004, a 90 anni: quest’uomo, solo in mezzo a tutte le donne della sua celebre famiglia, credo fosse davvero dotato di molto carattere. È stato lui, con la moglie Giannola, a dare inizio a questa storia della grappa Nonino che da un piccolo paese del Friuli è arrivata ormai in tutto il mondo. È una figura che mi ha toccato, la sua “fotografia” direi che è qualcosa di ancora reale: e lei sa che per noi in Africa i morti non sono morti, restano attorno a noi. Quindi quella danza è stata anche un modo di ringraziare per essere stata scelta come la prima “maestra del nostro tempo” del Premio Nonino.

 Si può dire che lei abbia cercato di far incontrare danza africana e danza europea, un po’ come il jazz è nato dall’incontro tra la musica africana e quella occidentale?

I vostri paesi europei sono molto diversi dal punto di vista culturale, gli italiani, lei lo sa bene, non sono come i francesi, i tedeschi sono ancora diversi… Avete tutti la vostra cultura e il vostro modo di vivere. Certo, tutti in quanto uomini abbiamo due piedi, due braccia, una testa e fisicamente ci rassomigliamo; siamo stati creati in questo modo da Dio, o se vuole dalla Natura. Ma restiamo anche molto diversi, così come diversi sono l’uomo e la donna. Io ho fatto i miei studi in Francia, all’École Simon–Siégel di Parigi, e il professore di danza classica sottolineò subito il fatto che avevo i piedi piatti, e un grosso sedere, rimarcando una differenza fisica tra gli altri allievi e me. Quindi ho compreso subito che avrei dovuto differenziarmi, perché voi bianchi, a partire da quel professore, mi avevate subito inquadrata come diversa. Penso che quello non fosse neppure un buon professore di danza classica, dopo ho frequentato corsi con altri e ho capito che non era una questione solo tecnica: il suo era un modo di separare le persone. 

 Il corpo è un elemento cardine della sua arte.

Esso mi ha spinto a sviluppare una mia tecnica personale, a fare delle ricerche su questa mia differenza e anche al tempo stesso sulle nostre somiglianze. Io sono partita dal mio corpo, del mio modo di vivere e di danzare.

 La danza per lei è un riflesso della natura.

La colonna vertebrale è il Serpente della vita, o l’Albero della Vita, da cui partono tutti i movimenti. Il petto è il Sole, i piedi sono la Luna, le pelvi sono le stelle. Nel nostro stesso corpo c’è un piccolo cosmo, e le danze africane sono in un dialogo permanente con la natura e con il cosmo. Per noi africani la danza è anche un omaggio. Ma ci sono generi molto diversi: c’è per esempio la danza di iniziazione dei ragazzi e delle ragazze che raggiungono la pubertà, una danza sacra. Io ho preso la mia cultura di fondo cercando di portarla verso il contemporaneo, sottolineando le differenze tra l’Europa e l’Africa. Ma ho anche accostato certe posizioni della danza classica europea ad altre della nostra danza africana che sono simili, cosa che di primo acchito non appariva. Il simbolo della mia tecnica è l’albero, che rappresenta il radicamento ma anche, con le sue fronde, un’apertura verso il cielo: indica che noi siamo pronti a recepire valori che vengono dagli altri, pur restando noi stessi. Quando vado in giro per il mondo a tenere dei corsi di danza, io se sono in Germania mangio cibo tedesco, in Cina posso mangiare alla cantonese e in Italia la pizza, eppure resto africana, anche se tutto questo è entrato a far parte del mio corpo. Tra di noi ci sono delle differenze ma anche delle profonde somiglianze. E ciò che è più certo è che io devo restare radicata nella mia cultura per poter incontrare le altre.

Il suo modo di danzare è stato per lei anche un modo di difendere la cultura africana all’interno del mondo di oggi?

Ma certo. Io mi sono adattata al tempo di oggi, e tutti i premi che ho ricevuto nella mia carriera sono un modo di mostrare interesse e di approvare ciò che ho fatto. Ho partecipato a un festival in Lituania, e a un certo punto ho chiesto all’organizzatore: “Perché mi avete invitato?”. Lui mi ha risposto: “Perché vorremmo che lei insegnasse ai lituani ciò che ha capito dagli africani”. Loro sono stati educati dai russi, hanno una danza classica che ha quell’impronta, ma non è stata personalizzata rispetto alla loro cultura. Dunque attraverso il lavoro che ho fatto con questi danzatori, li ho spinti ad andare a ritroso nella loro storia e a integrare nella loro danza elementi e suggestioni antichi che fanno parte della cultura lituana. Ne è uscita una forma di danza che non assomiglia a niente di ciò che si vede normalmente in Europa. E si può fare una danza contemporanea anche in Africa. Da noi ci sono più stili, ciascun paese, ciascun popolo ha il proprio mezzo di espressione. Ma sono riuscita a far emergere e a vedere quello che c’è di più essenziale, le somiglianze che li legano: il riferimento al Sole e l’elevazione al cielo sono elementi comuni. La danza del Benin, dove io sono nata, non è quella del Senegal dove vivo oggi: si può arrivare a vedere queste differenze e tuttavia conservare la specificità africana.

 Lei non vive più in Europa, è tornata a Dakar: perché?

Con mio marito abbiamo fondato l’Ecole des Sables, lui è tedesco e io sono senegalese, abbiamo creato un villaggio che ci ha permesso di ancorarci in un luogo. Qui accogliamo danzatori che arrivano da tutta l’Africa, francofoni e anglofoni, e ancor più riceviamo gente da ogni parte del mondo, e ciascuno può trovare la propria strada originale.

 La danza per lei ha mantenuto una dimensione comunitaria: l’Ecole des Sables non è solo una scuola tecnica ma una piccola comunità.

Sì, è così.

In Europa la danza contemporanea è spesso una pratica solitaria, quasi solipsistica, anche quando si è in mezzo alla folla di una discoteca.

Io e mio marito diciamo che il villaggio che abbiamo creato è la “foresta sacra” dei tempi moderni. Nei tempi antichi, affinché diventassero un uomo o una donna si portavano i ragazzi nella foresta sacra perché fossero educati, per prepararli al matrimonio e a prendersi le responsabilità della vita. Qui a Toubab Dialo abbiamo creato una piccola comunità dove la gente vive insieme, danza insieme, mangia insieme, crea insieme. Ma al tempo stesso si può a volte essere anche solitari, ciascuno può trovare il proprio spazio.

 Cinquant’anni fa lei ha conosciuto personalmente il presidente Léopold Senghor, una figura carismatica in Africa.

È stato una personalità molto importante per la nostra gente. Negli anni ‘60 ha organizzato i primi festival di arte nera, tutto il mondo veniva in Senegal per avvicinare e conoscere la nostra cultura, fu una cosa eccezionale. Senghor è stato un poeta, e ha anche guidato politicamente il paese in maniera eccezionale. Quando era vivo tanta gente lo ha osteggiato, ma dopo la sua morte molti si sono resi conto che è stato un uomo e anche un presidente molto valido. Anche lui vinse il Premio Nonino, nell’ormai lontano 1985.

 Lei dopo una lunga esperienza in Europa e in giro per il mondo è tornata a vivere in Africa: come la vede oggi? Sta cambiando?

Vedo che sempre meno seguiamo l’esempio dell’Europa. In Africa c’erano molte democrazie e leggi umane già prima che arrivassero gli europei. Poi siamo stati colonizzati. In Senegal oggi c’è una bella democrazia che ha continuato nel solco di Senghor, con un nuovo governo che si occupa dei giovani, che lavora affinché non debbano fuggire in Europa: bisogna dare a loro i mezzi per farlo, bisogna creare possibilità di lavoro per la gioventù. Il sottosuolo africano è molto ricco e non dobbiamo lasciare che altri popoli lo sfruttino senza avere noi un ritorno: potremmo essere popoli ricchi se i nostri capi di stato distribuissero quello che guadagnano ai giovani e agli abitanti dei loro paesi.

 Pensa che la stessa danza possa avere degli effetti “politici”?

Non sulla politica politicante. La danza però è un mezzo di educazione, di comunicazione, di comunione, di comunità. Penso che portarla nelle scuole possa aiutare ragazzi e ragazze a vivere in modo migliore tanti problemi. In Africa ci sono molti stupri e violenze, e io penso che attraverso la danza i corpi stessi si possano meglio intendere, più che facendo un corso di ginnastica o di inglese. Attraverso la danza si può affrontare meglio il corpo ed educarlo affinché si fermi anche la violenza degli uomini sulle donne. Ma bisogna ricordare che anche ragazzi e bambini maschi subiscono violenze gravi, sono perseguitati, e di questo si parla molto meno. Io penso che la danza possa aiutare veramente a educare e a sradicare tutti questi atteggiamenti aggressivi. È qualcosa che può risvegliare gli spiriti e mettere le persone su una posizione più alta dal punto di vista fisico e intellettuale. E penso che sia anche una maniera di difendersi, in modo non bellicoso.

 

Germaine Acogny è una coreografa e ballerina senegalese, definita “la madre della danza contemporanea africana”. È famosa per aver creato e sviluppato una particolare tecnica fondata sulla sintesi di danze tradizionali dell’Africa occidentale e danze classiche e moderne.

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