Povertà e crescita demografica: una sfida urgente per l’Africa
L’Africa rappresenta oggi un paradosso evidente: nonostante le immense ricchezze naturali e le risorse umane giovani e dinamiche, rimane il continente con il PIL pro capite più basso al mondo, aggirandosi intorno ai 7000 dollari PPS (una misura per comparare il potere d'acquisto tra paesi diversi), meno della metà di quello registrato in Asia e America Latina, che supera i 20mila dollari PPS annui (fonte IMF). Questa situazione economica precaria si combina con una delle più rapide crescite demografiche globali, pari a circa il 2,5% annuo, ben oltre la media mondiale dell’1%. Secondo le previsioni delle Nazioni Unite, la popolazione africana aumenterà di circa il 60% entro il 2050, una dinamica che pone sfide enormi in termini di occupazione, istruzione, sanità e infrastrutture. Questa combinazione rende indispensabile ripensare radicalmente i modelli di sviluppo adottati finora.
Il fallimento del “Washington Consensus”
A partire dagli anni Ottanta e Novanta, le politiche economiche promosse in Africa sotto il nome di “Washington Consensus” puntavano su privatizzazioni, liberalizzazioni e deregolamentazioni. Queste misure, ritenute universalmente valide, erano viste come la chiave per il progresso economico. Tuttavia, i risultati concreti sono stati deludenti. L’economista William Easterly, nel suo libro Lo sviluppo inafferrabile, ha evidenziato come queste ricette ignorassero la complessità delle dinamiche sociali, culturali e istituzionali locali.Infatti, le misure di aggiustamento strutturale imposte da istituzioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale spesso hanno aumentato le disuguaglianze e destabilizzato economie già fragili, ignorando che l’efficacia delle politiche di sviluppo richiede un adattamento attento ai contesti locali.
L’ascesa di nuove potenze e il declino dell’universalismo
Negli ultimi decenni, due fattori principali hanno minato ulteriormente la credibilità dell’universalismo economico. Primo, la rapida crescita di economie emergenti come Cina e India, che hanno seguito modelli economici radicalmente diversi da quelli occidentali, dimostrando che il successo può essere raggiunto anche tramite interventi statali mirati, gradualismo e apertura selettiva ai mercati globali. In secondo luogo, l’insuccesso delle riforme top-down in Africa ha generato una crescente consapevolezza della necessità di politiche più flessibili e contestualizzate, capaci di tenere conto della diversità regionale e delle dinamiche locali di governance e produzione
Policy evaluation sperimentale: la svolta verso il basso
La metodologia sperimentale, premiata con il Nobel per l’Economia nel 2019 grazie al lavoro di Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer, rappresenta una svolta fondamentale. Questa metodologia propone di testare politiche di sviluppo su scala ridotta prima di applicarle diffusamente. In Africa tale approccio ha permesso di individuare strategie efficaci nei settori cruciali dell’istruzione, della sanità e del microcredito, valorizzando interventi mirati basati sulle specifiche esigenze delle comunità locali. Questo approccio sperimentale si allinea con le idee di Easterly, secondo cui il successo dipende da un profondo radicamento nel tessuto sociale locale e da incentivi ben allineati. Le politiche devono infatti partire dalle reali esigenze delle comunità locali, coinvolgendo direttamente la popolazione. L’approccio “bottom-up” suggerisce interventi piccoli, diffusi e fortemente integrati nel tessuto sociale locale, puntando sull’empowerment diretto delle comunità e sul coinvolgimento attivo dei cittadini nella definizione e gestione degli interventi di sviluppo.
Verso un approccio sussidiario
L’approccio allo sviluppo bottom-up sotto alcuni punti di vista può essere considerato un pieno approccio sussidiario che valorizza pienamente l’iniziativa dal basso della società civile. Tuttavia occorre considerare che in Africa il concetto di sussidiarietà assume una forma particolare. Se in Europa la sussidiarietà fa perno sui corpi intermedi della società quali sindacati, associazioni imprenditoriali o di volontari, in Africa spesso prevalgono reti tradizionali: clan, famiglie estese, capi villaggio, leader religiosi. Affidarsi a queste strutture tradizionali permette di sfruttare reti di fiducia già esistenti, anche se talvolta presenta rischi legati a disuguaglianze di genere o clientelismo.
Molte iniziative della cooperazione internazionale valorizzano questa rete. Ad esempio, le iniziative educative di AVSI coinvolgono famiglie, scuole e leader locali, favorendo lo sviluppo di una cultura educativa diffusa che è efficace in quanto pienamente inserita nelle caratteristiche delle realtà locali.
Sul lato dell’imprenditorialità la tecnologia sta fornendo un contributo essenziale consentendo di superare diverse barriere allo sviluppo.
Uno dei fattori che ha da sempre frenato lo sviluppo economico dell’Africa è costituito dalla scarsità della dotazione infrastrutturale. Mancano reti di trasporto adeguate, reti di telecomunicazioni efficaci ecc. I limiti infrastrutturali hanno costituito un freno deciso allo sviluppo del commercio ma anche dei servizi fondamentali come lo sviluppo di una rete bancaria di tipo tradizionale.
La crescita delle reti mobili ha consentito di superare molte di queste barriere. Da una parte le reti mobili hanno potuto superare il gap costituito dall’assenza di una rete fisica di telecomunicazioni favorendo anche uno sviluppo efficiente di una rete di trasmissione dati e consentendo di raggiungere località remote. Dall’altra hanno favorito lo sviluppo di reti di servizi innovativi. Nel sistema bancario, ad esempio, la diffusione degli smartphone ha favorito lo sviluppo delle attività di mobile banking anche in assenza di una rete bancaria di tipo tradizionale.
Un esempio in questo senso è costituito da M-Pesa, una piattaforma di mobile banking nata in Kenya ma che si è successivamente sviluppata in altri paesi e che ha rivoluzionato il sistema finanziario locale, permettendo a milioni di persone di accedere facilmente a servizi bancari tramite telefono cellulare, creando opportunità per piccole imprese e microimprenditori.
Sempre in Kenya si è sviluppata Twiga Foods, un’azienda innovativa B2B che collega direttamente agricoltori locali e commercianti urbani attraverso una piattaforma digitale, eliminando intermediari e migliorando la redditività dei produttori agricoli. Questa iniziativa consente ai numerosi piccoli produttori di superare i limiti derivanti dalla scarsa dimensione mettendoli in contatto con una rete di distributori.
In un ambito diverso la società multinazionale Zipline ha iniziato a sviluppare una rete logistica di droni per le consegne di materiale critico (ad esempio medicinali e sangue) in aree difficilmente accessibili. Dopo Rwanda e Ghana la società ha iniziato ad offrire il servizio in Nigeria, Costa d’Avorio e Kenya superando alcune criticità endemiche della rete di trasporto africana.
Questi esempi testimoniano di come, grazie alle nuove tecnologie, in Africa stiano nascendo una serie di iniziative imprenditoriali che riescono a superare gli ostacoli tradizionali per offrire reali opportunità di sviluppo locale.
Conclusioni
L’Africa si trova oggi al centro di una sfida epocale: conciliare crescita demografica e sviluppo economico sostenibile. L’Africa al contempo rappresenta oggi il laboratorio più importante per mettere alla prova modelli di sviluppo più efficaci e sostenibili. Superato il fallimento dell’universalismo del Washington Consensus, il futuro passa da un approccio sperimentale e “dal basso”, che valorizza la complessità e le potenzialità delle comunità locali. La sfida resta trovare il giusto equilibrio tra rispetto delle tradizioni e affermazione di diritti universali, ma la strada della sussidiarietà e del coinvolgimento diretto delle popolazioni africane appare sempre più promettente.
Foto Avsi