Il 16 giugno 1999, in occasione del suo insediamento come Presidente del Sudafrica, Thabo Mbeki ha proclamato che “il ventunesimo secolo sarà africano”. Queste parole profetiche sono sintomatiche del discorso di legittimazione che Mbeki ha costruito intorno all’idea di un rinascimento del continente africano. Il “rinascimento africano” è così diventato gradualmente un tema chiave nel lessico politico africano.
Pur consapevole del fatto che il continente abbia sempre avuto delle parole d’ordine ideali per alimentare l’azione, il “rinascimento africano” deve appoggiarsi su di un’analisi rigorosa dei dati di realtà e su di un approfondimento senza compiacimento dei rischi e delle opportunità. Il mutarsi graduale della percezione collettiva da un’Africa stagnante, terra di conflitti, fame e siccità alla descrizione di un “continente del futuro” deve mantenere un’adesione stringente ai dati dell’economia, della geopolitica e delle evoluzioni socio-culturali delle afriche in costante movimento. Tra afro-pessimismo deprimente e afro-ottimismo militante dobbiamo privilegiare l’afro-realismo, attenti a seguire con apertura epistemologica le “rerum novarum” (la pentola africana che bolle) che la storia contemporanea offre all’occhio dell’osservatore vigile.
Il dividendo demografico
Nel 2000, la Banca Mondiale ha pubblicato un libro influente che poneva la domanda: può l’Africa affermarsi nel XXI secolo? (Banca Mondiale, 2000). Si trattava di una domanda pertinente all’epoca, poiché l’Africa aveva vissuto due decenni di stagnazione economica tra il 1980 e il 2000. Nel 2000 i cittadini africani erano in media più poveri in termini reali rispetto a due decenni prima.
L’Africa subsahariana è una regione estremamente diversificata, composta da paesi a reddito basso, medio-basso, medio-alto ed alto – 22 dei quali sono fragili o colpiti da conflitti – e 13 piccoli stati caratterizzati da una popolazione ridotta, con capitale umano e territorio limitati. Vantando ricche risorse naturali, la più grande area di libero scambio del mondo e un mercato di 1,2 miliardi di persone, il continente può creare un nuovo percorso di sviluppo, sfruttando il potenziale delle sue risorse e delle sue persone.
È dall’inizio del secolo, quindi, che l'Africa sta emergendo dal punto di vista economico, politico, sociale e tecnologico. È da notare che dal 2020 una percentuale sempre maggiore di persone fa parte della classe media rispetto al decennio precedente e i risultati dello sviluppo relativi alla salute e all’istruzione sono migliorati notevolmente negli ultimi due decenni. L’Africa è ora governata molto meglio rispetto ai primi quattro decenni dopo l'indipendenza, quando i regimi autoritari abbondavano in più della metà degli Stati africani (Rotberg, 2013). Molti di questi regimi autoritari in Africa sono crollati negli anni ‘90 e sono stati sostituiti da regimi più democratici, nonostante le involuzioni autoritarie registrate in alcuni paesi.
Dal punto di vista demografico, secondo le previsioni delle Nazioni Unite, nel 2050 l’Africa avrà quasi 2,5 miliardi di abitanti: più del 25% della popolazione mondiale sarà africana. Anche se la crescita demografica rallenterà, l’Africa rimarrà il principale motore della crescita demografica globale: si prevede che rappresenterà quasi il 40% della popolazione mondiale entro la fine del secolo. Nel corso dei prossimi tre decenni, la regione registrerà l’aumento più rapido della popolazione in età lavorativa tra tutte le regioni, con un incremento netto previsto di 740 milioni di persone entro il 2050. Con una popolazione giovane e un PIL complessivo stimato a 2,96 trilioni di dollari nel 2022, l’Africa è pronta a diventare il più grande mercato in crescita al mondo per beni e servizi di consumo.
Il continente potrebbe anche fungere in questo modo, da risorsa primaria per i talenti, esportando nativi digitali e manodopera qualificata nel resto del mondo. Questo brillante futuro, tuttavia, potrà realizzarsi solo se le istituzioni educative della regione, sostenute da investimenti governativi e privati, saranno in grado di fornire la necessaria istruzione scolastica, la formazione delle competenze e i servizi correlati: un compito che potrebbe richiedere fino a 17 milioni di educatori professionali aggiuntivi.
Dalla stagnazione alla crescita economica
In Africa, l’economia è cresciuta di almeno il due per cento pro capite dal 1996. La percentuale di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà (reddito di 1,25 dollari al giorno) è scesa dal 59% nel 1993 al 48% nel 2005; il commercio e gli investimenti sono più che raddoppiati e i rendimenti finanziari degli investimenti sono molto più elevati. La crescita della popolazione e i tassi di fertilità stanno diminuendo, i tassi di alfabetizzazione stanno migliorando e la diffusione di nuove tecnologie ha creato nuove opportunità per l'imprenditoria e le imprese private. Sebbene questi cambiamenti siano impressionanti e siano stati sostenuti a lungo, non sono ancora definitivi, né si riscontrano nella maggior parte delle nazioni africane. Nell’Africa subsahariana 22 Paesi sono considerati “fragili” o “colpiti da conflitti”. Il 53% dei Paesi dell’Associazione Internazionale per lo Sviluppo (IDA) nella regione è ad alto rischio o è già in sofferenza debitoria; in particolare, si stima che ogni anno nei prossimi decenni entreranno nel mercato del lavoro circa 12 milioni di giovani, ma ogni anno vengono creati circa 3 milioni di nuovi posti di lavoro retribuiti in modo formale.
Nonostante questo, l’Africa continua a registrare un’enorme crescita e ha recentemente attirato l’attenzione degli investitori stranieri, sia orientali che occidentali. Il continente vanta innumerevoli risorse naturali. Anche per questo, si prevede una crescita economica del 4% nel periodo 2025-2026.
Crescita senza sviluppo
La Banca Mondiale lancia l’allarme in un rapporto pubblicato a metà aprile 2024 sulla situazione economica dei Paesi più poveri del mondo. La metà di questi 75 Paesi, sparsi in diversi continenti, si trova nell’Africa subsahariana, ma ci sono anche Paesi dell’America Latina e dell’Asia. In essi vive un quarto della popolazione mondiale (1,9 miliardi) e soprattutto il 70% delle persone che vivono in estrema povertà (con meno di 2,15 dollari al giorno), per appena il 3% del prodotto interno lordo mondiale (Aude Martin 2024).
Secondo il rapporto, la crescita dovrebbe rimbalzare al 3,4% nel 2024 e al 3,8% nel 2025, rispetto al 2,6% del 2023. Tuttavia, questa ripresa è precaria. Sebbene l’inflazione stia scendendo nella maggior parte delle economie dell’Africa subsahariana, passando da una media del 7,1% nel 2023 al 5,1% nel 2024, rimane elevata rispetto agli standard pre-COVID. Inoltre, anche se l'aumento del debito pubblico rallenta, più della metà dei governi africani è alle prese con problemi di liquidità esterna e livelli di debito insostenibili.
Nel complesso, gli attuali tassi di crescita nella regione non sono sufficienti a creare un numero sufficiente di posti di lavoro di qualità per far fronte all’aumento della popolazione in età lavorativa. Creare opportunità di lavoro per i giovani porterà a una crescita inclusiva e trasformerà il boom demografico del continente in un dividendo economico. “La notevole opportunità offerta dalle transizioni demografiche osservate in altre regioni sottolinea l’urgenza della sfida occupazionale nell’Africa subsahariana”, spiega Nicholas Wooley, economista della Banca Mondiale, che ha contribuito alla stesura del rapporto.
“Sono le persone più povere e vulnerabili della regione quelle che continuano a sostenere il costo economico di questo rallentamento, con una crescita debole che incide sul ritmo di riduzione della povertà e sulla crescita dell’occupazione”, spiega Andrew Dabalen, capo economista della Regione Africa della Banca Mondiale. “Con fino a 12 milioni di giovani africani che entrano nel mercato del lavoro ogni anno in tutta la regione, è più urgente che mai che i responsabili politici trasformino le loro economie e portino la crescita ai loro cittadini attraverso posti di lavoro migliori”.
Il salto digitale
Una cosa appare certa. L’Africa passerà rapidamente alla tecnologia digitale. Questo avverrà più rapidamente di quanto molti attualmente si aspettino. Il settore tecnologico digitale africano, che comprende software, cloud e servizi internet, ha registrato una crescita enorme dal 2010. Attualmente, il tasso di crescita quinquennale è del 47%. La penetrazione di Internet è decuplicata negli ultimi 12 anni e l’economia della rete raggiungerà i 712 miliardi di dollari entro il 2050.
In tutto il continente sono attivi più di 600 hub digitali e tecnologici, tutti con notevoli progressi nella promozione dell’innovazione e con la partecipazione di aziende nazionali e globali. I maggiori cluster di attività digitali si trovano in Egitto, Kenya, Nigeria e Sudafrica, con Ghana, Marocco e Tunisia alle spalle.
Nel complesso, queste nuove realtà hanno contribuito a una narrazione di “Africa rising” che viene sempre più audacemente interiorizzata dai cittadini e dai governi. L’Africa emergente si è anche sforzata di affermarsi sulla scena globale e di far fronte alle nuove realtà presentate dalla globalizzazione
I cantieri delle nuove Afriche
Dal punto di vista politico, occorre archiviare gli entusiasmi esagerati dei processi di democratizzazione che non hanno portato democrazia ma “democrature” pressoché ovunque, persino nel Senegal. Organizzare elezioni, avere formali istituzioni scimmiottate da modelli extra africani, imitare modelli autocratici cinesi o russi, non rispettare la libertà di stampa, rendere eterna la permanenza al potere, mettere la museruola agli oppositori, “clochardizzare” un intero popolo nelle città e nelle campagne non significa democratizzare l’Africa. Trentaquattro anni di inganno democratico (1990-2024) devono cessare. E, nella loro complessità e ambiguità, i colpi di stato dicono della stanchezza e delusione dei popoli nei confronti di questa parodia di democrazia dell’uomo solo al comando. Si riparta da zero con l’affermazione solenne che non c’è democrazia senza l’accesso di tutti ai beni essenziali. “Basic needs are basic rights” (i bisogni essenziali sono diritti fondamentali) deve diventare il solco dei processi della nuova democratizzazione del continente. E questa scelta la devono fare gli africani senza l’alibi del cattivo colonizzatore che opprime. Un autentico percorso di democrazia prima ridà la vita alla maggioranza poi cerca le vie istituzionali per la partecipazione e la gestione del potere.
E le scelte geopolitiche non possono che essere coerenti con le due sfide economiche e politiche. Si declama spesso che l’Africa vuole e pretende partenariato. Bene. Ma sulla base di quale progetto afrocentrico? Quale parametro per scegliere i partner globali?
Spesso abbiamo visto che si uccide il padre coloniale per presto cercarne un altro diverso ma con le sembianze somiglianti a quello cacciato. La natura ha orrore del vuoto. L’Africa è chiamata alla sfida di esprimere il proprio progetto, ossia come intende finalmente vivere da sé e per sé. È incoraggiante l’adozione dei paesi africani del multi-allineamento funzionale, ossia scegliere i partner in funzione dei propri interessi e progetti. Ma occorre allora che la visione e le strategie afrocentriche siano ben definite e perseguite con coerenza.
Tutto ciò passa per la fine dei conflitti destabilizzanti di intere aree regionali come quelli del Sudan e del Congo e attraverso il perseguimento di modelli politico-istituzionali “inculturati”, in grado di soddisfare l’anelito di partecipazione, di pluralismo e di buon governo reclamato dalle piazze africane, a cominciare dai giovani.
“Con la libertà vengono le responsabilità, e io non oso indugiare: il mio lungo cammino non è ancora finito”. Così concluse Nelson Mandela la sua monumentale autobiografia Lungo cammino verso la libertà. Sessantaquattro anni dopo le indipendenze è arrivato per gli africani e i loro dirigenti il tempo delle responsabilità. Quel tempo cioè dove si misura il peso delle proprie scelte e si forgia una visione per il presente e il futuro.