Perché tanta resistenza a una maggiore integrazione da parte dei cittadini europei, quando gli eventi globali paiono imporla? Nell’affrontare le diverse crisi che sta attraversando il Vecchio continente, da quello della competitività, a quello dell’innovazione, da quello dell’instabilità politica a quello demografico, non bisogna dimenticarsi che solo da una società forte e solidale possono svilupparsi anche le dimensioni istituzionali ed economiche.
In questo periodo confuso e difficile, in cui il mondo ha impresso un’accelerazione nel cambiamento dei suoi assetti, inquietudine e incertezza non aiutano a investire sul futuro, ma portano a chiudersi in se stessi.
Nessuno Stato europeo, da solo, può però affrontare le sfide economiche, sociali e ambientali che interessano tutti i Paesi del mondo, e può trovare una soluzione alle tensioni nei rapporti tra i blocchi d’interesse presenti e quelli futuri.
Secondo una rilevazione di YouGov di fine 2023, che valutava il parere degli europei su un’ipotesi di integrazione maggiore, ma a partire da un nucleo di solo alcuni Paesi, il 19 per cento degli italiani si è detto favorevole al livello di integrazione più alto, il 14 per centro opterebbe per il livello di integrazione inferiore e il 15 per cento aspirerebbe addirittura ad essere fuori da ogni integrazione. Il 31 per cento dei tedeschi vorrebbe essere nel cerchio maggiormente integrato, a cui parteciperebbe solo il 15 per cento dei francesi, a fronte del 17 per cento dei connazionali che desidererebbe avere un livello inferiore di integrazione.
Ad essere più europeisti sono gli spagnoli, con il 39 per cento che vorrebbe appartenere al gruppo più integrato, contro solamente il 5 per cento che eviterebbe ogni integrazione.
Sembra impossibile ai cittadini europei riuscire a cedere sovranità all’Unione per costruire un soggetto politico che possa giocare adeguatamente una funzione che nel mondo può essere solo sua.
Che fare di fronte a questa resistenza verso un passo che la storia impone?
Uno dei nodi poco sottolineati è che lo stato sociale, o welfare state, non è un lusso di cui si può disporre a un certo livello di crescita, ma un fattore fondamentale dello sviluppo.
Welfare universalistico e lotta a povertà e disuguaglianza in tutti i settori sono le basi dello sviluppo e di un’autentica democrazia. Le disuguaglianze, in particolare nel campo del lavoro, creano una società che provoca instabilità, rancore, solitudine e mancanza di coesione.
Particolarità del sistema europeo è il suo modello di Stato sociale, un unicum nel panorama internazionale, che non va perso. Sanità, istruzione, assistenza, condizioni di lavoro, previdenza, tutele contro la disoccupazione, lotta alla povertà sono da pensarsi assieme ai modelli che affrontano il debito e la produttività. E non possono avvenire senza un solido partenariato tra istituzioni, mondo industriale, terzo settore ed economia civile. In altre parole, in una visione che è alta sintesi politica.
Questa è la differenza che l’Europa può porre nel mondo, indicando la necessità di cambiare il paradigma economico che ha legato in questi ultimi trent’anni il mercato unico all’ideologia del neo liberismo. Sviluppo non è solo crescita.
Il mito che il libero mercato avrebbe creato automaticamente lo sviluppo delle democrazie è venuto meno come dimostra l’insorgere di autocrazie e il crollo della partecipazione alle elezioni.
Per questo, il documento di Enrico Letta, “Much more than a market”, di cui si è parlato il 24 giugno in un seminario promosso dalla Fondazione per la Sussidiarietà può segnare un cambio di rotta. Secondo tale studio, una maggiore integrazione del mercato europeo, indispensabile per riprendere competitività, viene vista in funzione di una maggiore promozione di istruzione, ricerca e innovazione, per "giocare in grande", nei settori che contano e che hanno bisogno di dimensioni adeguate; migliorare il livello dei territori e dei sistemi di impresa locali e la condizione di vita dei cittadini; razionalizzare le normative, semplificare le procedure, velocizzare le azioni; estendere l'influenza dell'UE sulla scena mondiale.
Si apre così il tema dello sviluppo del mercato unico in funzione di un progetto comune di tutta l’Unione europea sul welfare state.
Quando l’Europa è stata chiamata a combattere contro la pandemia ha dimostrato la sua forza, la sua reattività e la sua anima. Adesso è arrivato il momento di affrontare i problemi del lavoro, della disuguaglianza e della sanità in modo unitario.
*Per gentile concessione de Il Sole 24 Ore