L'Italia destina alle infrastrutture di trasporto appena lo 0,5% del prodotto interno lordo, quasi la metà rispetto ai maggiori partner europei come Gran Bretagna (0,9%), Francia (0,9%) e Germania (0,8%), in base ai più recenti dati disponibili (2021), mentre la Spagna (0,5%) è in linea con noi. Dal 2010 al 2020 l'Italia ha speso per la costruzione e manutenzione di infrastrutture di trasporto circa 98,3 miliardi di euro. Gli investimenti hanno superato i 227 miliardi di euro in Germania, 223 in Francia e 186 in Gran Bretagna. Solo la Spagna ha fatto meno con 90 miliardi di euro.
È quanto emerge dal Rapporto “Sussidiarietà e… governo delle infrastrutture”, realizzato dalla Fondazione per la Sussidiarietà (FPS), che sarà presentato il 7 novembre in Unioncamere a Roma con l'intervento di Raffaele Fitto, Ministro per gli Affari Europei, le Politiche di Coesione e il PNRR e Graziano Delrio, già Ministro delle Infrastrutture.
L'Italia è in coda nelle risorse per i progetti (indice 49 su 100) e nei processi di selezione e gestione dei fornitori (48), ma è al primo posto fra i maggiori paesi europei per la "visione strategica" nella realizzazione delle infrastrutture pubbliche (58). La "visione strategica" si basa su indicatori quali la capacità di pianificazione e coordinamento, il consenso politico, il coinvolgimento dei diversi soggetti e il monitoraggio.
"L’investimento in infrastrutture di qualità e nella loro gestione deve fare i conti con problemi quali la sostenibilità, il consumo di suolo e il coinvolgimento delle realtà locali", osserva Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, “ma bisogna superare la contrapposizione tra Stato centrale, amministrazioni locali e società civile e perseguire una vera cultura della sussidiarietà che consiste nel dialogo continuo tra diversi livelli di governo e tra questi e le comunità locali. In sintesi per raggiungere obiettivi che interessano il bene comune, le reti di cui ha bisogno l'Italia devono essere realizzate pensando a una prospettiva di lungo periodo, e coinvolgendo i territori e i corpi intermedi”.
Il Rapporto prende in esame la mobilità, l’energia, le risorse idriche e le telecomunicazioni. Lo studio ha l’obiettivo di verificare quanto “l’approccio sussidiario sia utile a cambiare contenuto e metodo dello sviluppo sostenibile” in questo settore. La cultura della sussidiarietà, infatti, introduce una dimensione di “responsabilità diffusa” per il bene comune, mettendo al centro il dialogo costruttivo tra comunità locali e amministrazioni centrali. Ci sono 5 fasi chiave da considerare: programmazione, progettazione, realizzazione, gestione e manutenzione. Con il dialogo e il coinvolgimento dei vari soggetti si migliorano i progetti e si snelliscono i processi. La chiave del successo è la sussidiarietà, sia verticale (i diversi livelli di governo) che orizzontale (i vari soggetti e il terzo settore).