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Tema Atlantide 44 . 2018 . 3

L’insegnamento del Papa nel solco della dottrina sociale della Chiesa

  • NOV 2018
  • Antonio Di Stasi

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La grande novità di Papa Francesco non sta in una rottura con la dottrina sociale della Chiesa, quanto piuttosto nello sviluppo di una lettura organica della società e del lavoro a partire dalla tradizione novecentesca.

 

Quando afferma il primato dell’uomo sul lavoro il Pontefice denuncia senza mezzi termini l’idea dell’asservimento e quindi la negazione della libertà umana.

Papa Francesco non nasconde che l’utilità comune debba prevalere sulle logiche che stanno alla base della proprietà privata e di fronte alla globalizzazione dei mercati e dell’economia contrappone la prospettiva di una mitigazione delle logiche predatorie, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

È l’elaborazione di questo papato che coglie, in modo così pieno, le connessioni e le relazioni con altri aspetti del vivere comune e dunque con la questione ambientale e con il diritto dell’uomo a spostarsi dal proprio Paese a un altro (movimenti preclusi ai poveri, ma mai ai ricchi e alle merci).

Non sembri blasfemo pensare a una sorta di lettura della società simile a quella prospettata nel secolo scorso dalla tradizione socialdemocratica; in fondo si tende sempre verso una sorta di patto tra produttori, capitale e lavoro, con al centro il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona attraverso l’accesso al lavoro (mezzo per la distribuzione della ricchezza).

Dunque, anche nella recente intervista sull’economia e sul lavoro, Papa Francesco è innovativo sicuramente in termini di lettura organica e per la volontà di sviluppare la dottrina sociale degli ultimi sessanta anni attualizzandone gli insegnamenti.

E allora, se si volesse passare sotto lenti critiche l’idea di una società in cui i lavoratori vengono rispettati e valorizzati, è sulla correttezza del presupposto che va posta l’attenzione.

In modo molto diretto, infatti, occorrerebbe chiedersi se sia ancora attuale la prospettiva del lavoro per tutti e quindi di una società fondata sul lavoro in cui capitalisti e lavoratori si rispettino e abbiano una comune visione di società fondata su principi di solidarietà umana.

Se la tensione verso la piena occupazione si reputasse non più raggiungibile e se il lavoro umano venisse sostituito in modo ineluttabile da macchine, con sempre più alta intelligenza artificiale, l’idea di una società tipica delle democrazie occidentali novecentesche rischierebbe di perdere i suoi fondamenti.

In conclusione, la domanda critica non può prescindere dalla constatazione che la ricchezza non trova più nel lavoro un sicuro veicolo di distribuzione. E se ciò fosse anche solo in parte vero, come si può passare da una giustizia sociale fondata sul lavoro a una giustizia sociale in cui la ricchezza viene riconosciuta sulla base dei bisogni fondamentali della persona e non dallo svolgimento (sempre minore e sempre più discontinuo) dell’attività lavorativa?

 

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