Nuova Atlantide N.12 - Giugno 2024
In questo numero di Nuova Atlantide i contributi che ospitiamo accendono l’attenzione su parole che pesano: storia, imprevisto, guerra, disordine, ordine, disuguaglianza, disequilibrio, impero, democrazia, popolo. E altre che il lettore rintraccerà sicuramente. Oggi, per così dire, ci sono termini che non si possono scansare quando s’intende riflettere sul mondo che viviamo. Anzi, meglio, sui mondi. Laddove, la pratica riflessiva ci dovrebbe portare a riconoscere che le incognite vengono a sovrastare di gran lunga le certezze. D’altronde, questo è un tempo di inciampi globali, di inediti, di un presente complicato con cui interagire. Con una guerra che impatta nel cuore dell’Europa da oltre due anni e di nuovo una ferita grande in Medio Oriente dopo la mattanza di Hamas del 7 ottobre 2023 e la risposta dell’esercito israeliano nella striscia di Gaza. Conflitti che calamitano conflitti. In un pianeta nel quale, a onor del vero, i conflitti si sprecano: li chiamano a bassa intensità… Lo scenario è quello di alleanze che si sono sciolte e altre che si vanno a formare. Di battaglie commerciali senza esclusione di colpi, le più eclatanti e spettacolari riguardano il controllo delle rotte marine (Vincenzo Pisani). E già sono più che narrazione fantascientifica quelle spaziali. È il domino planetario che prelude a nuovi dominii possibili nella crisi degli imperi per come li abbiamo conosciuti.
La giusta distanza dal determinismo storico
Trasversalmente letti gli articoli comunicano – per i motivi cui è si è fatto appena riferimento – come questa non è proprio una fase della storia che favorisca ragionamenti a bocce ferme. E, forse, questo andamento tellurico, contribuisce a cogliervi più motivi d’interesse. Si tratta di interventi che rischiano ipotesi supportate da analisi scientifiche, alimentate saggiamente dalle grandi domande che incalzano. E il titolo che abbiamo voluto dare a questo monografico per ovvi motivi “problematico” – aggrappandosi al metodo di far tesoro delle domande – traduce l’esigenza di indicare una prospettiva che provi a mantenere la giusta distanza da quel diffuso pensiero portato a scivolare in un determinismo inscalfibile, dove tutto è letto e interpretato solo alla stregua di connessioni necessarie e invariabili.
Dunque, il titolo questo monografico: Nuovo disordine mondiale. Un imprevisto per cambiare la storia?. Certo, nella titolazione c’è subito la fotografia: nuovo disordine mondiale. Però c’è una seconda frase – interrogativo che rende “mossa” la fotografia, che la sfuoca, che la scalfisce: un imprevisto per cambiare la storia? Sì, con il punto interrogativo, anche qui per evitare la tentazione delle scorciatoie apodittiche. Che non funzionano mai, figurarsi quando si ragiona su questioni storiche, su sfide globali di tale rilevanza.
L’editoriale di John Zucchi accetta la provocazione di mettersi sulla strada tenendosi alla larga, per l’appunto, dalla scorciatoia. Si confronta vis à vis con il nostro titolo e nello svolgimento – attraverso riferimenti a vicende precise di assoluto significato – invita a prendere in considerazione la possibilità che storia e imprevisto abbiano relazioni sorprendenti, che si connotino come poli d’attrazione piuttosto che poli confliggenti, che si respingono. Insomma, che fra storia e imprevisto possa correre buon sangue.
I temi sociali dimenticati
Il punto di partenza, allora, si fa interessante, perché si sparigliano un po’ le carte. E nel dialogo con Nadia Urbinati emerge il suggerimento di andare prima di tutto a vedere quali carte hanno oggi in mano i cosiddetti imperi entrati in sofferenza. I motivi per cui paiono proprio essersi… incartati. Indagando la situazione interna di ciascuna realtà. Affrontandone le molteplici criticità che destabilizzano le superpotenze democratiche (in primo luogo gli USA) come le autocrazie e dittature vedi, ad esempio, la Cina e la Russia. Il dialogo ha preso la forma di una lezione in movimento. Urbinati si sofferma sulla crisi dei partiti e in generale delle rappresentanze; sullo strappo avvenuto con i popoli, sulle ragioni di un malessere che sembra colpire l’istituto della democrazia e sulla chance che hanno nel presente le realtà associative nel darsi forme di autogoverno per rilanciare la centralità dei temi sociali. Un elogio della funzione fondamentale dei corpi intermedi la cui marginalità non ha giovato al bene comune.
E, a proposito, di impero tendenza USA, oltre ai citati pensieri di Urbinati (e nel dialogo ce ne sono molti e intensi), nel numero troviamo le osservazioni di Marta Dassù che guarda agli Stati Uniti attraverso l’osservatorio europeo; e, dall’interno, quelle di Amy Sapenoff Hamm che, nello specifico, si sofferma sul fenomeno tracimante della polarizzazione della contesa politica i cui effetti sono evidenti in un processo di disaffezione della società civile vieppiù sfiduciata.
Già, i temi sociali. Sembrano quelli più trascurati. Carte che non si vogliono colpevolmente scoprire. Come il dramma delle disuguaglianze. Branko Milanovi, indiscussa autorità nel campo, spiega che a livello globale negli ultimi venticinque anni la questione disuguaglianze si è certo ridotta mentre, al contrario, si è incrementata in ogni singolo Paese. E questo dato produce il deficit della disuguaglianza delle opportunità. Materia scottante e chi di dovere dovrà pure scottarsi una buona volta. Nell’impero cinese, spiega Alessia Amighini, la disuguaglianza è infatti in continuo incremento. Il Partito prova a tenere sotto traccia i numeri che la attestano, tuttavia il malcontento è palese anche se, per ovvie ragioni, fatica a esplicitarsi se non in misura sporadica. Il Partito è responsabile di questo aumento. Perché le sue iniziative sono state tutte indirizzate a favorire la creazione di benessere per una classe media progettata a tavolino. E questo ha prodotto disuguaglianze non solo tra chi vive nelle città e chi nelle campagne ma anche all’interno delle stesse metropoli. Una frattura con inevitabile ricaduta sull’economia reale, come dimostra il calo dei consumi. E, infatti, nessuno oggi crede alla possibilità di un incremento del 5% del PIL come da annuncio recente del presidente Xi Jinping.
Insieme al tema delle disuguaglianze, nel numero di Nuova Atlantide grande spazio si è dedicato ad un altro aspetto di portata globale: la questione demografica. Gian Carlo Blangiardo snocciola numeri e percentuali interpretandoli. L’Europa, e questa non è una sorpresa, risulta essere il fanalino di coda. Ma tale deficit sta colpendo in misura importante anche, ad esempio, la Cina. Laddove, in assenza di riforme che non si vedono, il calo drastico delle nascite dovuto alla politica del “figlio unico” avrà conseguenze drammatiche in fatto di welfare (sistema pensionistico e assistenza sanitaria) e di manodopera giovane sul lavoro.
Quale Europa
Dunque, tutto parrebbe concorrere alla conformazione di un nuovo disordine mondiale. La confusione è grande sotto il cielo della post globalizzazione. E con gli imperi in difficoltà per le più diverse ragioni – ad esempio Aldo Ferrari racconta della Confederazione russa accettando, suo malgrado, di definire la Russia attuale come un impero – diventa non banale capire se l’Europa potrà comunque recitare la sua parte. Se, nel riassetto globale, avrà un ruolo da protagonista, da comprimaria oppure da comparsa. Va detto che l’affermazione di un possibile nuovo mondo ad assetto multipolare potrebbe aprire spiragli interessanti per l’Unione Europea. Il multilateralismo è una variabile nel riassetto globale che non può essere trascurata. Eppure, il dibattito sui temi che include il multilateralismo e le sue ipotesi di riforma per il momento rimangono riservati a un numero ristretto di addetti ai lavori e di specialisti. Al punto che le stesse questioni in agenda al summit ONU (Il Vertice del Futuro) previsto per il mese di settembre 2024 appaiono fuori registro nel dibattito pubblico, come spiega Luigi Di Marco. Il che è grave perché quell’appuntamento è stato convocato per stabilire nuovi patti e dichiarazioni allo scopo di individuare indirizzi percorribili per affrontare efficacemente sfide cruciali quali la disparità digitale, la protezione delle generazioni future e la sostenibilità ambientale.
L’UE vive una situazione non semplice, le criticità innumerevoli. Tutti gli interventi dicono con chiarezza, entrando nel merito delle contraddizioni, che questa è un’Europa che non funziona. C’è chi è più orientato al pessimismo o al disincanto e parla addirittura di “bluff Europa” in quanto il Vecchio Continente è tutto fuorché soggetto geopolitico (Caracciolo) e chi invece non ci sta a buttare via il bambino con l’acqua sporca, e invoca riforme strutturali a tutto campo: Enrico Letta (urge una quinta libertà per un’impronta innovativa e competitiva al mercato unico); Moavero Milanesi (l’Europa per la sua natura e storia deve fungere da elemento equilibratore e di pacificazione); Mangiameli (è il momento di ragionare sulla creazione di un governo europeo); Montanini (interpretare la sfida UE dal punto di vista del futuro finanziario e inserire questa fondamentale partita nel contesto delle “policrisi”); Violante (con le democrazie ormai largamente minoritarie l’Europa si trova a doverci fare i conti visto che al suo interno non poche realtà adottano posizioni illiberali); Ignazio Visco (l’UE deve affrontare seriamente tre criticità: l’emergenza demografica, il gap tecnologico e un mercato per davvero unico). E anche Gianluigi Da Rold insiste sul tasto della democrazia. La sua riflessione ne fa risalire la diffusa messa in discussione a motivi culturali e a precisi accadimenti storici. Un progetto dall’alto che nel tempo è riuscito a contaminare in Occidente società civile e partiti politici.
Uomini nella storia
Tutto previsto, quindi? Tutto secondo i piani, grandi o piccoli che siano? Le analisi che poniamo all’attenzione sono elementi di ricchezza. Che provocano a mettersi in gioco. I tornanti della storia si affrontano e certo non è già tutto deciso in partenza. In tal senso qualcosa di non scontato arriva dalla nuova Cambogia post dittatura Pol Pot (riflessione “dal vivo” di padre Alberto Caccaro). E qualcosa di solido, di imprevedibilmente sostanzioso, si raccoglie dal pensiero di John Zucchi che scrive così: «La storia segue un percorso ineluttabile? Può un individuo cambiare un corso che sembra essere inevitabile? Può una persona fare la differenza? È difficile da ‘dimostrare’. Possiamo facilmente sostenere che la lungimiranza, la personalità, l’autorità o l’intelligenza di qualcuno siano state determinanti nel condurre la storia in una direzione o in un’altra. Tra i politici si pensi all’importanza di Adenauer, Schumann o De Gasperi per l’Europa del dopoguerra. Oppure alla capacità di Roosevelt di comunicare agli americani durante la Grande Depressione e all’influenza positiva che ciò ha avuto sul Paese».
Così, l’imprevisto fatto uscire dalla porta rientra dalla finestra. Perché l’imprevisto non è un incidente della storia. L’imprevisto sono uomini nella storia.
Buona lettura.