Trimestrale di cultura civile

L’Europa e la sfida della post democrazia

  • GIU 2024
  • Luciano Violante

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Le numerose guerre planetarie dicono che è in corso uno scontro globale per disegnare il nuovo ordine mondiale. Laddove i Paesi democratici sono ormai largamente in minoranza. Questa situazione pone domande pressanti all’Europa oggi attraversata da grandi tensioni interne. In gioco, nella scomposizione dei blocchi e nella generazione di quelli nuovi, c’è il suo destino. Il suo protagonismo. Il suo poter svolgere il ruolo fondamentale di terzo polo sullo scacchiere internazionale. Anche per il fatto che il soggetto europeo è destinato a non poter più contare sull’appoggio privilegiato degli Stati Uniti.

Dopo l’omicidio di Pio Latorre il mio partito mi mandò in Sicilia per organizzare la lotta politica alla mafia. Fu fatto un grande manifesto che riportava scritto “lotta alla mafia in Sicilia, in Italia”, come se la Sicilia non fosse in Italia. Oggi avviene lo stesso nei confronti dell’Europa: non è ancora sentita come qualcosa di nostro. Quando parliamo di europei parliamo di 27 Paesi che parlano 24 lingue diverse, che non sono omogenei, alcuni dei quali sono prevalentemente industriali, altri agricoli, altri misti. In Europa ci sono regni, repubbliche presidenziali, repubbliche parlamentari, sistemi elettorali maggioritari, proporzionali. Quasi dappertutto c’è democrazia: unico continente con questa caratteristica.

Abbiamo la moneta unica. Possiamo viaggiare senza limitazione da un Paese all’altro. Unificarsi non è facile. Gli Stati Uniti hanno fatto la guerra civile per unificarsi. Ancora adesso i rapporti di Scozia e Irlanda con la Gran Bretagna non sono chiari. L’unificazione tedesca è stato un processo difficile, prevalentemente economico e politico.

Le grandi tensioni europee possono essere identificate in due assi. Quello che va da nord a sud e divide chi sostiene la responsabilità economica rispetto alla solidarietà economica. I Paesi del nord per la responsabilità, quelli del sud per la solidarietà. Naturalmente ci sono ragioni egoistiche dietro a questo: i Paesi del sud spendono più di ciò che potrebbero, quelli del nord non gradiscono di dover pagare queste spese con i loro contributi. L’altro asse è quello che va da Est a Ovest e divide chi è per la sovranità nazionale verso l’europeismo. I Paesi dell’Est sono, in generale, nazionalisti, quelli dell’Ovest più orientati a una sovranità europea.

L’Unione Europea non è una monade, sta nel mondo. Spesso ne parliamo come fosse un pezzo geografico espunto dal mondo, invece ne fa parte e ha a che fare con tutti i relativi problemi, tra cui le guerre. La postdemocrazia è una sfida per l’Europa, ne parlò Colin Crouch in un libro del 2005 (Postdemocrazia, ed. Laterza); in quelle pagine spiegò come le democrazie tradizionali si reggevano su alcuni assi come il Parlamento e il governo. Mentre, a un certo punto, sono intervenuti altri soggetti, che non rispondono a nessuno, ma che hanno la capacità di indirizzo politico e di condizionamento molto più forti dei Parlamenti. Sono grandi gruppi di interesse finanziari, tecnologici e massmediatici. Quindi, l’applicazione di regole democratiche senza la comprensione di queste realtà rischia di essere un paravento.

La più importante oligarchia è quella digitale. Microsoft, Google e Amazon controllano il 64% del mercato cloud infrastrutturale. Il 95% delle nostre caselle di posta elettronica è gestito da Apple, Microsoft e Google. Nel 1980 le prime imprese USA in termini di capitalizzazione erano IBM, Exon, General Electric, nel 2020 erano Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet (holding a cui fa capo Google), Facebook. Nello stesso anno, ciascuna delle 5 maggiori società tecnologiche valeva più delle 76 maggiori società energetiche messe insieme. Questi sono gli oligopoli. Se girassero gli interruttori si fermerebbe tutto. D’altra parte, anche loro hanno bisogno di noi perché devono venderci i prodotti.

La forza del pensiero

La postdemocrazia è anche un effetto della disintermediazione. La società analogica era costruita con grandi mediatori, partiti politici, sindacati, associazioni, famiglie, Chiesa, che erano mediatori dall’alto verso il basso, tenevano insieme la società attraverso lo scambio. I vecchi mediatori sostanzialmente creavano comunità pensanti, erano comunità pensanti. Il rapporto verticale era riconosciuto come tale, dall’alto al basso e viceversa. Io sono stato un dirigente del partito comunista: di fronte ai problemi ci si riuniva e si discuteva.

Dopo Tangentopoli c’è stata l’autodistruzione dei partiti e non c’è stato il coraggio di pensare al futuro. Bettino Craxi fu l’unico a capire che cosa stava davvero succedendo e disse che si doveva trovare una soluzione, altrimenti si sarebbe caduti in un disastro. In seguito il digitale ha cambiato la comunicazione che è diventata orizzontale. Mentre la vecchia intermediazione si basava sul principio di rappresentanza, la comunicazione orizzontale segue il principio di somiglianza: parlo con quelli che somigliano a me, che la pensano come me. La comunità che si crea non è una comunità pensante, ma in genere rancorosa. Prevale l’insulto sul consenso e, soprattutto, il follower non crede negli stessi valori, ma nei prodotti che deve comprare. Bisogna ricostituire comunità pensanti che siano in grado di guardare il tema del digitale in termini di quello che va detto o non va detto. La comunità non pensante gioca sul rancore, sul mettere link. Io credo che i centri di ricerca, di riflessione, i partiti, i sindacati… debbano recuperare il gesto fondamentale di riunirsi per pensare insieme. Ritengo che la risposta reale sia quella di ricostruire la forza del pensiero. Ci sono tante iniziative di questo genere in giro per l’Italia.

Noi abbiamo avuto dei maestri. Quando sono entrato in Parlamento, la prima lezione che ho ricevuto è che, statisticamente, è impossibile avere sempre ragione e l’avversario sempre torto. Oggi, l’insulto all’avversario è la cosa più frequente che ci sia, i social hanno aiutato questa deriva. Inoltre, i parlamentari devono conoscere il dolore delle persone, capire che cosa significa non avere i soldi per curare chi si ama. Scopo della politica è rispondere ai bisogni delle persone, al di là di quello che pensano. Ai miei tempi se qualcosa non funzionava, si andava a vedere e chi aveva bisogno sapeva a chi rivolgersi. Adesso, qualcuno ha il numero di telefono di Amazon o sa da chi è composto il cda di Google? Sono oligopolisti misteriosi. La loro forza consiste nel fatto che ci danno a costi accettabili servizi indispensabili, prendendo i nostri dati. Noi siamo una merce. Se gli stessi dati ci fossero chiesti dallo Stato ci sarebbe la gente in piazza.

Gli effetti di questo meccanismo sono che il principio dell’identità sociale e politica – in passato era fondato sull’appartenenza a una comunità – è stato sostituito con la somiglianza. Quello che è scritto sui social non è sottoposto a verifiche razionali – vero o falso, ragionevole o no – ma a verifiche di consenso: ho avuto tanti like, perciò va bene. Per avere i like devo “spingere”, non posso fare un ragionamento pacato sennò non lo legge nessuno. Questo è un meccanismo dissociativo. Come diceva don Luigi Giussani, siamo collettivamente soli. Siamo insieme ma in modo apparente, non realmente.

E l’Europa? Non è una monade isolata. Si parla già di condizionamento a più livelli di Cina e Russia. I flussi di migrazione, in questo momento, sono aumentati per l’influenza che sui Paesi africani ha la Russia, che ha tutto l’interesse nella destabilizzazione dell’Europa (e comunque stiamo spendendo tanti soldi per difendere l’Ucraina, ma ne dovremo spendere molti di più se dovessimo difenderci dalla Russia). Dobbiamo riflettere su quello che potrebbe aspettarci. È già stata presentata un’arma spaziale, strumento pericoloso perché disattiva gli strumenti di comunicazione sulla Terra.

In nessun Paese abbiamo assistito a una campagna elettorale europea, ma solo nazionale. Quando si parla di Europa, ci si annoia: “poi vediamo” si dice. Gli equilibri del mondo sono tali che nessun Paese europeo può resistere a Cina e Stati Uniti. L’Europa potrebbe essere il terzo blocco, ma senza una politica estera di difesa non possiamo esserlo.

Nel 2015 Papa Francesco disse che non siamo in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca. È così. È sotto ai nostri occhi. Pensiamo al peso – anche positivo – che il digitale ha sulle nostre vite. Nel 2001 il mondo occidentale andava alla grande, lo sviluppo cresceva, la finanza funzionava, c’era la grande utopia della globalizzazione a guida occidentale, ma quella che veniva chiamata globalizzazione era in realtà una occidentalizzazione del mondo. I Paesi occidentali ritenevano di avere il primato della finanza, della tecnologia, della democrazia e della conoscenza e pensavano di esportarla altrove. Gli stili di vita occidentali dominavano.

Tre presunzioni dopo l’11 settembre 2001

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 ci hanno danneggiato tre grandi presunzioni: l’idea di poter esportare la democrazia con le armi; in Medioriente ci sono Paesi diversi dai nostri nei quali il modello occidentale non può essere imposto. Seconda: il mito del libero mercato come presupposto necessario per lo sviluppo delle democrazie. In realtà, mentre la democrazia ha bisogno del mercato libero, il mercato non ha bisogno della democrazia. Si è visto in Cina. La democrazia ha bisogno che le merci circolino. Ma il mercato di per sé ha bisogno che ci sia qualcuno che lo diriga. La terza e ultima presunzione è che lo sviluppo digitale avrebbe messo in crisi i regimi autoritari.

Su questi dossier l’Europa non ha mai chiesto di avere voce. Il 9 marzo del 2000, Clinton chiariva il punto di vista americano sulla Cina. Innanzitutto, favorì l’ingresso della Cina nel WTO, convinto che, entrato in questo mercato, il governo cinese non sarebbe più stato per tutti allo stesso tempo datore di lavoro, padrone di casa, commerciante e altro; avrebbe avuto meno strumenti per controllare le vite umane. Il mondo avrebbe dovuto cambiare diventando come l’Occidente perché gli altri erano visti come dei paria. Dopo il 7 ottobre scorso Biden ha detto a Netanyahu: non fate gli errori che abbiamo fatto noi dopo l’11 settembre, ovvero entrare in una guerra senza poi riuscire a uscirne. La guerra in Afghanistan è costata agli Stati Uniti un trilione di dollari, 2300 morti e 3000 feriti. All’Italia, 1 miliardo di euro e 53 morti. All’Afghanistan 250 mila morti. L’abbaglio che abbiamo preso è pensare che i mercati sarebbero stati decisivi per tutto. Il più grande possessore di titoli americani è la Cina: possiede più di 1000 miliardi di dollari e titoli del debito americano.

Clinton pensò che la rete avrebbe democratizzato la Cina. Non è così. Nel 2017 il governo cinese ha pubblicato il piano di sviluppo per l’Intelligenza Artificiale di nuova generazione finalizzato ad assumere la leadership mondiale in quel campo strategico entro il 2030. In Europa non abbiamo nessun piano strategico sull’IA. Il documento appena approvato non è un piano strategico, ma una regolamentazione. Il problema dell’Europa è questo.

Oggi diventa ancora più urgente capire se c’è un’idea di Europa oppure no

La Cina è prima al mondo per temi di ricerca e documenti sull’IA, prima per brevetti, prima per investimenti in capitali di rischio, seconda per numero di aziende di IA. Nell’immaginario di Clinton sarebbe stata una grande forza liberale; oggi attraverso l’IA la Cina controlla tutti i suoi abitanti, con meccanismi di riconoscimento facciale e con sanzioni e “punti cittadinanza”; se ne perdi un certo numero non puoi prendere i treni ad alta velocità, i tuoi figli non possono frequentare le scuole migliori, ecc. Sanzioni pesanti. Pare che i cinesi siano contenti perché nessuno più delinque, però la libertà non c’è. In una reale democrazia lo scambio governo-libertà consiste nel fatto che il cittadino dà al governo i poteri e il governo fornisce ai cittadini sicurezza, diritti, libertà.

L’Europa deve costruirsi il futuro anche con progetti di IA. La crisi del Mar Rosso vede Italia, Francia, Grecia più impegnate. I Paesi del nord trovano più conveniente il passaggio a nord dove agisce in gran parte la Russia. Che discorso si sta facendo in Europa su questi problemi?

Dignità della vita e dignità della morte

Attualmente nel mondo sono in corso 59 guerre. I conflitti in cui non vengono impegnati direttamente gli Stati sono 170. Nessuna potenza è in grado di prevenire o chiudere una guerra. La UE sta avendo un ruolo militare in Ucraina; nessuno per ciò che riguarda Gaza e Israele. 59 guerre tra Stati significa che si stanno mettendo le basi per un nuovo ordine mondiale, che chi vince queste guerre farà parte del gruppo di nazioni in grado di condizionare il mondo. L’Occidente è in minoranza, solo il 20% della popolazione mondiale vive in democrazia. Nel 2000 le democrazie al mondo erano 83, oggi sono 24.

La proposta dell’ambasciatore ucraino di sospendere la Russia dal consiglio dell’ONU per i diritti umani ha avuto 93 voti favorevoli, 24 voti contrari (tra cui la Cina) e ben 58 astenuti.

Mi colpisce il fatto che oggi si parli molto di dignità della morte e non di dignità della vita. Non si può avere dignità della morte senza dignità della vita. Tutte queste guerre significano morte. Ma ci interessa? Il numero di suicidi aumenta, anche nelle carceri. Una persona si suicida perché non trova una via d’uscita e nessuno gliela propone. La questione della vita e della morte appartiene ai fondamentali dell’umanità. È un tema sacro, religioso o laico che sia. Oggi va posto al centro dell’attenzione un discorso serio sulla dignità della vita. Politiche del lavoro, della formazione, della famiglia, della sanità sono politiche di vita. Non sono pezzi scollegati.

Tutte queste guerre che abbiamo intorno, la diffusione dell’eutanasia, la crescita dei suicidi, tutti questi morti in mare… Alcune decisioni politiche hanno come effetto la morte, l’annegamento. Tu sei responsabile della scelta ma, invece, non rispondi delle conseguenze della scelta. Questo non è umano; siamo indifferenti nei confronti della morte. Questa perifericità della morte viene favorita da una mancanza di riflessione. Come non è oggetto di riflessione la vita; vita e morte sono in stretto rapporto: se c’è dignità della vita c’è dignità della morte. Se c’è rispetto della vita c’è rispetto della morte. La parola ha una funzione evocativa. Se non riflettiamo su questo siamo come gattini ciechi.

Quelli che hanno fatto la guerra di liberazione pensavano di vincere. Avevano di fronte i più grandi eserciti del mondo ed erano poveretti che non sapevano neanche sparare. Perché la loro era una battaglia ideale. Gli ideali sono fondamentali per la democrazia, che è fatta di valori. Le regole le hanno anche i regimi autoritari, i valori no. E se riteniamo che l’Europa sia un valore allora bisogna collocarci sul livello ideale della faccenda.

Le cose da non fare

1. Il negazionismo di fronte ai cambiamenti climatici. Un grande proprietario agricolo mi faceva presente che il grano è già cresciuto di 40 cm e se dovesse piovere adesso sarebbe un grave problema. Se la pioggia non cade quando dovrebbe è un disastro, non ci sarà grano e dovremo importarlo.

2. Il nazionalismo è contrario agli interessi nazionali perché non difende la collocazione italiana in Europa. È una battaglia tutta interna.

3. Dobbiamo sostenere la democrazia. La democrazia non è fatta di regole, ma attiene ai comportamenti dei cittadini. Ha bisogno di cittadini democratici. Il sindaco di una città può mettere tutti i recipienti di rifiuti che vuole, ma se i cittadini non li utilizzano…

Ci vogliono cittadini che si assumono anche dei doveri. La democrazia è faticosa. Il dovere è quello che tiene insieme una comunità. I diritti senza doveri portano a uno spappolamento della società, ma ormai chi parla di doveri nella società contemporanea? Nessuna autorità né religiosa, né laica, politica, spirituale. Se andassi a fare un comizio in piazza e parlassi di doveri nessuno mi ascolterebbe. Però dobbiamo trovare il modo di affrontare questo tema cruciale.

4. Non ridurre la questione africana al tema dell’immigrazione. Questo è un errore gravissimo. Il Piano Mattei contiene l’idea di parlare con i Paesi africani non per colonizzarli, ma per dare loro servizi.

5. Non esternalizzare le funzioni di difesa e sicurezza. Fino a che c’è stata la guerra fredda qualcuno ha difeso i nostri confini. Adesso il problema è più delicato e dobbiamo cominciare a pensare alla nostra difesa. Se Trump vincerà le elezioni il problema sarà ancora più drammatico. So che parlare di difesa vuol dire affrontare l’argomento degli strumenti militari, ma quando si cita la Costituzione ci si dimentica che dopo la frase “l’Italia ripudia la guerra” è scritto “come strumento di aggressione”. Non solo, ma dice anche che la difesa della patria è sacro dovere dei cittadini. L’Italia ha regole rigidissime sul fatto che non si forniscono armi a Paesi in guerra e sono regole abbastanza rispettate: non stiamo, ad esempio, fornendo armi a Israele, ma le stiamo fornendo all’Ucraina perché è stata aggredita. Ci vorrebbe un commissario europeo alla difesa, perché l’Europa spende in difesa più degli Stati Uniti, ma abbiamo un sistema inefficiente perché i vari Paesi non si parlano, per questo non siamo in grado di mettere in campo una difesa.

Le conseguenze del tramonto dell’occidentalizzazione del mondo

È finita l’occidentalizzazione del mondo. I nostri competitor sono tutti autoritari (India, Cina, Russia…). L’alleanza è tra Russia, Cina e Corea del Nord (che fornisce proiettili alla Russia), mentre l’India è diventata una potenza spaziale. India e Cina, da sole, sono la metà del mondo, come può l’Europa a diventare il terzo polo tra Cina da una parte e Stati Uniti dall’altra? Prima di tutto, dotandosi di una politica di difesa e una politica estera comune; i singoli Paesi devono cedere una parte della loro sovranità su questo terreno. Inoltre, è dirimente rivedere i trattati, ormai datati e studiare la possibilità di voti a maggioranza. Infatti, su questioni importanti non ci può essere il diritto di veto da parte di un piccolo Paese: Orban ha preso 10 miliardi di euro come contropartita al suo consenso.

In questo quadro rientra il ragionamento sull’Europa. Bisogna riflettere adesso sul destino futuro dell’Europa da cui dipenderà tutta la vita delle giovani generazioni, non solo in termini italiani, ma anche europei. Oggi abbiamo un problema drammatico: manca un leader europeo. L’ultimo è stata Angela Merkel.

Il maggior Paese dell’Occidente avrà, comunque, un presidente ottantenne. C’è, dunque, un problema di classe dirigente. Questo deficit è un grave problema politico e ci deve preoccupare molto vista la natura dei competitor. Di qui la necessità di un’Europa protagonista, un Europa “terzo polo”. Perché, con qualsiasi amministrazione USA, l’Europa non avrà più l’assistenza di cui ha beneficiato finora.

 

L’articolo è una sintesi dell’intervento a Europa Futuro Presente, sesta edizione della Scuola di formazione politica “Conoscere per decidere”, organizzata da Società Umanitaria, Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine e Fondazione per la Sussidiarietà, Milano, Società Umanitaria, 17 febbraio 2024.

Luciano Violante è politico, ex magistrato e presidente della Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine; è stato presidente della Camera dei deputati

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