Nuova Atlantide N.12 - Giugno 2024
Secondo i più recenti dati dell’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development), l’80 per cento delle merci viaggia su mare. Nell’ambito di questa enorme e complessa rete di scambi, il funzionamento del commercio globale passa da 8 punti o snodi cruciali, chiamati choke point (colli di bottiglia): il Canale di Suez, che collega il Mediterraneo con il Mar Rosso, il Canale di Panama, che collega l’oceano Atlantico con l’oceano Pacifico attraversando l’istmo di Panama in America centrale, lo Stretto di Malacca, nel sud est asiatico, lo Stretto di Hormuz, fra Golfo Persico e Golfo di Oman, lo Stretto di Gibilterra, punto di passaggio tra il Mar Mediterraneo e l’oceano Atlantico, gli stretti turchi di Bosforo e Dardanelli, che permettono il collegamento tra Mediterraneo e Mar Nero, lo Stretto di Bab-el-Mandeb, tra Mar Rosso e Golfo di Aden e il Capo di Buona Speranza, sulla punta meridionale dell’Africa.
Non è difficile intuire gli impatti di un eventuale blocco parziale o totale anche soltanto di uno di questi passaggi sugli equilibri del commercio internazionale, soprattutto se consideriamo che i trasporti marittimi e la logistica valgono circa il 12% del PIL globale. In questi ultimi anni, tra pandemia, guerre e crisi climatiche, questo scenario è diventato una realtà, con cui le grandi e medie potenze sono chiamate a confrontarsi quotidianamente.
Uno degli esempi più recenti riguarda lo stretto di Bab el-Mandeb, snodo cruciale della rotta strategica che collega l’Europa all’Asia attraverso il Canale di Suez e il Mar Rosso. Dal dicembre 2023, in seguito all’offensiva israeliana a Gaza, questo passaggio ha perso il 40% del suo traffico. Nello Yemen, gli Houthi sostenuti dall’Iran, che affermano di agire “in solidarietà” con i palestinesi, stanno infatti intensificando gli attacchi alle navi attorno allo stretto di Bab el-Mandeb. A causa del numero degli incidenti, molte navi ormai preferiscono navigare lungo le coste africane, passando per il Capo di Buona Speranza, il che aumenta tempi e costi di trasporto. Solo per avere un termine di paragone, il numero di navi che attraversavano lo Stretto nel gennaio del 2019 ammontava a 1600. Secondo i dati di PortWatch, una open platform del Fondo Monetario Internazionale che monitora le perturbazioni nei flussi commerciali marittimi, nel gennaio del 2024 lo stesso passaggio ne registrava 1147.
Il Medio Oriente degli stretti marittimi
Più in generale, nell’attuale contesto di crisi, tutti gli stretti marittimi del Medio Oriente sono osservati speciali. Da Suez transitano giornalmente 3,6 milioni di barili di greggio. La pipeline Sumed collega il Golfo di Suez con il Mediterraneo e l’Europa. L’80% del petrolio esportato da Medio Oriente e Golfo passa da qui. Dallo Stretto di Hormuz passano 21 milioni di barili al giorno e più di un quarto del commercio internazionale di gas naturale liquefatto (GNL). Oltre 6,2 milioni di barili di greggio e raffinati petroliferi attraversano giornalmente il Bab el-Mandeb, ovvero il 9% del petrolio commerciato via mare.
Molte compagnie del trasporto marittimo, per evitare di essere coinvolte in dirottamenti o attacchi lungo lo stretto di Bab el-Mandeb, hanno cambiato le loro rotte commerciali, preferendo circumnavigare l’Africa passando dal Capo di Buona Speranza. Questo ha portato all’incredibile impennata dei costi di trasporto applicati dalle compagnie marittime. Da Shanghai, le tariffe per il trasporto di container, rispetto all’inizio di dicembre 2023, hanno visto un aumento di oltre il 300% per le rotte verso l’Europa e più del 120% per le rotte verso la costa occidentale degli Stati Uniti.
Guardando più a nord est sulla mappa, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022, le interruzioni delle spedizioni marittime nel Mar Nero hanno avuto un profondo impatto sul commercio globale. I grossi danni legati alle catene di approvvigionamento hanno contribuito all’impennata dei prezzi di materie prime basilari come grano e mais, ma anche all’aumento dei prezzi degli energetici come petrolio e gas. Attualmente, il prezzo per assicurare un cargo diretto in Ucraina è pari a circa l’1,25 per cento del valore del carico, in calo rispetto al 7% dell’inizio del conflitto. In futuro, la flotta russa potrebbe tentare di aumentare il numero di mine nelle acque ucraine, o potrebbe decidere di colpire direttamente alcune navi commerciali, rischiando serie conseguenze diplomatiche, ma, potenzialmente, causando un aumento catastrofico nel prezzo delle assicurazioni.
Gli effetti della siccità nel Canale di Panama
Nel frattempo, in un altro quadrante del pianeta, non sono le guerre ma è l’acuirsi di fenomeni climatici sempre più estremi a determinare la crisi delle rotte commerciali. È il caso del Canale di Panama, dove una siccità senza precedenti ha abbassato il livello dell’acqua nelle chiuse. Lunga 81,1 chilometri, profonda circa 12 metri, e larga tra i 240 e 300 metri, quest’opera idraulica realizzata all’inizio del XX secolo permette di evitare la circumnavigazione dell’America meridionale senza dover arrivare allo stretto di Magellano o ancora più a sud a Capo Horn, evitando il passaggio nel burrascoso canale di Drake. Qui passa il 5% del commercio marittimo mondiale, grazie a un sistema di chiuse, in cui le navi vengono sollevate o abbassate per superare il dislivello tra i due oceani. Per attuare questo complesso meccanismo si sfruttano le acque del Lago Gatun, un lago artificiale appositamente creato per raccogliere le abbondanti piogge tropicali in un grande serbatoio. Nel corso del 2023, complice El Niño, Panama è stato colpito da una siccità senza precedenti. In più, le alte temperature aumentano l’evaporazione, contribuendo ad accentuare la riduzione della riserva di acqua dolce nel Lago Gatun. Così il livello di acqua nella parte di bacino dove transitano le navi fra le chiuse si è ridotto di quasi 2 metri rispetto alla media, causando problemi ai mercantili più grandi. Sempre guardando ai dati di PortWatch, nel gennaio 2019 il numero di navi che attraversavano il Canale ammontava a 1088, mentre nel gennaio 2024 il numero è sceso a 724.
Gli analisti del settore del commercio marittimo guardano con preoccupazione anche all’area del Pacifico. La Cina sta infatti intensificando le azioni intimidatorie intorno all’isola di Taiwan – su cui rivendica la propria sovranità – rischiando di interrompere il traffico su una rotta particolarmente strategica. Solo nel 2022, attraverso lo Stretto di Taiwan è passato il 48% delle navi portacontainer del mondo. Aggirarlo spingerebbe le navi verso le acque filippine, spesso colpite dai tifoni.
Che si tratti delle ricadute di conflitti armati o delle molteplici conseguenze del cambio climatico, le implicazioni economiche di queste interruzioni nelle rotte commerciali sono oramai un tema al centro delle agende politiche di tutte le medie e grandi potenze. Del resto, ritardi nelle consegne e aumenti dei costi di trasporto possono generare aumenti dei prezzi per i beni di consumo, contribuendo all’aumento dell’inflazione. Inoltre, le interruzioni nella catena di approvvigionamento globale possono influenzare i prezzi delle materie prime, come petrolio e gas, con impatti su diverse industrie e settori economici.
La preoccupazione è tale che l’Unione Europea ha rivisto la sua strategia nell’ottobre 2023, cercando di mantenere stabilità e sicurezza lungo le principali rotte marittime. Già a partire dal 2014 il Consiglio aveva adottato la prima strategia per la sicurezza marittima dell’UE, corredata da un piano d’azione. Da allora i Paesi dell’UE hanno collaborato con la Commissione europea e il SEAE (Servizio Europeo per l’Azione Esterna) per aggiornare la strategia e il piano d’azione. Riveduta, aggiornata e infine approvata nell’ottobre 2023, la Strategia per la sicurezza marittima mira a rispondere alle minacce, salvaguardare gli interessi in mare e proteggere i cittadini, i valori e l’economia.
La centralità del Mediterraneo
In questo contesto, grande attenzione è rivolta al Mediterraneo, quale ponte naturale tra i mercati asiatici e americani che passano per l’Atlantico. In quest’ottica, s’inseriscono dunque le attività delle due principali agenzie europee votate espressamente a garantire la sicurezza della regione: l’Agenzia Europea della Guardia di Frontiera e Costiera – Frontex – e l’Agenzia Europea per la Sicurezza Marittima – EMSA (European Maritime Safety Agency). La prima si occupa di espletare le funzioni di polizia del mare e di frontiera, coordinando le attività attinenti i compiti di guardia costiera degli Stati membri. La seconda gestisce invece lo sviluppo delle politiche comunitarie attinenti alla sicurezza della navigazione e lo sviluppo del commercio navale. È in questo quadro che si collocano le principali operazioni per la sicurezza in mare coordinate da Frontex, con il dispiegamento di unità e personale nazionali e sovranazionali, nel Mediterraneo occidentale (Spagna), centrale (Italia e Malta) e orientale (Grecia e Cipro). Sempre nel contesto della sicurezza della navigazione si inserisce la rete VTMIS (Vessel Traffic Management and Information System) che interconnette tra loro i principali siti di sorveglianza e monitoraggio (coordinati dall’EMSA e da Frontex) del traffico marittimo mercantile nel Mediterraneo.
Garantire la sicurezza delle rotte commerciali del Mediterraneo è del resto una priorità non solo per il nostro Paese o per l’Europa, ma per il buon funzionamento dell’intero sistema economico globale.
Attraverso il Mar Mediterraneo passa annualmente il 10% di tutto il traffico marittimo globale (EMSA, Equasis, 2022) e i principali porti, per tonnellate di beni movimentati nel 2022, sono stati Algeciras (81 t), Marsiglia (67 t), Trieste e Valencia (entrambi con 64 t), classificandosi fra i 10 principali porti dell’Unione Europea (Eurostat, 2022).
Secondo i dati Eurostat disponibili fino al 2022, l’assoluta supremazia UE nel bacino del Mediterraneo spetta all’Italia, seguita da Grecia, Croazia e Spagna per numero di navi approdate. Considerando la stazza delle navi, i porti degli Stati UE mediterranei che hanno avuto più peso specifico sono stati Algeciras, Barcellona e Valencia. I principali partners commerciali dell’Unione Europea (al netto della Russia, sottoposta a sanzioni a partire dal 2022) sono Cina, Turchia, Stati Uniti e Brasile (EMSA, 2023).
Come sopramenzionato, i recenti sviluppi del conflitto in corso in Medio Oriente tra Israele e Hamas, sommandosi alla già seria minaccia per il traffico mercantile posta dalla pirateria proveniente dal Corno d’Africa, sta spingendo sempre più attori commerciali a optare per la rotta che passa dal Capo di Buona Speranza, raggiungendo l’Europa e il Nordamerica e circumnavigando l’Africa. Secondo recenti dati del colosso bancario statunitense JP Morgan, i costi per una portacontainer sulla tratta Shanghai-Genova e su quella Shanghai-Rotterdam sarebbero aumentati di circa il 350%, con un forte impatto su tutta la logistica europea e asiatica ed evidenti incrementi nei costi di gestione e approvvigionamento. A questo scenario di crisi, va a sommarsi la situazione d’instabilità nel Golfo di Guinea e nel Sahel occidentale, che minaccia direttamente la sicurezza in mare sul Mediterraneo ed espone anche l’oceano Atlantico sud-orientale agli attacchi dei pirati.
Per fronteggiare queste sfide, a latere delle operazioni di sicurezza e soccorso in mare guidate da Frontex, l’UE ha da tempo introdotto due operazioni navali militari, sotto l’egida dell’European Defence Agency: l’Operazione “Atalanta” nel Golfo di Aden e l’Operazione “Irini” nel Mar Mediterraneo. Ad esse si è aggiunta nel febbraio 2024 una terza operazione a guida italiana – “Aspides” – mirata alla difesa dei mercantili europei dagli attacchi dei ribelli nel Mar Rosso. In particolare, Aspides si occupa di ripristinare e garantire la sicurezza marittima salvaguardando la libertà di navigazione lungo le principali linee marittime di comunicazione nello stretto di Bab el-Mandeb e nello stretto di Hormuz, nonché nelle acque internazionali del Mar Rosso, il Golfo di Aden, il Mar Arabico e il Golfo di Oman. Inoltre, la nuova operazione risponde agli obiettivi dello Strategic Compass for Security and Defense, che ha fissato le linee guida per migliorare l’abilità dell’Unione ad agire prontamente ed efficacemente nelle crisi per la difesa propria e dei suoi cittadini, identificando aree chiave per la sicurezza marittima. Ciò a riprova non solo del crescente rilievo strategico della dimensione marittima, ma anche dell’ambizione dell’Europa a diventare un vero e proprio “security provider” a livello internazionale. Una sfida che vede il nostro Paese in prima linea, in virtù non soltanto della sua posizione strategica nel cuore del Mediterraneo, ma anche e soprattutto delle sue capacità militari – l’Italia è al secondo posto in Europa dietro al Regno Unito e davanti alla Francia (secondo la classifica annuale stilata da Global Firepower, sito indipendente che analizza le statistiche relative al settore della Difesa di 145 Paesi) – e industriali, con un comparto aerospazio e difesa che occupa oltre 52 mila lavoratori e partecipa alle principali cooperazioni a livello europeo e globale, grazie in particolare ai due campioni nazionali del settore, Leonardo e Fincantieri.