Trimestrale di cultura civile

Il “virus” della depressione, stress test nella realtà

  • FEB 2021
  • Cesare Maria Cornaggia

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L’arrivo dell’imprevisto Covid-19 ha determinato un incremento nel manifestarsi di episodi legati in generale alla sofferenza psichica. Sia in soggetti con un pregresso e sia in soggetti estranei, fino all’esperienza dell’epidemia, ad eventi di psicopatologia. La situazione durante il lockdown, il presente e quel che ci attende. Analisi di prospettiva a partire da evidenze e studi scientifici. Con numerose domande su cui la scienza è al lavoro.

L’esperienza dell’avvento della pandemia da Coronavirus e del successivo lockdown, con la conseguente perdita della ritualità che governava la nostra vita di tutti i giorni, è stata accompagnata da una messa a dura prova delle nostre capacità di andare incontro alla realtà, con un conseguente incremento nell’insorgenza di eventi di sofferenza emotiva e psichica in genere.

Questo è avvenuto, sia in soggetti precedentemente mai interessati da psicopatologia, sia in soggetti che hanno presentato un peggioramento di una loro pregressa esperienza psicopatologica.

Secondo diversi studi, i due elementi centrali per l’insorgenza di queste complicanze psicopatologiche sono stati “paura” e “incertezza”. Entrambi questi elementi sono legati, non a caso, alla possibilità che possa accadere una perdita del controllo, in particolare proprio del controllo della realtà, che illusoriamente avevamo ritenuto in mano nostra prima dell’avvento del Coronavirus. La morte stessa sarebbe potuta accadere soltanto per senescenza o per tumore, ogni altra causa sarebbe stata controllabile e nulla poteva far presagire la presenza oscura e ignota di un nemico mortale, che colpisse senza alcuna nostra possibilità di reagire.
 

L’uomo fuori dalla relazione muore
Allo stesso tempo, ognuno ha perduto i propri “riti”, che, nella vita quotidiana, fornivano sicurezza e certezza. È stato ed è così che, assieme al virus, l’“inatteso” e l’“intruso” sono diventati una presenza, non soltanto dominante, ma anche persecutoria, attraverso quella minaccia proveniente dall’“ignoto”.

Anche la morte ha perso i propri riti dell’addio e della sepoltura, come mettendo in sospensione anche i processi di lutto, così come il senso del dolore. Abbiamo in tal modo sperimentato un dolore nel dolore, perché, accanto alla perdita del nostro oggetto d’amore, abbiamo aggiunto la morte della relazione, e ciò non può che rimandare a quanto affermava Paul Watzlawick, e cioè che l’uomo fuori dalla relazione muore. Ci è sembrato impossibile riconoscere l’altro, dal momento che l’altro è divenuto portatore di minaccia, e il “contatto” con lui si è trasformato in “contagio”, mentre è l’essere in connessione con l’altro che ci fornisce il senso della realtà e della nostra stessa esistenza.

I primi due casi di Coronavirus in Italia sono stati confermati il 30 gennaio 2020, quando a Roma due turisti provenienti dalla Cina sono risultati positivi al virus. Un focolaio di infezioni è stato successivamente rilevato il 21 febbraio, a partire dai 16 casi confermati in Lombardia, a Codogno, aumentati sino a 60 il giorno successivo, accompagnati dai primi decessi. In Italia, alla data del 28 ottobre 2020, sono stati registrati 589.766 casi positivi, tra cui 275.404 persone dimesse e guarite e 37.905 persone decedute, e sono stati effettuati 15.152.038 tamponi per il virus, rendendo il nostro Paese il tredicesimo al mondo per numero di casi totali e il sesto per numero di decessi.

Come noto, lo sviluppo pandemico si è accompagnato al lockdown. A questo riguardo, una recente revisione sistematica della letteratura scientifica ha evidenziato come il lockdown possa causare effetti negativi, dal punto di vista psichico, come lo sviluppo di un Disturbo Post-Traumatico da Stress, accompagnato, in particolare, da confusione e rabbia.

I fattori principali per la comparsa di stress sono divisi in due momenti scatenanti: quello “durante il lockdown” (superiore ai 10 giorni), che è connotato da paura di contrarre l’infezione, noia, frustrazione per non poter svolgere le consuete attività, mancanza di elementi base per il sostentamento, come cibo, acqua, vestiti, con il timore di trovarsi impossibilitato a fare approvvigionamenti nel tempo successivo, e quello “dopo il lockdown”, connotato soprattutto dal timore dello stigma e dall’evidenziarsi dei risvolti economici.

Proprio su quest’ultimo aspetto, va detto che uno studio australiano ha dimostrato come, nel 42% dei casi, il lockdown fosse associato a risvolti negativi sul piano lavorativo ed economico, Questo non stupisce, in quanto il dato è assolutamente in linea con tutti quelli evidenziati in tempi di crisi economica (tenendo conto, ad esempio, degli studi effettuati nel periodo tra il 2008 e il 2012), allorquando si è osservato un incremento del consumo di farmaci psicotropi, in particolare di antidepressivi.

Ansia, paura, insonnia
La maggioranza degli studi, quasi uniformemente, hanno poi mostrato come l’esperienza della pandemia abbia condotto, nella popolazione generale, a un aumento dell’ansia, della paura e dell’insonnia. La paura, soprattutto inizialmente, era legata al contagio, con un incremento delle manifestazioni fobiche, le quali hanno condotto a un ulteriore ritiro e isolamento che, essendo ufficialmente, non solo giustificato, ma anche prescritto, si rafforzava ulteriormente in una sorta di spirale sempre più rigida. Questo accadeva anche negli operatori sanitari. Inoltre, l’isolamento sociale e le difficoltà economiche esacerbavano i sintomi, sino a condurre a un incremento dei suicidi o perlomeno dei comportamenti suicidari. Gli studi, in ogni caso, sono prudenti e tendono a suggerire che ancora dobbiamo aspettare a trarre valutazioni definitive, in quanto il picco di questi fattori psichici negativi potrebbe verosimilmente esprimersi in tempi lunghi, e quindi successivamente alla situazione attuale, cioè dopo la seconda ondata e il secondo lockdown.

Uno studio condotto a Zurigo ha utilizzato il medesimo modello di studio sui suicidi utilizzato nel tempo della recente crisi economica e ha osservato come il rischio suicidario in corso di Coronavirus potrebbe essere legato proprio alla crisi economica conseguente alla pandemia e al lockdown. Gli studiosi si aspettano, pertanto, a questo riguardo, un extra-lavoro per i servizi psichiatrici, che sarà legato maggiormente alla forse inevitabile disoccupazione in arrivo. In Italia, dall’inizio della pandemia si calcolano 71 suicidi Coronavirus-correlati; anche in questo caso, una valutazione appare ancora prematura, dal momento che non si comprende ancora quanto questo dato sia da mettere in relazione al contagio con il virus, piuttosto che allo scenario di disagio economico conseguente (oltre ai disoccupati vi sono anche i lavoratori autonomi che hanno avuto notevole danno economico alla loro attività).

L’esperienza dell’incertezza
Uno dei primi sintomi a comparire, e che va assunto come iniziale campanello d’allarme, è l’insonnia, che accompagna e precede l’ansia e la depressione, che, a loro volta, possono sorreggere un comportamento di tipo anticonservativo, tanto che viene data molta importanza proprio all’insorgenza di insonnia per la prevenzione di questo.

Inoltre, si segnalano diverse condotte di vita “negative”, come un incremento di uso di alcool e di tabacco, o un trascorrere il tempo in attività potenzialmente “da dipendenza”, come i giochi online. Statistiche provenienti dal Canada hanno riportato come il 20% della popolazione di età tra i 15 e i 50 anni abbia incrementato il consumo di alcool domestico durante la pandemia e anche l’uso di alcool può poi associarsi a comportamenti suicidari o parasuicidari.

Dal momento che questi comportamenti si realizzano in un contesto chiuso, il domicilio, essi sono risultati di particolare significato in situazioni di conflitto (o maltrattamento) famigliare, con una problematica non indifferente derivante dalle ridotte possibilità di difesa o fuga delle figure più deboli (donne, bambini, portatori di handicap).

Non sono invece, a oggi, disponibili dati attendibili per quanto riguarda l’associazione tra il lockdown e gli altri disturbi psichici. Inoltre, molti studi, che hanno riscontrato un sensibile incremento di disturbi d’ansia (in particolare del Disturbo Post-Traumatico da Stress) e di depressione, si sono basati su punteggi di scale strutturate incentrate sui sintomi, con una generale sovrastima di quello che è il reale disagio necessitante di trattamenti psicoterapeutici o psicofarmacologici, e questo è un limite troppo importante per poter fare affermazioni sicure. Questo dato, tuttavia, conferma, a livello generale, in nazioni sia europee che extraeuropee, l’aumento di “paura”, “incertezza”, “insicurezza nel futuro”, così che pare potersi affermare che questo sia un fattore più legato a una risposta umana dinanzi all’esperienza di pericolo, piuttosto che essere qualcosa di legato alle diverse organizzazioni socio-economiche degli Stati.

In realtà, anche la presenza nella storia personale di una patologia psichiatrica sembra correlata allo sviluppo di ansia e rabbia durante e dopo il lockdown. D’altra parte, la popolazione psichiatrica rappresenta una fetta importante dell’intera popolazione, dal momento che, ad esempio, circa l’1,7% della popolazione italiana ha avuto contatti, nell’ultimo anno, con un centro territoriale per disturbi psichiatrici, e il dato è sottostimato in quanto non tiene in considerazione coloro che si rivolgono al privato e coloro che hanno affidato la gestione del loro disturbo ai medici di medicina generale.

La riorganizzazione dei reparti di psichiatria
Gli ospedali sono uno di quegli ambiti che hanno risentito grandemente della diffusione del Coronavirus; l’intera rete ospedaliera è stata rimodellata, specie in tutti gli ospedali del Nord Italia, e i reparti di psichiatria sono stati coinvolti in questa riorganizzazione in emergenza, con la predisposizione di stanze di isolamento, riduzione di posti letto per poter accogliere pazienti in attesa di esito di tampone, o che si trovavano in una fase di malattia che non richiedeva terapia intensiva, in quanto presentavano un grave stato di scompenso psicopatologico difficilmente gestibile nei reparti Coronavirus non dotati di un numero adeguato di stanze singole.

Il primo elemento che emerge è il consistente calo di ricoveri in psichiatria nei mesi dell’anno coinvolti dal lockdown rispetto all’anno precedente (-32% a marzo e -42% ad aprile, prendendo come esempio l’Emilia Romagna). La diminuzione risulta ancora più evidente nelle strutture private rispetto a quelle pubbliche. Analogamente, dati provenienti da alcune realtà della Lombardia, quali Brescia, Cremona e altre, hanno riscontrato una riduzione dei ricoveri in reparti di psichiatria anche nelle loro realtà, con il tasso più consistente alla dodicesima settimana del 2020 (-53%).

La stessa tendenza si è verificata per gli accessi in Pronto Soccorso. Prendendo ancora come esempio l’Emilia Romagna, un rilevante calo degli accessi generali rispetto all’anno precedente si è avuto nel mese di marzo (-46,8%) e di aprile (-54,7%). Dati di questo tipo sono stati evidenziati in tutti i Paesi.

In uno studio condotto in Portogallo, infatti, durante lo stato di emergenza da Coronavirus di 45 giorni (dal 19 marzo al 2 maggio), è stata riscontrata una riduzione del 52,2% di consulenze psichiatriche richieste nel Pronto Soccorso. Analogamente, nell’area di Parigi, durante le prime quattro settimane di lockdown, si è verificata una riduzione del 45,2% degli accessi per problematiche psichiatriche.

Questi dati, comunque, non significano certo che la malattia psichiatrica di per sé sia diminuita o scomparsa. Anche considerando come sia ancora presto per fare una valutazione definitiva di questi dati, si può affermare che le motivazioni del mancato accesso ai servizi di urgenza possono avere almeno due origini. Anzitutto, la paura del contagio, pertanto un non accesso ai servizi è motivato dal timore di entrare in contatto con il virus o con istituzioni organizzate per far fronte alla pandemia piuttosto che alla routine.

Questo è avvenuto, d’altra parte, per altre forme morbose, quali le cardiopatie, i tumori, molte malattie croniche, le quali si sono aggravate in assenza degli interventi idonei proprio a causa di una loro non presa in carico tempestiva in ospedali intenti ad affrontare l’emergenza Coronavirus (dove, peraltro, vi era il maggior rischio di contagio). Una seconda origine sta nel fatto che il lockdown ha comportato, per un numero non trascurabile di persone fragili od emarginate, un momento in cui non si sono sentite eccessivamente minacciate da richieste prestazionali, per loro fonte di angoscia.

L’esistenza di un “persecutore” esterno (il virus) ha potuto consentire di avvertire meno il proprio “persecutore” interno (la loro fragilità) e di sentirsi paradossalmente garantite e protette nel e dal lockdown.

Riduzione dei livelli di cura
Infatti, i diversi dati ci dicono che esiste anche una quota di persone apparentemente in compenso nel corso del lockdown, e si fa riferimento a coloro che hanno vissuto il ritiro paradossalmente come un momento a cui loro non era richiesta più alcuna performance e che vedeva loro, in tal modo, assolutamente equiparati a tutti. Soltanto la riapertura ha fatto risperimentare loro il senso di inadeguatezza e di solitudine. Proprio per questo, la vera sfida della psichiatria, riguardo a quanto sta accadendo oggi, è il domani, cioè il ritorno alla normalità.

Non a caso, uno studio multicentrico condotto in Italia, ora in fase di pubblicazione, ha concluso che la pandemia ha condotto anche a una drastica riduzione dei livelli di cura, che potrebbe, a sua volta, avere un serio impatto sulla salute mentale della popolazione, nel caso si manifestasse una seconda ondata. Oggi siamo dentro a questa seconda ondata; i rischi connessi sono, pertanto, legati: al bisogno di mantenere a livello del territorio i livelli di cura, alla necessità di un monitoraggio attento del danno economico, all’evidenziazione dello stress cronico (insonnia e altri segni), al monitoraggio del disagio domiciliare.

È pur vero che, in molte realtà, anche italiane, ci si è organizzati con controlli di telemedicina, ma ancora i loro effetti devono essere valutati. Infatti, un grande lavoro, in ogni caso, è stato effettuato, in tutti i Paesi europei e non, a livello territoriale, sostanzialmente mantenendo, in molti casi, gli stessi livelli di assistenza precedenti. Si è costituita, in questo modo, una distanza relazionale, che è stata sostituita da una iperconnessione telematica, che permette certamente un apparente contatto, che è però contemporaneamente rassicurante e stressante. Rassicurante, in quanto il lockdown, come detto, ci offre la sensazione di sicurezza e protezione dal contagio, stressante in quanto non sappiamo dove, come e quando saremo in grado di tornare a partecipare ancora a una relazione corporea.

In ultimo, una annotazione finale va fatta circa le conseguenze neurotossiche della malattia da Coronavirus, in quanto ancora non sappiamo se esistono o meno conseguenze, non soltanto neurologiche, ma anche psichiatriche della malattia.

 

Cesare Maria Cornaggia è medico psichiatra e Professore associato di Medicina fisica e riabilitativa presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca.

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