Trimestrale di cultura civile

Identikit del Covid-19

  • FEB 2021
  • Fabrizio Pregliasco

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Viaggio all’origine della epidemia tra evidenze e ipotesi non confermate. Perché un virus che determina infezioni banali ha proprio in questa caratteristica la sua pericolosità. La sua forza è nella sua “debolezza”. Un paradosso con cui il mondo è costretto a fare i conti.

Abbiamo comunque fatto notevoli passi in avanti. Ma la strada è ancora lunga. Il pericolo vero è la maxi emergenza, il numero incontrollabile dei contagiati, perché in quel momento i pazienti non possono essere ben seguiti e ben curati. La realtà di oggi è quella di dover convivere per un certo tempo con l’epidemia. Limitando il più possibile i rischi. E con domande fondamentali ancora aperte.

C’è indubbiamente un momento di confusione complessiva, che si aggiunge all’ansia, alla paura, allo scoramento dell’opinione pubblica. E tutto questo si può vedere, credo, sia rispetto al piano politico, quello delle scelte operative – che non mi compete – sia rispetto al piano scientifico, quello sanitario relativo alla pandemia che stiamo vivendo. Credo che si possa constatare, quindi, che ci troviamo di fronte a un duplice aspetto: uno scontro politico, in certi casi quasi ideologico da un lato, probabilmente controproducente su molti aspetti concreti, e divergenze scientifiche dall’altro, che qualche volta diventano dure e disorientanti, ma che nella maggior parte delle occasioni appartengono alle opinioni differenti che fanno parte del dibattito scientifico.

È necessario fare un riepilogo, ribadire alcuni punti fermi e ripartire dalla domanda principale: che cosa è esattamente questo maledetto virus chiamato Covid-19? C’è un aspetto virologico particolare e come si può configurare?

Sento la necessità di riflettere, di fare il punto e quindi provo a rispondere a queste domande che si pongono in molti, ma che mi pongo costantemente anche io, che di professione faccio il ricercatore di scienze biomediche. Allora, cominciamo con il dire che questo è un virus nuovo, un virus che ha una origine naturale, grazie alle sequenze che sono state messe in fila nei sistemi informatici. Poi cercheremo anche di spiegare la naturalità di questo virus di fronte ai dubbi sollevati da molti e alle dichiarazioni fatte da alcuni, alle notizie di “manipolazioni in laboratorio” che sono arrivate anche all’opinione pubblica.

Un virus “stupido”

Sicuramente questo virus, che viene dalla Cina, è arrivato qui in Italia tra novembre e dicembre del 2019, in una fase in cui non circolava e in cui era sconosciuto. Questo virus ha una peculiarità: determina delle infezioni banali e questo, paradossalmente, è la sua forza maligna quando semina morte.

Si può dire che sia un virus “stupido”, non come Ebola ad esempio, che ammazza, che uccide in modo pesante. Il Covid-19 appare veramente più “stupido” da un punto di vista di marketing, per rendere l’idea, perché si diffonde in modo notevole, a volte con una ampiezza impressionante e con conseguenze imprevedibili e spesso incontrollabili.

Ancora, è paradossale ma vero che il 56 per cento dei casi che oggi rileviamo riguarda persone che sono completamente asintomatiche. Ci troviamo quindi di fronte a persone infette, magari anche poco e in alcuni casi per nulla contagianti. Poi succede quello che non era prevedibile. Queste persone infette, nel loro percorso di contagio, possono e riescono a infettare altre persone. Ecco, è questa la forza di questo virus.

È anche vero, quindi, che si può affermare che questo sia un virus banale, ma non si può mai generalizzare facilmente, perché nel 7 per cento dei casi si vede imprevedibilmente una sintomatologia rilevante. Il virus determina, in questi casi, pesanti conseguenze e infine, con una stima che oscilla tra lo 0,25 e lo 0,4 per cento, ha effetti tragici, porta alla morte. Ci troviamo quindi nel paradosso più incredibile da un certo punto di vista: il virus, con un’azione che appare a basso rischio specifico, può determinare diversi casi di letalità.

 

Ora, per comprendere come è nata questa epidemia, dobbiamo ricorrere alla sua capacità di diffusione e all’immagine di un iceberg. Cerco di spiegarmi nel modo più chiaro possibile con un esempio. Ogni settimana c’erano tra l’aeroporto di Milano Malpensa e Wuhan voli giornalieri diretti. Mi è stato riferito che nell’autunno dell’anno scorso arrivavano circa 20mila persone ogni settimana da quella zona della Cina che stava diventando l’epicentro di quella che sarebbe diventata la futura pandemia. Anche lì, magari come dappertutto, magari lentamente, è cominciata questa storia nuova e infernale.

Un’epidemia come un iceberg
Spiego l’immagine dell’iceberg. L’epidemia va considerata proprio come un iceberg. Le persone che arrivavano da Wuhan si disperdevano nella popolazione nel modo normale e del tutto involontario, creando in questo modo quella parte dell’iceberg sottostante, invisibile, che, come sappiamo, è proprio la parte principale dell’iceberg. Infatti quella che si vede, che fuoriesce dall’acqua, è la parte percentualmente minore.

A un certo punto la dimensione dei soggetti infetti, mentre noi misuravamo soprattutto i sintomatici e i visibili, si è rivelata con morti e casi continuamente rilevati. Abbiamo sconfitto la punta dell’iceberg. Poi il nostro lungo lockdown ha fatto sciogliere la gran parte dell’iceberg, ma ne è rimasta una parte rilevante, diciamo di asintomatici, durante tutta l’estate. È chiaro che, allontanandoci dal lockdown, questo iceberg sia ricresciuto, si sia riformato e consolidato.

In più ci sono stati una serie di comportamenti incongrui che tutti possono ricordare e che, con molte altre situazioni, hanno fatto in modo che l’iceberg sia ritornato in tutta la sua evidenza.

In tutte le epidemie, nelle pandemie in generale, si può passare da una fase di crescita lineare, come l’abbiamo conosciuta durante l’estate, a una crescita esponenziale nel momento in cui la massa critica, anche non rilevante, diventa importante. In diversi momenti abbiamo vissuto una crescita esponenziale.

Torniamo per un attimo all’aspetto paradossale. Ho detto che il virus ha una diffusione, una capacità di diffusione, impressionante, ma ha una letalità che possiamo dire, anche se non sarebbe mai bello affermarlo, ridotta. È giusto ripeterlo (pur sapendo che anche una sola morte è un dramma, una tragedia), in fondo si può dire che c’è un basso rischio specifico.

Però l’altalena dell’epidemia è feroce. Quando si moltiplicano i casi – e ci siamo dentro tutti – come si è visto nel corso della “prima ondata” e per certi aspetti anche ora, se non si fa nulla di utile per ridurre i contatti, la percentuale bassa sul singolo diventa in termini assoluti rilevante, quindi con una extra mortalità.

Una extra mortalità che anch’essa ha avuto i suoi denigratori perché si è detto: “morto con”, “morto per”. Una distinzione inutile, perché tutte queste persone sono morte in più del normale. È difficile stabilire se per Mario Rossi o per Giovanni Verdi ci sia stata un’azione, una “spintarella”, un calcione. Noi possiamo dire che in queste situazioni numericamente importanti c’è un effetto rilevante. Quello che ci interessa è soprattutto un fattore: di fronte al “morto con” e al “morto per”, dal punto di vista quantitativo è l’extra mortalità che dimostra la sua evidenza nei momenti di massima concentrazione dei casi.

Vorrei sviluppare anche un altro punto sul virus e più esattamente sulla nascita del virus. Ci sono molte voci, alcune testimonianze non provate, un articolo di Science dell’aprile 2020 che solleva alcuni dubbi, alcune dichiarazioni di scienziati sul fatto che il virus possa essere frutto di una manipolazione fatta in un laboratorio cinese, magari di un errore nel cercare di modificare un altro virus.

Manipolazione genetica?
Dubbio verosimile, non veritiero Vorrei affrontare questo argomento che interessa non solo gli Stati, i servizi segreti, ma anche l’opinione pubblica, nel modo più laico possibile.

Abbiamo a disposizione migliaia di sequenze genetiche depositate in una banca dati e, grazie ai sistemi informatici, queste possono essere allineate e confrontate anche con il virus Sars Cov-1, che è il precursore del Coronavirus. Quello che si vede è una specie di albero genealogico, proprio come quello degli umani, e quello che si nota è una progressione di variazioni compatibili con la natura.

Quindi possiamo dire che tutto quello che può essere stato un elemento di manipolazione genetica è “scientificamente verosimile” ma, diciamo a oggi, non è provabile neppure se c’è stato. A mio avviso si può dire che il dubbio sia verosimile ma non veritiero.

Non so se rendo esattamente l’idea. Questa vicenda mi ricorda i film di fantascienza, che hanno degli elementi di veridicità, ma poi delle licenze poetiche. È vero che alcuni anni fa, nel 2014, un gruppo inglese aveva fatto una chimera di un virus, appunto del Coronavirus. Però vorrei dire che una variazione così voluta e quanto altro, mi sembra poco probabile. Mi viene da dire di fronte all’accaduto: è la “sfortuna”, è la natura.

Direi che la migliore definizione di tutto questo è: “poco probabile”. Lasciando naturalmente sempre spazio al dubbio e alla ricerca.

La scienza ha il suo fondamento, come sosteneva Karl Popper, nella “confutabilità”. Per progredire deve essere necessariamente confutabile. In effetti, se io ripenso all’inizio di questa pandemia, se rivedo con attenzione il mio lavoro, i miei studi, posso constatare che e considerazioni iniziali che abbiamo fatto un po’ tutti, si sono rivelate infondate e abbiamo dovuto sconfessarle.

Il metodo scientifico è un metodo che va avanti passo dopo passo e che progredisce per tentativi ed errori, per ipotesi verificate e anche non verificate. E comunque occorre progredire lentamente e con scrupolo per arrivare alla verità.

Ricordo ancora questi mesi passati a cercare di comprendere la malattia, studiarla, mettendo in campo e sperimentando le terapie necessarie. Posso dire che in otto mesi sono stati scritti e pubblicati moltissimi articoli. Si è avanzati per piccoli step, alcuni ripetuti, alcuni non confutati, alcuni enfatizzati sui media ma poi non arrivati alla pubblicazione scientifica finale.

Si è fatto molto in pochissimo tempo. Per altre patologie, quello che si fatto oggi è stato realizzato in decenni. E poi va sottolineata una gestione oculata della terapia intensiva, non particolarmente invasiva perché tutte le assistenze respiratorie, soprattutto con intubazioni, non è che fanno bene ai polmoni, perché si continua a sparare dentro aria e si rischia di provocare danni.

Adesso, ad esempio, si usa la pronazione, perché è un metodo che produce minor danno. Insomma, abbiamo comunque fatto dei passi avanti notevoli, ma la strada è ancora lunga. Il pericolo vero è la maxiemergenza, il numero incontrollabile dei contagiati, perché quando capita, i pazienti non possono essere ben seguiti e ben curati.

Il rebus della durata dell’immunità
Si può fare un bilancio di quello che abbiamo imparato in questi mesi. Si conoscono meglio, ad esempio, i tempi di incubazione, tanto è vero che si è ridotta la quarantena a dieci giorni. Si è compreso, ma in modo ancora incerto, che esistono situazioni diverse di contagiosità rispetto alla positività, al test e al tampone. È probabile che molti asintomatici non siano veramente contagiosi, però non abbiamo ancora sicurezza di questa differenziazione. Conosciamo meglio alcuni danni che il virus fa ai polmoni, ma non solo. Ci sono sofferenze a livello cardiaco e neurologico. Diciamo soprattutto questo: all’inizio non era chiara la prevalenza degli asintomatici che mantengono la catena di contagio.

Stiamo mettendo dei paletti, ma alcuni punti sono ancora sconosciuti, soprattutto per la durata dell’immunità.

E qui si aprono dubbi atroci, perché questo pone problemi per la vaccinazione e per la sua durata di copertura. Ed è evidente che questo fa pensare a una lunga convivenza con il virus e a un necessario realismo permeato di attenzioni.

C’è quindi uno scenario futuro che si può tentare di tracciare in base al percorso fatto in questi mesi e alle conoscenze acquisite; sarebbe da irresponsabili non tentare di farlo. Vediamo anche in questo caso di fare un riassunto comprensibile e non schematico. C’è stata una prima ondata, adesso viviamo la seconda e probabilmente ce ne sarà una terza. Nel 1918, la Spagnola ne ha totalizzate tre.

Di fronte a questa realtà occorre scegliere una strategia. Il problema di una società è quello di coniugare esigenze sanitarie e conseguenze economiche, sapendo bene che, se tante persone stanno male, alla fine non vanno neppure a lavorare.

Quello che si è fatto in Italia sinora non è stato spegnere “l’incendio”, perché non ci siamo riusciti. Durante l’estate, sino alla fine di agosto siamo riusciti a mitigare e appiattire la curva.

Tradotto in termini crudi, al posto di fare una montagna, cioè lasciare che si arrivasse a una crescita esponenziale e quindi aspettare che poi scendesse, dopo disastri umani incalcolabili, si è preferito abbassare la pendenza della curva e farla diventare una collinetta. Ma è evidente che se non scioglieremo gli ultimi dubbi, proprio sul vaccino e sulla sua possibile copertura, inevitabilmente il virus sarà con noi per lungo tempo.

Occorre realismo sulle possibilità di contagio, facciamo un cenno anche a questo per amore di verità. La via di trasmissione sta nel fatto che noi, parlando e respirando vicino, emettiamo il virus uno contro l’altro: cioè uno emana il virus e l’altro se lo inala a due metri di distanza attraverso le goccioline più grosse. C’è anche una sopravvivenza ambientale, una sfortuna, perché le goccioline che noi emettiamo rimangono e aggiungiamo che qualche virus rimane pure sulle superfici. A volte basta passare un telefonino non pulito da una persona a un’altra per procurare una infezione indiretta.

La mascherina, barriera con dei buchi
È vero che ci sono barriere protettive, ma bisogna avere coscienza che queste barriere protettive hanno pure dei “buchi”, non sono impermeabili. Occorre essere realistici: la mascherina è una barriera ma ha dei “buchi”; il lavaggio delle mani è una efficace barriera ma ha dei “buchi”; la stessa cosa si può ripetere per la sanificazione ambientale.

A questo punto non si può prescindere da un giudizio sulle contromisure scelte finora dal governo. E mi fermo a fine ottobre. Inutile girarci intorno con tante parole: è un equilibrismo di dissuasione. Da un punto di vista tecnico il lockdown pesante o pesantissimo determina più risultati. Ma è inapplicabile per diverse ragioni.

Il principio che è stato emanato – al di là della discutibilità del fatto che non c’è una prova scientifica che è meglio chiudere alle 18 che alle 19, perché sono prove tecniche fatte dal vivo, non c’è una ricerca che dimostri questa differenza – è stato fatto con lo scopo della dissuasione, soprattutto sui contatti, partendo dal presupposto che ogni contatto che noi possiamo avere è a rischio.

A questo punto bisogna essere chiari ed espliciti. Vogliamo mantenere aperta la scuola perché ha un’importanza educativa o quanto altro? Ci assumiamo dei rischi. Vogliamo mantenere delle categorie produttive di lavoro importanti perché si deve sostenere l’economia? Corriamo dei rischi. Questo è. L’altra parte è stata considerata meno importante.

Vorrei concludere sperando che si riesca a trovare un equilibrio per convivere con il virus. Meglio lasciar perdere le polemiche e le dispute televisive: l’infodemia parallela alla pandemia è stata devastante. Occorre avere il realismo di scegliere e sapere quali rischi si corrono e quali possibilità abbiamo di evitare le possibilità dei contagi. Lasciamo perdere le distinzioni tra ammalati e contagiati. Ci sono persone che si infettano e che possono sviluppare la malattia e che possono essere contagiose. Diversa è la capacità di contagio, diversa è la risposta personale.

Il problema è convivere con il virus con verità, consapevolezza, equilibrio, limitando al massimo i rischi.

Fabrizio Pregliasco è l’attuale Direttore Sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, oltre che Ricercatore Confermato in Igiene Generale e applicata all’Università degli Studi di Milano. È inoltre Consigliere del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) e Membro del Consiglio Nazionale del Terzo Settore al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di Roma

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