Trimestrale di cultura civile

Quali politiche per sconfiggere la disuguaglianza

  • MAG 2022
  • Jean-Paul Fitoussi

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Il professor Jean-Paul Fitoussi aveva accettato di scrivere per questo numero di Nuova Atlantide un contributo sul tema a lui assai caro della disuguaglianza. Una riflessione che tenesse conto della situazione in Europa con l’invasione russa all’Ucraina. Purtroppo, in modo improvviso, il professor Fitoussi è venuto a mancare. Come omaggio e segno di amicizia e stima, abbiamo comunque deciso di ospitare il suo pensiero. Pubblicando il suo intervento all’ultima edizione del Meeting per l’Amicizia fra i Popoli. Che letto oggi, soprattutto alla luce dei drammatici accadimenti in corso, conserva elementi di straordinaria attualità. Assai utili alla riflessione.

Sono diverse le porte da aprire per studiare il problema della disuguaglianza; una è quella delle cause: la tecnologia, la globalizzazione e così via. Io proverò ad aprire quella che tiene conto della situazione obiettiva che esiste oggi nel mondo.

Il regime preferito dai popoli

Se osservo il mondo, vedo innanzitutto una diminuzione della disuguaglianza tra i Paesi; ma parimenti all’interno di ogni Paese emerge un aumento osceno delle disuguaglianze che ha l’effetto di produrre una disaffezione molto forte verso la democrazia. Come mai succede?

Partiamo dal primo fenomeno, la diminuzione della disuguaglianza tra i Paesi; ciò significa che le realtà non democratiche hanno la capacità di crescere molto di più rispetto ai Paesi democratici e a quelli del Nord. Dunque, quando misuriamo le performance economiche del sistema, la democrazia non sembra più essere un fattore di vantaggio per la crescita.

Il secondo punto è il fatto che nei regimi democratici c’è un aumento interno molto forte della disuguaglianza. Ricorro a un esempio ovvio: organizzare i viaggi nello spazio quando la gente ha difficoltà a pagare la benzina, simbolicamente è una immagine molto forte, che mostra come si sia trascurato in misura molto forte il problema della disuguaglianza. Così facendo la democrazia perde la sua legittimità.

Un giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti ha detto: “Possiamo avere come regime la democrazia, oppure possiamo avere il denaro concentrato in poche mani, ma non possiamo avere entrambi”. Lui voleva dire che se il denaro è concentrato in poche mani, questo significa che il potere di certe categorie di cittadini sarà molto più forte rispetto ad altre e questo viola uno dei principi fondamentali del sistema in cui viviamo, quello del suffragio universale. Se ci sono dei privati cittadini che possiedono università, think tank o giornali e televisioni, sicuramente essi hanno un potere di voto molto forte e, dunque, possono modificare il risultato delle elezioni e del suffragio universale grazie alla loro influenza.

La giustificazione del nostro sistema è che è basato su due principi: quello della democrazia, vale a dire una persona un voto e quello del mercato, 1 euro un voto. Il primo principio è il principio dell’uguaglianza, il secondo è il principio della disuguaglianza. Il nostro sistema può sopravvivere se sa trovare compromessi tra questi due principi, se non riesce a farlo è in pericolo, in un modo o in un altro. Dunque, non è per caso che oggi la democrazia non è più il regime preferito dai popoli. Se il populismo, il nazionalismo, o quello che chiamiamo la democrazia illiberale, crescono, se i partiti estremisti crescono, questo significa che la democrazia è in pericolo.

Anche per gli economisti la democrazia è il bene più prezioso, intendendo che la libertà deve essere sia economica che politica. Se non è più economico-politica e a prevalere è solamente l’economia, ecco che viene meno la democrazia perché non vi è più vera libertà.

Due policy molto “particolari”

Dobbiamo capire che siamo al punto in cui siamo per la ragione che i governi hanno seguito delle policy particolari; la prima che ha dato luogo alla crisi finanziaria è la politica monetaria espansiva il cui scopo era che i più poveri, quelli che non beneficiano della crescita, potessero comunque consumare. In che modo? Facilitando l’accesso al credito attraverso tassi d’interesse molto bassi. La crisi finanziaria, infatti, è stata una crisi dell’indebitamento privato, arrivato a livelli tali da non poter più ripagare il debito stesso.

Perciò partiamo da una disuguaglianza a cui tentiamo di rimediare tramite la politica monetaria. La conseguenza è una crisi violenta del sistema. Poi abbiamo creduto che la politica maggiormente in grado di evitare le crisi fosse la politica dell’austerità, poiché abbiamo pensato che la sostenibilità del debito pubblico coincidesse con quella del sistema economico e sociale. Ci siamo totalmente sbagliati. La politica dell’austerità ha avuto come conseguenza quella di aumentare l’insostenibilità del regime economico, politico e sociale. Come noto il debito non rappresenta la ricchezza, trattandosi invece solo di un elemento del bilancio di una persona o di una nazione. Se per diminuire il debito pubblico io distruggo gli attivi del bilancio – ad esempio il capitale umano con la disoccupazione ad alti livelli, il capitale sociale o il capitale naturale, poiché non investo più – questo non fa che impoverire la nazione portando a una politica di competitività che determina il ribasso dei salari tra i Paesi europei, l’insostenibilità del sistema e un aumento della disuguaglianza.

Si è deciso di attuare tali scelte nella convinzione che il nostro sistema sociale fosse per un verso troppo generoso e per l’altro troppo costoso. Ad esempio si dice che il reddito di cittadinanza andrebbe soppresso perché impedisce alla gente di lavorare; ma se uno non lavora perché ha diritto al reddito di cittadinanza, che è abbastanza basso, significa che i salari sono troppo bassi. Pertanto il problema da risolvere non è quello di abbassare il reddito di cittadinanza, ma piuttosto quello di aumentare i salari. Questo porterebbe a una diminuzione delle disuguaglianze.

La rendita chiama la rendita

Ci sono dunque almeno due politiche che aiuterebbero a sconfiggere la disuguaglianza: la politica di protezione sociale, perché quando si va verso la globalizzazione è un po’ come se aprissimo porte e finestre e quando si fa questo, bisogna proteggere la gente, altrimenti la gente si trova ad affrontare sofferenze inutili e perde la speranza nella democrazia.

La seconda politica non è diminuire i salari, ma pensare che essi possano aumentare almeno tanto quanto aumenta la produttività. Fino a oggi è successo che i salari sono aumentati meno della produttività e la differenza ha fatto crescere la rendita; questo aumento della rendita ha reso il sistema totalmente squilibrato e in qualche modo esplosivo: la rendita chiama la rendita, ad esempio dalla crisi finanziaria ad oggi la rendita è triplicata (trecento per cento) mentre i salari non sono aumentati (zero per cento). Questo è la dimostrazione che il sistema non è più sostenibile e va verso l’esplosione, non so né come né quando ma so che non c’è altra via d’uscita che quella della protezione sociale a livello dei salari. Altrimenti la fine che ci aspetta potrebbe essere molto brutta.

L’intervento è stato pronunciato nell’ambito dell’incontro “È sviluppo se aumenta la disuguaglianza?”, che si è svolto a Rimini, martedì 24 agosto 2021, durante il Meeting per l’Amicizia tra i popoli

Jean Paul Fitoussi, economista, professore emerito all’Istituto di studi politici di Parigi (Sciences Po) e Professore presso la LUISS di Roma, ha presieduto l’osservatorio francese sulle congiunture economiche (OFCE).

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