Trimestrale di cultura civile

L’uomo continuerà a entrare sempre in scena

  • GEN 2024
  • Neil Landau

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Ma davvero l’Intelligenza Artificiale rappresenta una minaccia per il lavoro creativo nel cinema e nella produzione di serie televisive? La questione è scottante e non solo fiction. Come dimostra il lunghissimo sciopero di sceneggiatori e autori in quel di Hollywood, cioè nella mecca dell’industria mondiale dell’intrattenimento. Fa chiarezza Neil Landau, autore e sceneggiatore tra le voci più autorevoli e ascoltate.

Il lungo sciopero a Hollywood – 150 giorni – messo in campo dalle maestranze creative in merito al pericolo che l’Intelligenza Artificiale possa soppiantare l’attività degli autori che scrivono per il cinema e per la tv ha fatto molto rumore. Soprattutto per la notorietà mondiale di quel luogo, lo storico tempio dell’industria dell’entertainment.

Per saperne di più abbiamo conversato con Neil Landau, autore, sceneggiatore e docente di produzioni televisive, un’autorità indiscussa e assai ascoltata.

Quando a maggio del 2023 è iniziato lo sciopero, che si è protratto poi fino a fine settembre, sono rimasta molto colpita nel vedere come le categorie coinvolte, sicuramente tra le più creative, si sentono anch’esse in qualche modo minacciate dall’avvento dell’Intelligenza Artificiale. Ma davvero l’IA può arrivare a soppiantare l’estro creativo di sceneggiatori di film e tv?

Il sottotitolo del mio libro di prossima pubblicazione, TV Writing on Demand, potrebbe essere Great Television Created by Humans for the People (grande televisione creata da esseri umani per la gente), perché tutte le serie TV che scrivo, sono profondamente legate alla dimensione umana. Quelle che riescono a contraddistinguersi sono sempre serie che hanno qualcosa di assolutamente unico. Penso che l’IA potrebbe facilmente riuscire a fare molte cose ripetitive, come scrivere con successo episodi della serie Law and Order, Grey’s Anatomy o simili. Ma quando si pensa a un film come Everything Everywhere All at Once o a serie TV come The Bear o Beef o Succession, se cioè guardiamo al meglio del meglio, ci sono così tanti elementi che sono completamente al di fuori di ciò che chiunque abbia mai fatto prima che non credo si possano nemmeno riuscire a spiegare, sono difficili anche solo da articolare. È solo mistero. È ciò che rende l’arte, arte.

Come autore e sceneggiatore, non si sente minacciato dalla rapida crescita e dallo sviluppo dell’IA?

No, non mi preoccupa affatto. Credo che tutti i grandi capolavori provengano da un luogo molto profondo che non può certo essere programmato in una macchina. Credo che l’Intelligenza Artificiale possa ottenere ottimi risultati per quanto riguarda le riduzioni televisive, se le si dà qualcosa da fare può farlo, ma la “scintilla divina”, la musa, o come la si voglia chiamare, nessuno sa da dove venga. È molto misteriosa e, quindi, come si fa a dare a un’IA uno stimolo per essere brillante o per creare dal nulla qualcosa che non abbiamo mai visto prima, in un modo completamente nuovo? Non saprebbe cosa fare, sarebbe terribile.

Anche se il comando fornisce all’IA tutti i dettagli sui personaggi, le trame e così via?

Quando c’è stato questo avvento dell’IA, mi hanno mandato un finale della serie televisiva Succession scritto da ChatGPT, prima della messa in onda dell’episodio: “Abbiamo chiesto a ChatGPT di ideare il finale”. Mi hanno inviato la sceneggiatura e mi hanno chiesto cosa ne pensavo e come se l’era cavata l’IA. Ed era spazzatura, era orribile; dopo quattro stagioni della serie, non catturava nulla di ciò che è Succession e la cosa non mi ha sorpreso, perché persino Jesse Armstrong, creatore e produttore della serie, non sa da dove provenga. Quando lo intervistano, è completamente incapace di spiegarlo, e lo ammette pure: “Non so proprio come parlarne perché non so da dove viene”.

Il finale generato dall’IA era terribile, non se ne sarebbe potuto usare nulla. Erano stati forniti i dettagli sui personaggi, e ChatGPT era a conoscenza dello sviluppo successivo della trama; sapeva in che direzione poteva andare, ma non aveva l’ironia pungente o l’arguzia della serie. Le sfuggiva completamente. E per poter chiedere all’IA di riscriverlo di nuovo, bisognerebbe continuare a darle suggerimenti umani per indirizzarla, e non credo che nemmeno Jesse Armstrong sarebbe in grado di farlo.

E allora perché, secondo lei, gli sceneggiatori di Hollywood si sentono così minacciati dall’IA?

Per capire come stanno le cose, bisogna innanzitutto separare la televisione dal cinema. Negli Stati Uniti, se sei nello staff di un certo tipo di show televisivo, gran parte del tuo lavoro consiste nella ricerca e nell’ideazione di possibili trame. Questo può essere fatto anche dall’IA, e dunque in futuro probabilmente non ci sarà più bisogno di così tanti scrittori, visto che molto del loro lavoro può essere generato artificialmente. L’IA può proporre possibili trame, come: prendi questo personaggio dall’episodio iniziale, immagina i retroscena, elenca quali sono le possibili situazioni in cui potrebbe trovarsi, valuta se inserire qualcosa di scientifico, di fantascientifico o di distopico. L’Intelligenza Artificiale è brava a prevedere dove andranno le cose sulla base di un insieme fisso di variabili. Eppure, l’arte, la maestria, ciò che la rende tale sono altro. Io posso conoscere i fatti e capire i dati, ma quel fattore X, l’interazione che avviene con quel misterioso potere di creazione è ciò che per me non si può arrivare a definire.

E per quanto riguarda il cinema?

Penso che probabilmente quello che verrà sempre premiato sono le storie originali. Se si guarda al burnout da supereroi e a ciò che sta accadendo con la Marvel, la gente si sta stancando di ricicli, anche i più giovani, perché ora hanno Tik Tok e tante altre cose che fanno concorrenza.

Guarda invece Barbie: ci sono state così tante sceneggiature sviluppate nel corso degli anni, Barbie esiste da sempre; guarda cosa hanno fatto Greta Gerwig e Noah Baumbach, regista e sceneggiatore di quest’ultimo film. Da dove è spuntato fuori? Ora, se gireranno Barbie II, perché sono sicuro che ci sarà un sequel visto l’enorme successo del fenomeno, se fanno Barbie e Ken o si concentrano su qualunque altra cosa, l’IA potrebbe probabilmente generare, per dire, dieci diverse possibilità di sceneggiatura, magari anche di un certo valore, ma per Barbie, la prima, per la creazione di qualcosa dal nulla, hai bisogno di un elemento che non si può definire e che è “arte”.

Faccio molti lavori di riscrittura in cui mi danno una sceneggiatura che non funziona o a cui manca qualcosa, di solito serve un’anima o qualcosa che la renda più unica. Se si dà a ChatGPT una sceneggiatura e si dice: “Approfondisci i personaggi femminili. Aggiungi più umorismo. Sposta l’ambientazione da Los Angeles a Omaha”, può fare cose del genere, cioè gran parte del lavoro più pesante, ma è comunque necessario che poi l’uomo entri in scena e intrecci insieme il tutto. Quando faccio lavori di riscrittura, mi dicono: “Ci piace molto la metafora che hai introdotto con questo o quello. Da dove viene?”. E io rispondo: “Non ne ho idea. Mi è semplicemente venuta in mente”. E penso che se chiedeste a qualsiasi scrittore o artista o musicista, vi direbbe la stessa cosa: “Non lo so”, è questo che mi dà fiducia e mi rassicura sul fatto che non possiamo essere sostituiti – l’arte non può essere sostituita.

Pensa che lo sviluppo dell’IA creerà la necessità di nuovi posti di lavoro per supportare il lavoro di base che le macchine andranno a svolgere? Per esempio, se si iniziasse ad avere parecchio materiale per lo schermo scritto dall’IA, ci sarebbe bisogno di una persona come lei per mettere un’“anima” nelle sceneggiature...

Molto di quello che faccio si chiama “script doctoring”, cioè fare il “medico della sceneggiatura”, ma penso che una definizione più efficace sia “medico dell’anima”: non è semplicemente una riscrittura, è come se a quel copione mancasse quel certo carisma, qualcosa che ne costituisca lo spirito. È interessante, perché dare il cuore e l’anima è l’unica cosa non meccanica, non ripetitiva, ed è diversa per ogni singolo progetto.

Sta dicendo che proprio questa “anima” di una sceneggiatura – che l’Intelligenza Artificiale non sarà mai in grado di generare – è ciò che fa risaltare uno spettacolo o un film?

Questo è un ottimo momento per dimostrarlo, perché proprio ora sono usciti tutti i migliori film dell’anno, dato che è il periodo degli Oscar. Tutti i film più belli che sto guardando, sono unici nel loro genere.

Le case cinematografiche investono un sacco di soldi nel cercare di capire il futuro, sia che si tratti di un algoritmo di Netflix o degli Studios e cercano di prevedere quale sarà il prossimo successo. Possono anche dotarsi della migliore tecnologia di supporto, ciononostante non riescono comunque a prevederlo, altrimenti ogni film sarebbe un blockbuster e ogni serie TV sarebbe un successo, e non è così. La tempistica del lancio è parte della problematica, quello che succede nel mondo in quel momento, ma ci sono anche molti altri fattori che non sono prevedibili, come una pandemia o una guerra, o una certa circostanza culturale e sociologica e questo è un paradosso interessante, proprio nel momento in cui il settore dell’intrattenimento sta attraversando una sorta di crisi esistenziale e si chiede: “La gente tornerà al cinema oltre che per qualcosa come Barbie? Continuerà a guardare la televisione con tutte le altre opzioni ora a disposizione?”. Quindi, penso che stiamo passando dalla logica del “ogni film deve avere un gigantesco weekend di apertura ed essere un grande successo per avere davvero valore”, alla consapevolezza che non si può mai prevedere quando questo accade, come nel caso di Barbie.

Si aspettavano che “The Marvels” sarebbe stato un successo planetario ed è stato un flop.

Sì, quindi credo che sia necessario che chi prende le decisioni guardi i dati degli algoritmi e ciò che ha avuto successo in passato e poi, speriamo, abbia il coraggio di prendersi più rischi per cose uniche e insolite, che credo sia l’unico modo per creare un successo. Squid Game è un caso interessante perché nessuno voleva comprarlo, non riuscivano a venderlo. Alla fine, Netflix l’ha preso, quasi per scherzo: “Proviamo”. È un film estremamente violento e con molti aspetti inquietanti, e non era scontato che sarebbe stato un successo. E di fatto è rimasto lì per parecchio tempo prima che qualcuno l’acquistasse. Stessa cosa con Barbie, che ha avuto un periodo di gestazione lunghissimo. Chi avrebbe mai potuto prevedere che Everything Everywhere All at Once avrebbe avuto successo? O la popolarità di una serie TV come The Queen’s Gambit? Guardare qualcuno che gioca a scacchi per ore a prima vista sembra davvero noioso, qualcuno avrà esaminato tutte le analisi ma avrà poi concluso: “Eppure, c’è qualcosa d’altro. Sto interpretando tutti i dati, ma c’è qualcosa che non riesco a definire e che mi fa sentire così”. Qualcosa che risuona più di quanto i dati suggerirebbero.

Le persone che prendono queste decisioni, i dirigenti e i guardiani del potere, vorranno sempre affidarsi agli algoritmi e ai dati perché li proteggono dal fallimento. Possono mostrare tutti i rapporti e dire: “Beh, guardate, guardate il grafico. Diceva che questo avrebbe fruttato 100.000 dollari. Io ho solo seguito i dati”. Eppure, i successi vengono generalmente da persone che dicono: “I dati dicevano tutti questo, ma in qualche modo ho avuto la sensazione che non sarebbe stato così”. E queste sono sempre le cose che hanno successo maggiore. Quindi, tutti gli algoritmi e l’IA possono portarci solo fino a un certo punto. In ultima analisi, un essere umano deve assumersi un rischio. L’analisi artificiale e l’algoritmo sono una parte del processo decisionale, ma l’elemento umano deve contare almeno per il 51% di ogni decisione.

Lei personalmente usa l’Intelligenza Artificiale? Ne ha tratto qualche beneficio?

Ho appena finito di scrivere il mio settimo libro ed è la prima volta che uso l’Intelligenza Artificiale con il programma Grammarly per modificarlo e correggerlo. Devo dire che mi è piaciuto molto usarlo e continuerò a farlo. È incredibile quanto siano cambiate le cose da quando ho scritto il primo libro: allora, pagavo persone per trascrivere le interviste e correggere le bozze. E per quanto correggessi, trovavo sempre degli errori una volta pubblicato. Il bello di Grammarly per me è che ti dà suggerimenti davvero utili senza giudicare o farti vergognare. In passato, davo le mie bozze ad amici: “Puoi leggerlo? Fammi sapere cosa ne pensi”. E, se si accorgevano di qualcosa che poteva essere migliorato, mi sentivo in colpa: “Perché non me ne sono accorto da solo?” Grammarly, invece, è gentile e premuroso. Mi dice: “E se la frase fosse così? E se invece fosse strutturata così?”. E io dico: “Sì, così è meglio”. E sto anche imparando da questo, per esempio da come l’Intelligenza Artificiale quasi sempre riordina le mie frasi, così invece di mettere prima la proposizione subordinata con una virgola e poi l’affermazione forte, me la rigira. Le volte che i cambiamenti suggeriti sono corretti, rendono il testo più elegante e allora penso: “Splendido, mi farà fare una bella figura,” e premo “accetta”. A volte però Grammarly cambia completamente il contesto di ciò che sto dicendo e non coglie il punto ed è il motivo per cui non posso accettare in blocco tutti i cambiamenti proposti, devo procedere passo dopo passo ed esaminare i suggerimenti uno a uno, il che richiede comunque molto tempo.

Oltre all’editing e alla correzione di bozze, utilizza l’Intelligenza Artificiale per aiutarla a generare idee, per esempio: “suggeriscimi possibili argomenti e modalità di stesura di questo capitolo”?

No. E per spiegare il perché, racconto un episodio che mi è capitato di recente. L’anno scorso avevo finito di mettere insieme la proposta per il mio settimo libro, in pratica l’indice e tutti gli argomenti che volevo trattare. Tuttavia, non avevo alcuno stimolo o entusiasmo nel mettermi a scrivere. Poi ho avuto un infarto. Quando ero a letto in convalescenza, i medici mi hanno raccomandato di non lavorare – cosa molto difficile per me. E a un certo punto ho cominciato a sentire come un piccolo sussurro. Stavo guardando delle serie TV con protagonisti adolescenti e ho pensato che avrei dovuto scrivere un capitolo intitolato Diventare adulti in una nuova era. Così ho riletto Il giovane Holden di J.D. Salinger e poi ho iniziato a guardare molte serie televisive “teen”. È stato il primo capitolo che ho scritto, e non era nella mia proposta iniziale. Lo stesso vale per gli altri capitoli che mi hanno entusiasmato: c’erano cose a cui non avevo ancora pensato e che mi sono venute in mente in un momento in cui non stavo cercando di inventare nulla, ed è così che nasce sempre la migliore arte. Dico sempre ai miei studenti: “Quando cerchi di farti venire un’idea, non ti verrà mai”, non ti intestardire, vai a fare una passeggiata, vai a fare qualcosa che non c’entra niente con quello che stai cercando di scrivere, vai in un museo, vai a un concerto, e ti verranno delle idee.

È questo il motivo per cui dice che non si può chiedere all’IA di generare idee?

Sì, mi sembra che sia molto simile al tentativo di fabbricare l’autenticità: “Rendilo più autentico”. Non si può. L’autenticità è una cosa strettamente legata all’esperienza originale di ciascuno. Non vedo un futuro in cui l’IA si autogeneri, essa aggrega ed emula, ma non è in grado di innovare e non lo sarà mai fino a che non otterremo qualcosa di unico ed eccezionale e, a quel punto, non avremo più bisogno di esistere. Ma finché gli esseri umani coesisteranno, l’IA non sarà mai in grado di innovare come facciamo noi, perché nemmeno noi sappiamo come questo avvenga. Tutti abbiamo dentro di noi questi doni preziosi e unici, la chiave sta nell’accedervi e nel prestarvi attenzione. Quando la gente usa ChatGPT o altro, si concentra su ciò che vuole che l’Intelligenza Artificiale faccia. Ma se invece di prestare attenzione a questo, guardasse a quella scintilla dentro di sé, sarebbe molto più potente di qualsiasi IA presente e futura.

Neil Landau è un pluripremiato sceneggiatore americano, produttore di film e serie TV, tra cui Melrose Place e MTV Undressed. Autore di sei libri tradotti in dieci lingue, è professore di Sceneggiatura presso l’università della Georgia.

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