La Chiesa davanti alle guerre del Novecento, che hanno provocato un numero di morti tre volte superiore a quelli che si erano avuti dal I al XIX secolo. Quali tappe caratterizzano l’evoluzione della «teologia della pace» nei pontificati dall’Ottocento a oggi?
Quale posizione ha assunto la Chiesa davanti alle guerre del Novecento, che hanno provocato un numero di morti tre volte superiori a quelli che si erano avuti dal I al XIX secolo? Quali tappe caratterizzano l’evoluzione della «teologia della pace» nei pontificati compresi tra Pio IX e Francesco?
A partire dalla metà del secolo scorso la guerra tradizionale si è trasforma in «guerra moderna», quella dell’era nucleare. Dopo la caduta del Muro di Berlino (1989), invece, è cresciuto il numero dei conflitti all’interno degli Stati, come quello in Kosovo, le «guerre dimenticate» dell’Africa, le interminabili «guerre civili» dell’America Latina, le rivolte del Medio Oriente.
Evolve la natura della guerra: la guerra non è più combattuta da Stati, negli ultimi anni del secolo XX è emersa la guerra dal «volto religioso», causata dai conflitti etnici o dal terrorismo internazionale.
Ma non solo. I conflitti maggiori provengono dagli interessi privati, basti pensare ai conflitti finanziari con i conseguenti mutamenti internazionali e l’estensione del dominio privato al di là della politica democratica. Poi, per la prima volta nella storia dei Parlamenti, non ci si è limitati a ratificare la decisione dei propri governi (democratici o autoritari) sulle guerre. Da Obama a Cameron e Hollande hanno dovuto fare i conti con i loro Parlamenti. Infine il ruolo dei media diviene sempre più importante come condizione di pace e di guerra. Insomma una prima breve conclusione ci porta a dire che il futuro della pace passerà sempre di più attraverso il controllo dell’opinione pubblica perchè nella società civile è cresciuta la coscienza della pace.
La guerra come inutile strage
La riflessione sulla pace, durante il pontificato di Pio IX (1846-78), avvicinò cattolici e protestanti che promossero insieme una scuola a Roma per lo studio del diritto internazionale e la formazione di arbitri internazionali indipendenti per la risoluzione dei conflitti tra Nazioni.
In questi anni uno dei contributi di maggior rilievo è stato quello del gesuita Luigi Taparelli d’Azeglio, tra i fondatori della Civiltà Cattolica, i cui studi sulla pace e la guerra diventeranno il punto di riferimento per il pensiero dei Papi fino a Giovanni XXIII, di giuristi e politici. Taparelli riteneva immorale che gli Stati sovrani potessero ritenere legittimo entrare in guerra, se un’organizzazione internazionale, che chiamò etnarchia, avesse impedito ogni ricorso alle violenze tra Stati.
Leone XIII (1878-1903), erede di questa tradizione, iniziò a sistematizzare una proposta di «pace politica» e nella conferenza sul disarmo dell’Aja del 18 maggio 1899, a cui parteciparono 26 Stati, il Pontefice venne riconosciuto da alcune Nazioni come garante dei conflitti in forza della sua «paternità universale».
In questo periodo la Santa Sede inizia ad avere credibilità nel campo internazionale proprio grazie al tema della pace.
La Nota ai belligeranti del 1° agosto 1917, in cui Benedetto XV definì la guerra una «inutile strage», è stata la proposta di uno schema dettagliato e pratico che nessun Capo di Stato riuscì a proporre per negoziare la pace. Nonostante la sua proposta sia stata ostacolata dalle grandi potenze, ancora oggi in campo diplomatico Benedetto XV viene considerato «il Papa della pace».
Durante la seconda guerra mondiale, Pio XII sarà il primo Papa ad esporre organicamente «i presupposti essenziali di un ordine internazionale», riproponendo il pensiero di Taparelli nel radiomessaggio del Natale del 1942.
Si calcola che durante la guerra la Chiesa guidata da Pio XII salvò la vita a circa 800.000 ebrei. Basterebbe questo dato per rispondere alle accuse di silenzio davanti al genocidio e di un suo presunto appoggio ai regimi totalitari.
L’idea positiva di pace
Con Giovanni XXIII l’idea di pace diventa «positiva», il suo significato si amplia e include i diritti umani, una nuova idea di democrazia, la volontà di creare strutture internazionali di governo che la garantiscano.
Nell’archivio di Civiltà Cattolica è custodita una lettera di Giovanni XIII al direttore, l’attuale card. Tucci, in cui si sottolinea la volontà di porre le basi per un’etica civile che ricerchi la pace che non fosse né religiosa né antireligiosa, ma «laica», fondata su una razionalità etica condivisa dalla maggioranza che crede nella costruzione di una società democratica. Era il sogno di Taparelli.
Con Paolo VI (1963-1978) la Chiesa introduce una vera rivoluzione epistemologica nella dottrina sulla pace distinguendo, nel campo della morale sociale, una doppia natura della pace: «la pace interiore» e la «pace esteriore». I gesuiti vennero incaricati dal Papa di scrivere i più importanti discorsi sul tema. Per studiare l’evoluzione della teologia della pace, oltre al suo messaggio alle Nazioni Unite nel 1965 in cui gridò «mai più la guerra» ne ricordiamo altri due ancora poco conosciuti: il radiomessaggio del 1967: «Il cammino della pace tra i popoli passa per la “pace del cuore”» e l’omelia del 1° gennaio 1969 nella chiesa dell’Ara Caeli a Roma. La pace, per Paolo VI, è nutrita da una radice spirituale, è un dono che si accoglie e la possono costruire e mantenere coloro che scoprono la pace del cuore.
Al suo pontificato dobbiamo anche l’inizio dell’«educazione alla pace», con gli undici messaggi della Giornata mondiale della pace (1968-1978), da lui inaugurate.
La pace come azione politica e profezia
Giovanni Paolo II difese la «pace ad ogni costo» anche davanti a una possibile guerra totale e di religione, che molti politologi prevedevano in seguito all’attacco di Al Quaeda alle torri gemelle. Bastava che Giovanni Paolo II entrasse in quella trappola infernale, attaccasse genericamente l’Islam… e il mondo si sarebbe trovato diviso e schierato in base alla confessione religiosa. Non andò così per una scelta profetica.
In due encicliche, la Sollicitudo rei socialis (1987) e la Centesimus Annus (1991), Giovanni Paolo II aveva posto le sue idee sulla pace ma è nella Giornata di Assisi del 27 ottobre 1986 che presentò la sua proposta profetica di pace. Cristiani, ebrei e musulmani si riunirono per la prima volta per chiedere insieme il dono della pace. Il messaggio era allo stesso tempo semplice e chiaro: l’uomo credente deve vivere e insegnare la riconciliazione, la mediazione pacifica nei conflitti sociali, la possibilità di una vita comunitaria autentica. Queste sono le «armi» in mano alle religioni per costruire la pace.
Nel 1991 i gesuiti di Civiltà Cattolica scrissero un articolo affermando che con l’avvento della «guerra totale» la guerra non è in alcun modo permessa ed è sempre un intrinsece malum. L’articolo fu voluto e difeso da Giovanni Paolo II. Ma il mondo cattolico si divise. Viene così superata la dottrina tradizionale della guerra giusta.
Per i gesuiti, si legge negli archivi ancora segreti della Civiltà Cattolica, la questione, oltre ad essere di natura epistemologica, è anche semantica. Cambiando la sua natura, la guerra deve cambiare anche il linguaggio che la spieghi. La Chiesa di Giovanni Paolo II chiede di abbandonare l’uso della parola «guerra» e parla di «conflitti armati», che giustifica nei casi di legittima difesa e di ingerenza umanitaria.
Benedetto XVI ha consolidato la prassi e la dottrina precedente. Durante il suo pontificato gli sforzi della Chiesa in campo diplomatico hanno puntato sulla prevenzione della pace, chiamata anche transitional justice. Durante il suo discorso alle Nazioni Unite del 18 ottobre 2008, ha accolto il principio di «responsabilità di proteggere» (The responsibility to protect). Ma l’impegno della Chiesa è anche sullo ius prae-bellum. La dottrina sociale della Chiesa chiede di investire nella formazione, nello sviluppo economico, nelle buone governances, nelle organizzazioni internazionali, nell’impegno a sottoscrivere patti regionali. Concretamente si stanno appoggiando le politiche di riduzione degli armamenti nucleari e la riforma del Consiglio di Sicurezza, che tenga in debito conto i mutati equilibri geopolitici.
La pace da costruire nelle periferie sociali
In questa “nuova” situazione sociale ed ecclesiale papa Francesco ha assunto un atteggiamento peculiare di fronte alla grande missione della Chiesa sul tema della Pace. Certo si rivolge alla politica, ma i suoi rappresentanti non sono i suoi interlocutori privilegiati. Innanzitutto il Papa ha compreso che il problema oggi non si pone più in termini «nazionali» come per i suoi predecessori; anche quando i conflitti sono apparentemente limitati, in realtà sono conflitti globali in quanto anche nel piccolo sono coinvolti gli stessi attori che gestiscono le scene internazionali. La soluzione che papa Francesco sta proponendo è quella del bottom up, dal basso, dai corpi intermedi, dalle associazioni, Ong, sindacati ecc., il mondo del terzo settore, quello del welfare state.
Per questo il Papa parla sempre più di portare la pace dove c’è violenza. E lo fa con la preghiera. Una veglia di pace davanti al Santissimo per chiedere di evitare un attacco della Siria è stata una «bomba di pace» a cui hanno aderito tutti gli uomini di buona volontà.
Una forma di guerra secondo il Pontefice è ciò che anima la tratta delle persone, le ingiustizie sociali ecc. Sono dunque le “periferie” da ri-pacificare! Il modo per farlo è quello studiato negli ultimi anni del Novecento. Rompere, attraverso la cultura e l’educazione, il duopolio di Hobbes dove l’altro è il possibile nemico, e favorire, attraverso processi di riconciliazione civile, l’amicizia civica in cui l’altro è concittadino. Portare pace alle «guerre sociali» comporterà una nuova ricollocazione della natura delle guerre: l’impegno a portare la pace nell’economia e nella scuola, fino alla ricerca scientifica per preparare non «individui egoisti», ma «persone in relazione e interconnesse» l’una con l’altra per cooperare insieme.
La parola d’ordine sulla pace di papa Francesco è “pacificazione”. E questa grazie sia alla misericordia di un dono, che è quello del perdono, che fa cambiare le sorti della storia e sia all’ascolto maturo della voce della propria coscienza che aiuta a rispettare un principio antico: bonum faciendum et male vitandum.
Da più di un secolo la Chiesa è ritornata a parlare in forma esplicita e radicale del «Vangelo di pace» (At 10,36) davanti alla guerra, e lo fa senza assumere posizioni “ideologicamente pacifiste”, ma realiste, possibili nella contingenza della storia. I Pontefici si sono mossi con una preoccupazione comune: proteggendo i più deboli nei conflitti, limitando i danni delle guerre, costruendo coscienze e comunità di pace.
Per noi questo insegnamento è un’eredità da vivere.
Per approfondire l’argomento:
F. Occhetta, Jesuitas y Papas, la guerra y la paz. La evolución del pensamiento de la Santa Sede sobre la guerra y la paz leída por los Jesuitas de La Civiltà Cattolica, Endymion, Madrid 2007.
F. Occhetta, La pace nel pensiero dei Papi del Novecento, in La Civiltà Cattolica, 2010, IV, 540-551.
Twitter @OcchettaFra; blog www.francescoocchetta.it